

Crocifisso Dentello è nato a Desio nel 1978, ma da anni vive a Milano. Padre muratore, mamma casalinga, già da ragazzo lo scrittore legge i maggiori autori, dai classici alle novità in libreria.
Gli autori prediletti sono tanti, da Kafka a Testori, a Pasolini. Molto amato sui social, Dentello ha anche parecchi detrattori che gli rimproverano un italiano molto letterario, quasi manierista, che non si attaglia alle sue origini da autodidatta - qualche decennio fa si metteva in dubbio la cultura di uno dei nostri romanzieri più conosciuti, Alberto Moravia, che non aveva svolto studi regolari; e sono poi gli stessi critici che gridano a gran voce che una laurea non serve a niente, soprattutto per scrivere romanzi.
Il suo primo libro, Finché dura la colpa, esce nel 2015 per Gaffi e parla di un giovane che non lavora e dà un senso alla sua vita nella marea di libri che legge.
Nel 2017 con La nave di Teseo pubblica La vita sconosciuta, che racconta le vicende di Ernesto, disoccupato cinquantenne, che sebbene sposato, ha una doppia vita: il giorno con la moglie, la notte con giovani maschi che si prostituiscono.
Stiamo aspettando il suo terzo romanzo.
- Grazie intanto per la disponibilità. In una chiacchierata prima dell’intervista mi ha detto della ristampa del suo primo libro? Può dire cosa sta accadendo?
La nave di Teseo ripropone ne “i Delfini”, la sua collana di tascabili, il mio esordio. Finché dura la colpa uscì cinque anni fa. Gaffi, che allora lo pubblicò, ha ceduto i diritti su richiesta di Elisabetta Sgarbi, che tanto ha apprezzato questo mio romanzo. Per ora ritorna tra i lettori solo in eBook, in attesa che la fine dell’emergenza coronavirus consenta una programmazione regolare.
- Lei è uno scrittore autodidatta che si sa muovere sui social. Questo suscita un sentimento di stima nei più. Ma c’è anche un gruppo, però, che addirittura mette in dubbio il suo percorso scolastico, facendo intuire che lei si è creato un personaggio. Cosa risponde a chi insinua che lei è laureato in Lettere?
Francamente io non so cosa significhi muoversi sui social. A dirla tutta sono un inetto tecnologico. Dunque mai fatto calcoli, mai pianificato strategie di consenso. Scrivo quello che mi passa per la testa, spesso con involontario autolesionismo. Se ho un seguito di estimatori lo devo alla mia onestà di fondo. Non ho pose, non ho secondi fini. Sono me stesso fino alla noia. Non esiste nessun “personaggio”. Semmai ce lo vogliono vedere i frustrati che popolano i social. Sono un autodidatta autentico, mai terminati gli studi. È facile appurarlo, basta interrogare i miei familiari, gli amici più intimi. Certe insinuazioni mi fanno veramente sorridere.
- Lei ha la capacità di organizzare un numero considerevole di informazioni. Non fa mistero di un suo grande desiderio, ovvero vivere in una redazione di un quotidiano per tutta la giornata per immagazzinare notizie 24 ore al giorno. Ossessione o bisogno di controllo?
Ossessione, sì. Sin da ragazzino. Ricordo che durante l’intervallo, in terza media, mentre i miei compagni si rincorrevano nel corridoio, io me ne stavo sul banco a leggere il Corriere. Non è solo voglia di conoscere cosa succede nel mondo. È che io proprio non riesco a separare il mio privato dalla dimensione pubblica. Mi sento parte del mondo, la mia quotidianità non è mai disgiunta da tutto ciò che accade fuori dalla mia porta. Spesso mi criticano per i miei tributi in occasione di lutti vip, ma davvero certi scrittori o registi o attori fanno a tal punto parte del mio orizzonte che io ogni volta perdo un pezzo di me stesso.
- Lei collabora per "Il Fatto Quotidiano", su cui scrive di avvenimenti culturali, di scrittori o recensisce libri che le sono piaciuti. Il "lavoro culturale" lo appaga? Cosa è la cultura ora in Italia? Chi la fa?
Posso dire di avere consumato la mia vita sui libri così come sulle pagine culturali dei giornali. Ho sempre desiderato poter scrivere su un quotidiano nazionale. L’opportunità me l’ha concessa Silvia D’Onghia del "Fatto Quotidiano" e non smetterò mai di ringraziarla. Io interpreto questo piccolo ruolo veramente come un servizio. Non mi interessa montare in cattedra e stabilire cosa sia buono e cosa sia cattivo. Mi limito a “illustrare” i libri con tutta la passione e la serietà che mi animano. Purtroppo tocca registrare che sempre più la pubblicistica culturale sulla stampa è un mercimonio di favori e di marchette.
