Tra gli intellettuali del secondo Novecento che ho avuto la fortuna di conoscere e di frequentare, spinto da una irresistibile curiosità e dal desiderio di imparare, c’è stato anche il teologo e politologo Gianni Baget Bozzo (1925 – 2009).
Alla sua morte il giornalista Pierluigi Battista lo definì un “grande, geniale irregolare”.
Chi era Gianni Baget Bozzo
Allievo del cardinale Giuseppe Siri, dopo la laurea in legge nel 1946, in gioventù frequentò alcuni degli uomini più importanti del mondo cattolico, come Giuseppe Dossetti, Alberto Lazzati e Giorgio La Pira.
Agli inizi degli anni Cinquanta diventò un collaboratore della rivista Terza Generazione fondata dallo statista Alcide De Gasperi. In seguito si laureò in teologia presso la Pontificia Università Lateranense e nel 1967, all’età di 42 anni, venne ordinato sacerdote dal cardinale Siri che gli affidò la cura della rivista di orientamento conservatore Renovatio. Negli anni Settanta, e fino alla morte, scelse anche l’impegno politico diventando per due volte europarlamentare, che gli costò nel 1985 la sospensione a divinis dal cardinale Siri.
Baget Bozzo, conservatore e anticomunista, sostenitore dell’insegnamento teologico di Papa Joseph Ratzinger, rilasciò il 4 luglio 2000 un’intervista al Corriere della Sera pronunciandosi a favore del riconoscimento delle coppie omosessuali, anche ai fini sociali ed economici:
La Chiesa sbaglia. Sugli omosessuali deve aprire gli occhi.
Anche le sue posizioni su aborto ed eutanasia furono controcorrente.
Lo conobbi nel 1981, io avevo 27 anni e lui 56. Avevo in tasca una lettera autografa di Eugenio Scalfari, che utilizzai come ambasciata, proprio sul tema dell’aborto.
Poi ci scambiammo per alcuni anni lettere sul tema del disarmo, della violenza, della diversità. Riuscii pure a invitarlo per tenere una conferenza di letteratura su La storia infinita di Michael Ende.
Nell’estate del 1981, nella sua casa di Genova, mi rilasciò la seguente intervista sul tema squisitamente teologico della morte, ma sconfinammo su alcuni temi che sono tuttora di grande attualità nel dibattito culturale e politico: il disarmo, la paura di un conflitto nucleare, la fine delle ideologie, la poesia.
L’intervista a Gianni Baget Bozzo
- Malraux ha scritto: “La morte è l’irrefutabile prova dell’assurdità della vita”. E Camus, nel Mito di Sisifo: “II verme si trova nel cuore dell’uomo, dove appunto bisogna cercarlo”. Per Gianni Baget-Bozzo “La morte è notizia assoluta”.
C’è in te l’angoscia che attanaglia i due scrittori esistenzialisti?
Da momenti a momenti. Ci sono momenti in cui la morte sembra desiderabile e naturale, altri in cui sembra un evento impossibile; il cui sentimento del morire è sentimento della psiche, quindi, è soggetto ad alterazioni della medesima. Il progetto o la prospettiva di morte varia secondo i momenti; se però devo dire il sentimento prevalente che ho verso la morte esso è la curiosità.
- Perché per te la morte è lo spazio di Dio?
Perché appunto io sono curioso: è quello in cui Dio può comparire senza mediazioni umane. Dio è presente in noi ma sempre umanamente. La morte è il rovescio: essa è presente in noi, in Dio divinamente, quindi è di questo che io sono curioso. In questo senso la morte è notizia assoluta.
- Per quali ragioni la società borghese e industriale ha limitato culturalmente il contatto diretto con il fatto concreto della morte? E, usando una espressione di Jung, perché la nostra civiltà mortifica la nascita della morte?
Bella la frase di Jung che non conoscevo... «Mortificare la nascita della morte»... veramente bella. Perché i morti non consumano. Una volta fatto il funerale e creato attorno al morire e anche all’essere appena morto un evento sociale — quindi un consumo — come tale il morto non consuma più: esce dall’orizzonte della produzione e del consumo. La società borghese è produzione e consumo e nulla più; ciò che sta al di qua o al di là della produzione e del consumo, sia il non nato sia il già morto, sono fuori dall’interesse sociale.
- Anche la cultura marxista mortifica la nascita della morte?
Ah, Certo! Soprattutto e per le medesime ragioni. Non a caso la cultura marxista si considera l’inveramento della cultura borghese, inveramento e superamento e, quindi, mantiene interamente le categorie fondamentali. In fondo la rivoluzione avviene all’interno della produzione e garantisce i consumi.
