Nel dicembre 2018 la casa editrice Calibano ha pubblicato “ Era una giornata di sole” primo romanzo di Mariano Brustio già coautore di libri sul grande Fabrizio De André, poi socio promotore della Fondazione dedicata al cantante e scrittore di articoli e dossier.
Il suo romanzo si legge con facilità, perché scritto con linguaggio fluido e il contenuto lascia ai lettori sentimenti tanto positivi quanto quelli che animano i personaggi della vicenda. Ecco l’occasione per conoscere meglio questo autore.
- Scrive di musica ed ora anche romanzi, come si descriverebbe lo stesso Mariano Brustio?
Un autore curioso. La curiosità è un ingrediente che mi appartiene da sempre. E non la confondo con il pettegolezzo, come a volte qualcuno o tanti fanno. Essere curiosi ti porta a scoprire mondi che non ti appartenevano. Ti porta a conoscere quel filo che unisce le storie, ti porta a conoscere certi autori che ti erano sconosciuti, a volte anche solo leggendo gli autori di una canzone o le dediche e le citazioni nelle prime pagine di un romanzo.
Vorrei permettermi il lusso di diventare, magari un giorno, uno scrittore. Nel senso di poterlo fare per professione. Andando ad aprire i social, di qualsiasi genere, si apprende che esistono una quantità di scrittori che quasi supera il numero dei lettori. Io sono un semplice autore che ha tentato di trasmettere qualche emozione. Spero di esserci riuscito. Non desidero portare il lettore ad amare o condannare un personaggio. Desidero solo descrivere situazioni e accadimenti da un punto di vista diverso rispetto alla maggioranza di coloro che scriverebbero e supporterebbero a spada tratta la propria opinione oppure il proprio eroe. Io desidero mostrare un punto di vista diverso in modo che il lettore si faccia una propria opinione. Questo lo ha colto molto bene Giancarlo De Cataldo che nella sua prefazione al mio racconto ha scritto testualmente:
Un autore che crede nella compassione e si astiene da ogni frettoloso giudizio morale: perché, come dice Chepi, la sposa indiana di un rude boscaiolo del Québec, “Grande Spirito, preservami dal giudicare un uomo prima di aver percorso un miglio nei suoi mocassini”.
- Quanto la musica, in particolare la vicinanza a Fabrizio De André, ha influito sulla sua preparazione e sulla sua crescita personale?
Ho avuto la fortuna e il privilegio di poter conoscere artisti importanti, nella musica e nella letteratura. Ho potuto o almeno cercato di abbracciare e capire, certo da una posizione privilegiata, perché certe emozioni che l’artista aveva cercato di trasmettermi, mi sono arrivate come una fucilata nel petto. E mi sono dato un gran daffare per scoprire il senso e l’origine di certi versi. Sono stato, come accennavo prima, “curioso”. Ed ho scoperto, per citare appunto una canzone di Fabrizio De André, che “nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi” è mutuata, interpretata, arricchita come dice anche il verso di Jacques Prevert nella poesia “Embrasse Moi”
“Il sole del buon Dio non brilla qua da noi, ha già troppo da fare nel quartiere dei ricchi”.
E da lì o da altri versi, la mia curiosità mi ha spinto a scoprire tanti altri autori, racconti, poesie, a raccogliere confidenze anche dagli artisti stessi, e lo ho incastonate insieme alla mia fantasia nel romanzo di cui stiamo parlando.
Fabrizio De André per primo mi ha insegnato a non dare nulla per scontato e forse a fare dell’incertezza una virtù per poter essere abbastanza umile da chiedere lumi o consigli ad altri. Mi è capitato ad esempio con Fernanda Pivano. Tanti anni fa ha letto qualche pagina di questo racconto, peraltro era solo un abbozzo elementare nella trama e nell’esposizione, ha preso il telefono e ha cominciato a chiamare qualche suo amico editore. Le era piaciuto il mio modo di esprimermi con le parole. Ma un nome sconosciuto come me non avrebbe mai potuto pubblicare con una major. Fernanda ha scritto una pagina intera per il mio racconto, la conservo ancora gelosamente, ma non ho voluto approfittare della sua assenza e metterla in cima al romanzo. Il rispetto per questa straordinaria persona che mi ha insegnato davvero tante cose, ha avuto la meglio e ho preferito conservare quelle parole solo per me stesso.
- Com’è nato il suo romanzo? Fantasia o riferimenti con la realtà?
Direi che è stata una giusta commistione di entrambe le cose. E in realtà non è stato nemmeno particolarmente difficoltoso immaginarmi i personaggi. Sono tutte persone vere, realmente esistite, salvo qualche apparizione saltuaria di altre figure che stavano diventando indispensabili durante la stesura del racconto. La rude dolcezza di Eugenio, il Capitano attorno al quale si snoda l’intera storia, era la caratteristica di quell’omone all’apparenza burbero, con il giaccone di panno pesante e l’immancabile zaino, che ho conosciuto da ragazzino in un cantiere nautico su un lago del novarese. Così come il capostazione Nicola, che era davvero il capostazione del paesino, dal quale ho appreso tanti racconti del periodo nel quale era anche lui ragazzo in Puglia.
Giulio ad esempio era un personaggio straordinariamente attivo e mi ricordo dei suoi racconti quando era sfollato in Svizzera a fare realmente lo stalliere. Ho voluto restituire loro, compresi tutti gli altri personaggi che entrano nel racconto, un’esistenza forse più fortunata di quella che in vita hanno realmente vissuto, unendoli da quel filo della fortuna che tutti desideriamo ci passi accanto almeno una volta. In questo caso, più che la fortuna espressa in termini monetari, quel sentimento di Amicizia che li ha legati così a lungo. