Carlo Bordini (Roma, 1938) è stato militante trotskista negli anni sessanta, ricercatore di Studi storici all’Università La Sapienza di Roma, si è occupato di poesia, narrativa e saggistica. Tradotto in spagnolo, svedese e francese, ha collaborato con importanti testate giornalistiche e riviste letterarie.
Tra le sue pubblicazioni:
- "Dal fondo, la poesia dei marginali" (Savelli, 1978);
- "Strategia" (Savelli, 1981);
- "Manuale di autodistruzione" (Fazi, 1998);
- "Polvere" (Empirìa, 1999);
- "Pezzi di ricambio" (Empiria, 2003-2019);
- "Pericolo, Poesie 1975-2001" (Manni, 2004);
- "Gustavo, una malattia mentale" (Avagliano, 2006);
- "Sasso" (Scheiwiller, 2008);
- "I costruttori di vulcani" (Luca Sossella, 2010);
- "Memorie di un rivoluzionario timido" (Luca Sossella, 2016);
- "Difesa berlinese" (Luca Sossella, 2018).
- Da quale ambiente familiare e culturale provieni? Come e quanto gli studi, le amicizie e gli amori hanno influenzato la tua scrittura?
Una famiglia autoritaria ha fatto di me un ribelle. Questo spiega il lungo periodo (nove anni) di militanza politica. Ma sono un ribelle anche in letteratura. Non amo l’istituzione letteraria, non amo le regole, non amo le mode di scrittura, non faccio parte di nessun gruppo o tendenza. Sono un po’ anarchico, in campo letterario. Leggo quello che mi interessa e non leggo quello che, al primo incontro, non mi interessa. Non cerco di assomigliare a qualcuno e non imito. In America Latina alcune persone si definiscono così: “Laureato in filosofia della vita studiata nell’università della strada”. Io, letterariamente, mi sento un po’ così.
- Nella tua vita, viene prima l’impegno politico o quello letterario e come le due passioni si confondono e si nutrono vicendevolmente?
Questa domanda mi obbliga a riflettere. Nel periodo della militanza politica non ho scritto nulla. Pensavo, come lo pensavano in molti, che era più utile un mediocre rivoluzionario che un buon scrittore. Quando ho ricominciato a scrivere, essere di sinistra è rimasto dentro di me, ma come un velo. Come una nebbia leggera. Come qualcosa che dava un colore delicato ad altre cose. Come una sorta di etica. Abbinata alla coscienza che l’idea di cambiare in meglio il mondo è un’utopia che si ripresenta puntualmente nella storia come una perenne illusione. Quasi una religione.
- Quali sono i poeti, i narratori e i filosofi che più hanno nutrito la tua produzione? Cinema e musica hanno un rilievo importante nella tua quotidianità?
Amo molto Apollinaire. È il mio poeta preferito.
- Che cosa rimpiangi di più dell’atmosfera culturale e politica in cui ti sei formato?
Il senso di libertà e di provvisorietà. Adesso essere provvisori è un lusso molto pericoloso. Un tempo era un lusso piacevole, possibile, e anche creativo ed appagante. Era possibile essere contro e fare esperimenti. Cioè: fare esperienze che erano anche esperimenti…
- Qual è il tuo libro a cui sei più legato e cosa ti piacerebbe ancora scrivere e pubblicare in futuro?
Credo di aver scritto un unico libro, in tutta la mia vita, che poi si è diviso in varie occasioni editoriali. E credo che continuerò a fare la stessa cosa anche in futuro. Posso dire che l’unico libro che sono andato scrivendo fin dalla nascita è composto da una serie di domande, da una serie di interrogazioni su me stesso, e sul mondo che mi circonda. Credo che troverò sempre risposte parziali che mi lasceranno insoddisfatto e che continuerò a cercare. Ma le domande vengono da sole. Non bisogna forzarle. Se vogliamo invece passare al piano editoriale, i miei libri più importanti sono I costruttori di vulcani, che contiene tutte le mie poesie fino al 2010, e Difesa berlinese, che contiene quasi tutta la mia produzione in prosa. Entrambi i libri sono stati pubblicati da Luca Sossella.
- Sei molto presente nei festival, nelle performance e nei raduni letterari. Credi che queste manifestazioni pubbliche aiutino la diffusione della poesia o viviamo in tempi irrimediabilmente prosaici e indifferenti?
Attenzione. Qualcosa sta cambiando. Nonostante il mondo sia governato da forze sempre più oppressive, esiste (anzi, sta crescendo) una forma di resistenza. Minoritaria ma in crescita. In Italia la cultura è stata privata di ogni appoggio economico e il populismo la considera qualcosa di negativo. Ma si sta moltiplicando tutta una serie di iniziative, anche se sono piccole e prive di mezzi. E una parte minoritaria ma consistente di giovani comincia ad esserne attratta. A Roma è impossibile star dietro a tutto, ci sono un sacco di cose in contemporanea, c’è una vita culturale intensa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista allo scrittore Carlo Bordini
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