Letizia Pezzali è nata a Pavia e ha lavorato per anni a Londra in una banca di affari.
"L’età lirica" (Dalai editore, 2012), il suo primo romanzo, è stato finalista al Premio Calvino.
I diritti di traduzione di "Lealtà" (Einaudi stile libero, 2018) sono stati venduti in sette Paesi prima ancora della sua uscita nelle librerie italiane; i diritti cinema/tv sono stati opzionati da una casa di produzione internazionale.
- Il tuo primo libro è "L’età lirica", dove il personaggio principale è Mario Geranio, che non si dimentica facilmente. In una situazione da "compagni di scuola" si forma via via un amore assoluto tra Mario e Adrian. Sembra una cosa in più rispetto all’economia del racconto. Perché diventa così importante invece?
Perché è un sentimento rivelatore. Mario Geranio, come succede a volte da ragazzi, passa molto tempo fra le pareti confortevoli della mente. Naturalmente è anche un corpo che si muove nel mondo, va a scuola, alle feste, si confronta con gli altri in modo più o meno superficiale, è osservato con curiosità a volte, a volte scompare nella folla. Non è mai del tutto escluso, ma non possiamo dire che sia protagonista. È come se l’intera esperienza del mondo gli arrivasse attutita. Adrian entra nella vita di Mario come un’eco, un’allusione. Un paio di scarpe, un modo di camminare, un maglione che punge. Si insinua, rapidamente si fa strada nel desiderio, fino a prendere corpo nell’inseguimento sensuale vero e proprio. Nella realizzazione e nella tragedia.
- Anche nel romanzo "L’età lirica", come nel tuo libro più famoso "Lealtà", c’è l’aggettivo opaco, il sostantivo opacità? Cosa vuol dire per te opaco?
È una parola che descrive la vita e l’agire degli esseri umani. Un’idea shakespeariana. Nelle tragedie Shakespeare non rivela tutti i rapporti causa-effetto che guidano le azioni dei personaggi, non crea cioè un congegno perfetto, un enigma risolvibile, ma sottrae alcuni passaggi logici, le motivazioni precise, le spiegazioni etiche, arrivando a creare quella che si chiama “opacità strategica”. Cioè qualcosa di molto diverso dalle narrazioni che alcuni oggi considerano impeccabili, i cosiddetti “meccanismi oliati”, i “romanzi scorrevoli”, i “giochi a incastro” che quasi rispondono (e in alcuni casi proprio rispondono) a logiche algoritmiche. Non parlo solo di soluzioni tecniche del racconto, ma di una concezione dell’esistenza. Shakespeare preferiva ciò che è parziale, danneggiato, irrisolto. Lo scetticismo, il dolore, il rifiuto delle consolazioni troppo facili.
Il termine opacità, curiosamente o forse no, è anche economico. Alcune parole e immagini che uso nella scrittura derivano dall’economia, questo vale soprattutto per "Lealtà," ma anche ne "L’età lirica" ci sono dei cenni. Mi piace l’idea di affrontare alcune “questioni della lingua”. Il mercato e il suo linguaggio ormai fanno parte della quotidianità, senza che neppure ce ne rendiamo conto.
"Opacità" in senso economico significa mancanza di simmetria fra le parti. Come quando qualcuno sa cose che gli altri non sanno, e lo scambio commerciale diventa imperfetto, sbilanciato, ingiusto. Opaco. Nascondere le carte. Naturalmente si tratta di un’immagine molto versatile e per questo mi attrae.
- Mario anche se è bellissimo, senza la piccola storia con Marta, sembra trasparente. È la condizione degli adolescenti quella di essere invisibili finché non stanno con qualcuno di successo?
Durante l’adolescenza, dal punto di vista sentimentale e sessuale, siamo molto esposti alle preferenze altrui. All’idea di "popolarità": il bello della scuola, la bella della scuola. Non sempre sono i più belli, di sicuro sono quelli che la media ha deciso di considerare i più belli. Come quando decidiamo di comprare un paio di scarpe di certo marchio: prima non ci piacevano, poi abbiamo iniziato a vederle in giro sempre più spesso e abbiamo scoperto di volerle. Non capiremo mai bene il perché. È la moda.