- La “morte accanto” è una presenza fastidiosa? oppure è la nostra intima forza che permette la conoscenza, liberandoci dalle verità del potere?
Anzitutto la morte non esiste come entità astratta, anche se ci può essere la prosopopea della morte, la sua personificazione fin dall’Apocalisse, fino ad avere lo scheletro con la falce che è l’immagine della morte, ma la morte non esiste come realtà. Esiste il soggetto che muore — che è un’altra cosa —, quindi la morte non è una presenza, semmai è per noi, al massimo, il mutare la nostra presenza. Ecco, torniamo al punto di prima: dobbiamo pensare alla morte come assenza totale della presenza, come mutamento di essa. Una volta si pensava quasi esclusivamente in termini di mutamento e allora vi era il problema dell’inferno, della sanzione ultramondana dell’etica. Oggi, su questo punto, abbiamo un diverso concetto di Dio, cioè nessuno parla più dell’inferno. Esso viene obiettivamente dimenticato su quelle dimensioni della sua esistenza, del suo pensiero e anche il mondo religioso, anche il mondo ecclesiastico non rinnega ma non nomina, elimina l’elisione, se possiamo dire così.
Invece noi siamo ossessionati, oggi, da un pensiero opposto: se c’è ancora una presenza. Si potrebbe quasi dire che per l’uomo di oggi se ci fosse l’inferno sarebbe quasi un pensiero consolante perché in sostanza non è poi il nulla.
Perciò il problema è se è più tranquilla la posizione dell’uomo che temeva l’inferno o quella dell’uomo che teme il nulla.
- Perché per molti giovani Dio è angoscia?
Questo è un problema che mi impressiona, è vero... è proprio vero, Dio è angoscia...! Ma ciò è un fallimento terribile della Chiesa, io l’ho sempre detto. Qualche volta penso che la Chiesa debba essere abolita perché Dio possa essere redento. Noto con terrore che Dio è diventato un pensiero insopportabile... noto che quelli che poi diventano praticanti lo annullano nell’immagine-Chiesa, penso cioè alla Chiesa di quegli sciagurati di Comunione e Liberazione. Leggo «II Sabato» e qualche volta penso sia vero che sono agenti della CIA, come una volta si diceva, tanto sono insopportabili. Infatti di Dio ne parlano pochissimo, lo esorcizzano mediante l’immagine ecclesiastica mettendo Woityla al posto di Dio: sono dei perfetti idolatri. Io dal punto di vista di Dio preferisco gli angosciati agli idolatri...
- Preferisci gli angosciati...?
Agli idolatri? Si, certo! Dal punto di vista cristiano cosa è peggiore dell’idolo anche se l’idolo è un idolo sacro: il Papa, i Vescovi o la Madonna stessa può diventare un idolo. Ma io direi che in questo caso gli idoli attuali sono molto più terrestri: possono essere un prete carismatico... un prete, diciamo così, affascinante o un Papa con capacità di rappresentazione possono diventare un idolo, o un idolo lo può diventare un cantante, una squadra di calcio.
- Che cosa è per Baget-Bozzo la diversità?
Beh, non lo so... anche qui...
- La devianza?
Sono due cose diverse. Ma quando pensi alla devianza tu pensi alle anomalie sul piano sessuale...?
- No. Deviante come individuo, in un contesto sociale... San Francesco, Don Chisciotte e lo scemo del villaggio — è una vecchio tema che ti avevo già posto — sono per me tre figure devianti.
Del resto anche nel Vangelo il Signore ha detto “È colui che ha il demonio”, quindi è il massimo elemento deviante: vuoi dire essere impossessato e perciò in quel senso folle.
Credo che se intendiamo come via, in questo caso, i valori rassicuranti e stabilizzati allora lo spirito è deviante, ma ci può essere una devianza di carattere «diverso», una devianza «deviata» che è quella che si manifesta, per esempio, nell’uccidersi, nel morire, nell’uccidersi nell’uccidere... una devianza che diventa disperazione.
Ma questo molte volte accade non da devianti, ma accade nel cuore della gente perbene, in fondo: la droga, il suicidio e anche la violenza possono nascere nel cuore della stabilità, del benestare e dell’apparenza sicura. Se, invece, intendiamo nel tuo senso, la devianza come rifiuto di ciò che è moralmente ovvio e richiesto in un tempo, allora è la devianza spirituale. Rimane sempre un senso in cui la devianza può essere riferita non ai valori consolidati del sociale ma alla verità o al bene o alla giustizia come tali, allora dovrei cambiare il senso ma se tu intendi devianza non in senso spirituale, non devianza dello spirito ma devianza dal “grosso animale sociale”, come diceva Simone Weil citando Platone, allora devianza è il volto stesso dello spirituale.
