Oggi facciamo quattro chiacchiere con Damiano Verda, co-autore del libro The Masterplan. Il grande progetto.
- Cosa ha di diverso “The Masterplan” rispetto a un altro romanzo giallo, cosa lo identifica?
La coesistenza di diversi generi e sensibilità. Il titolo “The Masterplan”, ad esempio, si ispira a un pezzo degli Oasis, ma nel racconto risuonano e giocano un grande ruolo anche note di altro genere, come quelle de “L’isola non trovata” di Guccini. È un racconto polifonico, in cui c’è spazio, tra un indizio e l’altro, per ciascuna delle voci che narrano e vivono la storia di dire la propria. Si ha modo, per così dire, di guardarsi intorno e di incontrare i personaggi.
- In effetti, tra un dialogo e l’altro, si ha quasi la sensazione di fare la conoscenza tanto dei protagonisti, quanto delle figure (apparentemente) minori. Da dove vengono Riccardo, Marisa, Antonio, Venturi e tutti gli altri? Perché li sentiamo così vicini?
Perché lo sono: sono persone in carne e ossa, imperfette, a turno protagonisti e vittime di eventi che soltanto per brevi attimi riescono a comprendere e a controllare. Poi passano la mano, a volte con rabbia e a volte con un sorriso, a confermare la coralità di una vicenda che forse proprio per questo può mostrarsi al lettore ancor più vicina, quasi familiare.
- Quali scrittori e quali giallisti sono stati punto di riferimento e fonte di ispirazione nella stesura del romanzo?
Su tutti, Raymond Chandler e Rex Stout, tra gli scrittori più ironici e autoironici, a mio avviso, nel tessere le proprie trame. Forse, tutto sommato, “The Masterplan” è più vicino alle atmosfere di Stout, visto che l’elemento di giallo deduttivo prevale rispetto agli aspetti più polizieschi.
- Che protagonista è Riccardo? Più un Nero Wolfe di un Philip Marlowe quindi?
Nessuno dei due! Pur intelligente, non è dotato dell’infallibile acume di Wolfe e, pur non disdegnando l’azione, non ha i riflessi o la malizia di Marlowe. Riccardo è un detective sui generis e per necessità: finisce invischiato in una brutta storia, soltanto perché si ritrova, sbalordito, con un cadavere nel pozzo dell’orto della sua casa d’infanzia. Era tornato al paese da Milano cercando pace, si imbatte invece in misteri e delitti. Ma la sua forza sta proprio nel saper affrontare la cosa, forse stupendosi egli stesso della propria intraprendenza, in nome di un’umanità e di un senso di giustizia a cui non sa e non vuole rinunciare.
- Lungo tutta la narrazione, a partire proprio dal ritrovamento del cadavere nel pozzo, si respira un distacco e, al contempo, una corrispondenza tra la città (Milano) e il piccolo paese. Cosa li tiene insieme e cosa li allontana?
Li tiene insieme il fatto, come ricorda o’ marescia’ a Riccardo, che il gallo canta sempre allo stesso modo. Le stesse invidie, gli stessi intrighi, le stesse speranze, in fondo, animano tanto i progetti e le ansie della città, quanto le paure e i sogni del paese. Soltanto, in paese, Riccardo ha forse l’impressione di osservare le cose più da vicino, e si sorprende a esserne tanto incuriosito quanto spaventato.
- Ad accompagnare gli eventi, come in sottofondo, gli ambienti, con un meteo variabile e capriccioso a dare colore alle scene, che è quasi un personaggio-ombra del romanzo. Come mai questa attenzione ai raggi del sole, alle nuvole, alla neve?
Comincia tutto dalla neve, che irrompe nella vicenda e, inducendo un isolamento del paese (e di Riccardo) dalla vita di tutti i giorni, la caratterizza. Da lì in poi, oltre che intorno a sé, ci si ritrova a volgere lo sguardo in alto, come a sospettare un nuovo tiro mancino. Ed effettivamente nuvole, vento, sole e gocce di pioggia ci prendono gusto, vogliono dire la loro, come a sottolineare i momenti fondamentali del romanzo.
- Da dove nasce l’idea di affiancare tematiche fantasy al classico gioco di deduzione?
Gli anni di inizio millennio, in cui il romanzo è ambientato, sono anche quelli in cui la trilogia de “Il signore degli anelli” fa incetta di Oscar. Sono anni in cui, anche ai giovani di provincia, una partita a Dugenons & Dragons offre l’occasione di immaginare nuovi mondi, in una forma d’evasione più partecipata e interattiva. E così nasce l’idea di immaginare ragazzi e adulti che tirano dadi insieme, in mezzo all’orto, raccontandosi storie antiche e moderne.
- Che ruolo ha l’informatica?
È essenziale alla risoluzione del mistero, che sarà in larga parte svelato dalla scoperta di una misteriosa password e costituisce anche un significativo perno narrativo: Riccardo, Marisa e gli altri non sono ancora patiti dello smartphone, ma si informano via internet e hanno i piedi già ben piantati nel terreno di una new economy sempre più pervasiva.
- Se “The Masterplan” fosse un film, a chi affideresti il ruolo di Riccardo e di Marisa?
Sognando in grande, a Valerio Mastandrea e a Isabella Ragonese, che incarnano al meglio la misurata, gentile eppure tenace combattività dei protagonisti.
- Progetti per il futuro?
Oltre ai gialli, sono molto appassionato di fantascienza: mi piacerebbe avere occasione di cimentarmi col genere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Damiano Verda, co-autore di "The Masterplan. Il grande progetto"
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