Nel mondo degli adolescenti, se un ragazzo poco conosciuto inizia a uscire con una ragazza che ha già consolidato il proprio successo, aumenterà, di riflesso, la propria visibilità. Sono dinamiche legate a quel tempo della vita, da adulti si hanno le idee più chiare su quello che si vuole, almeno per quando riguarda il puro desiderio sessuale. Difficilmente un adulto mentirà a se stesso e desidererà fisicamente una persona solo per compiacere i suoi coetanei. Oddio, non so, ora che ci penso magari alcuni lo fanno.
- Perché prendi il titolo che Kundera voleva mettere al suo romanzo "La vita è altrove"?
È vero, Kundera avrebbe voluto intitolare "La vita è altrove" diversamente, lo spiega nella prefazione al romanzo. Il titolo originale era appunto "L’età lirica" e fu cambiato all’ultimo momento su richiesta dell’editore, che pensava fosse un titolo astruso. L’età lirica è la giovinezza, il tempo dell’inesperienza, della brama di assoluto. Il libro di Kundera parla di un poeta di regime, parla del kitsch. E il protagonista del mio romanzo, a tratti, è come un poeta dentro un regime.
- Il tuo secondo libro "Lealtà" non solo è piaciuto al pubblico ma agli altri scrittori. Se chiedo di dirmi un libro attuale da consigliare ai lettori quasi tutti dicono “Lealtà” della Pezzali. Perché "Lealtà" piace tanto agli altri scrittori, ti sei fatta un’idea?
Sono contenta che tu abbia questa sensazione, è una cosa che mi fa piacere. Per quanto riguarda le motivazioni per cui uno scrittore apprezza un altro, posso dirti come ragiono io: di solito preferisco i libri che sono affini alla mia idea di scrittura. Li riconosco perché sono libri che leggo lentamente, fermandomi spesso a pensare. Se un racconto “scorre via come l’acqua” per me non è un buon segno. Può darsi, ma non è detto, che alcuni scrittori apprezzino il mio libro per ragioni simili.
- Quando ho letto io "Lealtà" la prima volta non c’era una fascetta che dice che il libro è un mix di Kundera e Houellebecq ma al femminile. Sei d’accordo con chi ha ti ha definita in questo modo?
È una frase detta da un editore straniero che tradurrà il romanzo. Non sono nella posizione di giudicarla, posso solo dire che ho letto e amato sia Kundera sia Houellebecq.
- Ci sono libri recenti degli anni 2018-2019 che ti sono piaciuti e che hai voglia di consigliare?
Ho consigliato molto Sally Rooney, Rachel Cusk, Karina Sainz Borgo, Carmen Maria Machado. Leggo molti scrittori italiani contemporanei, ce ne sono parecchi che seguo con attenzione e che mi interessano. Sarebbe difficile fare nomi senza lasciare fuori qualcosa di importante per me.
- Su di te, sulla tua vita e sui tuoi libri c’è molta curiosità, forse perché non vivi in Italia. In cosa sei laureata? Perché scrivi così bene, solo casualità o hai frequentato un corso di scrittura, ammesso che queste scuole di scrittura servano realmente? Quando uscirà un nuovo libro dopo "Lealtà"?
Non credo ci sia niente di casuale in quello che scriviamo e in come lo scriviamo, alla base deve esserci naturalmente un interesse, delle abilità, ma per il resto si segue un percorso. Ogni libro “lotta” con il precedente, forse dovrei dire ogni pagina.
Io sono laureata in economia. La mia formazione letteraria viene dallo studio personale. Non ho mai frequentato scuole di scrittura, questo non vuol dire che le consideri inutili. La scrittura è un’attività molto solitaria e le persone a volte hanno bisogno di riscontri, di un’organizzazione, oltre che di consigli su come muoversi. Io sono stata fortunata perché ho “incontrato”, molto presto, il Premio Calvino, grazie al quale ho potuto trovare un editore.
Alcuni anni fa, quando vivevo a Londra per lavoro, durante un periodo sabbatico ho frequentato un corso di regia cinematografica. Questa esperienza mi è servita anche a capire, per contrasto, le potenzialità della letteratura rispetto ad altre forme.
Dopo "Lealtà" arriverà un nuovo libro. Lo sto scrivendo da tempo, ma non l’ho ancora finito.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Letizia Pezzali, autrice di "Lealtà"
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