- Oggi è ancora possibile la “disobbedienza” come pratica della libertà?
La libertà nasce sempre dalla pratica della disobbedienza.
- Alcuni intellettuali tra cui Bobbio, Acquaviva, Cacciari, Sterpa hanno ultimamente dibattuto sull’attuale significato culturale della Destra/Sinistra e della utilità o meno di abolire i vecchi contrapposti schieramenti politici. È possibile abolire la cultura dei vecchi schemi?
Destra e Sinistra sono termini molto antichi e sono incorporati nella nostra cultura, d’altro lato essi possono essere usati in vario senso e modo. Tuttavia credo che rimarrà sempre una dialettica tra primato dell’ordine e primato della giustizia; quindi torno al punto di prima: Destra vuoi dire da noi l’ordine ad ogni costo; la Sinistra può voler dire giustizia quando è all’opposizione, può voler dire il contrario di giustizia quando è al potere, ma Destra vuol dire, sempre e soltanto, abuso di potere. Per cui la Sinistra è un termine ambiguo, ma la Destra è un termine univoco.
- Come spieghi il nuovo matrimonio nonviolento tra i giovani e il disarmo, dopo le accese lotte del ’68 e del ’77?
Forse per il fatto che il terrorismo è fallito, per il fatto che l’Autonomia si è spezzata e anche perché questa volta il «là» è venuto da fuori d’Italia e non credo che il Movimento per la Pace sarebbe nato in Italia; in Italia le sinistre del movimento sono state praticamente massacrate dal terrorismo e dalla risposta dello Stato al terrorismo. I Verdi tedeschi, i pacifisti europei e americani hanno legittimato in Italia un movimento per la pace. Esso, come tale, è un movimento importato, quindi da noi ancora particolarmente fragile; se non avesse qualche appoggio nelle strutture esistenti, quelle comuniste, quelle del sindacato, difficilmente potrebbe vivere per conto proprio.
- Esiste un terrore nucleare... il terrore o l’angoscia nucleare?
In Italia ancora no, non esiste ancora, in altri Paesi esiste già. Esiste in Paesi che per qualche misura sono più esposti. Esiste il terrore nucleare in Germania, Inghilterra e America. Tra l’altro esiste in tutti i Paesi che non saranno mai oggetto di attacco nucleare; l’Italia è uno dei paesi che rischia di meno.
- Nell’enciclica Pacem in Terris si parla di psicosi bellica. Esiste una pedagogia che alimenta la vocazione necrofila?
Certamente esisterà, difficile però dire quale sia. Tutta quella pedagogia che colpevolizza? Colui che si sente colpevole è in qualche modo nemico di se stesso... oppure, al contrario, quel lassismo che invita a praticare ogni esperienza per cui ogni gesto umano appare irrilevante e privo di significato? Si possono avanzare varie ipotesi su questo punto. Bisogna dire questo: nonostante tutto l’uomo è più disposto alla morte di quello che non si creda, cioè nel senso che può odiare la sua condizione di esistenza o anche se stesso. Questo è un atteggiamento «mortificante», come giustamente dice la parola: che è simile alla morte.
Quando io non mi sento più bene in me, in un certo modo, è come se morissi. Tutto ciò che spezza l’Io dal Sé è in qualche modo necrotizzante. Questo non significa che sia necrofilo, la necrofilia è un’altra cosa; veramente distruggersi e niente distrugge il Sé meglio dell’Io.
- Che cosa è l’utopia per Baget-Bozzo?
Ciò che non c’è ma che appunto per questo può esserci. È la essenza che non ha trovato ancora una esistenza ma che è, d’altro lato, la misura dell’esistenza.
- Io credo, e tu dammi torto o ragione, che il Poeta sia un gran mentitore.
Ma, io non so, per dirti la verità perché mente? Una volta era «fabulas fingere» l’invenzione del Poeta. Poietès vuoi dire creatore, è creatore di realtà alternative, perché chiamarle menzogne?
- Questo è vero, ma anche mentire significa creare: creare realtà nuove, differenti...
Nel Cratilo di Platone c’è un lungo trattato sulle etimologie, vi sono etimologie un po’ risibili, ma non mi ricordo che ve ne sia qualcuna sulla poesia, che del resto Platone non amava. Ad ogni modo è certo che creare la realtà alternativa è aggiungere non togliere, quindi conseguentemente la poesia non è una menzogna: è guardare con occhi diversi le medesime cose, però è certamente un’inclinazione verso la distruzione del Sé, cioè l’uomo può trasformare in simbolo la realtà. È al di là della dialettica “vero-falso”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Gianni Baget Bozzo: le opinioni di un “teologo irregolare”
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