- Lei sostiene con assoluta convinzione che leggere libri non migliora le persone. Quale qualità serve per trarre giovamento reale dai libri e cos’è per lei l’erudizione?
I libri da soli non bastano a nobilitare alcunché, ma poi perché dovrebbero? Liberiamoci da questa assurda sacralità. Ricordiamo tutti i gerarchi nazisti che di giorno sterminavano gli ebrei e che di sera si concedevano letture impegnate. Mettiamola così: i libri possono diventare strumenti di comprensione del mondo solo se il lettore cova dentro di sé l’ambizione di essere un uomo giusto nella sua vita di tutti i giorni.
- Siamo tuttora in un periodo di pandemia da coronavirus. Come sono state le sue giornate? Ha capito qualcosa di sé che non immaginava?
Invidio coloro che riescono a trovare un modo per abitare queste giornate di confinamento coatto. Mi sento soffocare come fossi un ergastolano dietro le sbarre. La solitudine per me è sempre un esercizio di libertà. Nel momento in cui la subisco è la peggiore delle torture possibili. Ho capito una banalità, ma spesso le banalità sfuggono, e cioè che è una mera illusione ritenersi autosufficienti. Non può esistere nemmeno un mondo interiore se non in collisione con gli altri.
- Philip Roth ha detto che gli scrittori del nuovo millennio possono prescindere da Proust, da Musil, ma non da Kafka. È d’accordo con lui? Le piace Kafka?
Sono d’accordo, eccome! Kafka è l’autore che più ho letto e riletto. Non solo le opere di narrativa, ma anche i diari, gli epistolari. Nelle sue pagine c’è tutta la verità dell’uomo e sull’uomo.
- A lei piace il mangiar bene, il sesso, la conversazione? Walter Siti in un’intervista qui su Sololibri ha detto che si vede vivere e spesso gli sembra una condanna. Anche lei si vede vivere, a volte?
In un’altra intervista credo di aver detto più o meno come segue: "Ho visto trascorrermi la vita accanto mentre non facevo altro che leggere". Tornassi indietro leggerei un libro in meno e mi concederei una scopata in più. Ho compreso che la vita è tale solo quando contiene tutto e il suo contrario.
- Quali sono gli elementi essenziali che le fanno dire sì questo è un buon libro, un buon romanzo?
Potrei risponderle come Testori nelle sue Conversazioni con Doninelli, quando sostiene che in un’opera letteraria ciò che ama di più è “la tenerezza, il magone”.
Ecco, un libro è buono quando restituisce “quel senso di pochezza dell’esistenza che, d’un tratto, diventa senso dell’eterno”.
- Ci può dare alcune notizie sul suo nuovo libro? Ne saremmo lieti, anche se non può o non vuole dire molto.
Ho già scritto due nuovi romanzi. Il prossimo che uscirà sarà un romanzo dedicato al mondo del cinema.
- Lei in altre interviste ha detto che non sa fare altro che scrivere. Una necessità allora? Un’urgenza e un’ossessione? Lei è uomo fatto, ma quando ha deciso per la scrittura i suoi genitori cosa dicevano? Erano contenti o anche preoccupati?
Sarò sincero. Dovessimo giudicare la mia vita con il metro del giudizio mondano non sarei che un fallito. Non ho mai combinato nulla. I miei genitori si sono rassegnati. La scrittura è un alibi per continuare a restare nel mondo con un piccolo credito.
- Lei è molto amato sui social perché si spende non solo in riflessioni, ma anche con anniversari di scrittori, registi e attori e attrici, e ricordando anche a qualche distratto dei programmi culturali che vanno in onda. Da dove deriva questa attenzione?
Io mi sento ferito ogni volta che la parabola di un grande artista finisce in un cono d’ombra. Nel mio piccolo tiro la coda alla memoria perché almeno per un istante occhi diversi dai miei si soffermino su un nome ingiustamente dimenticato o trascurato.
- Di solito finiamo con dei consigli di lettura. Ha letto qualcosa nell’ultimo anno che vuole suggerire? Grazie.
Suggerisco un libro che ho molto amato perché racconta una poetessa che amo e una stagione culturale per la quale sento una inspiegabile nostalgia pur non avendola vissuta. Mi riferisco a Miss Rosselli di Renzo Paris.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Crocifisso Dentello: torna in libreria "Finché dura la colpa"
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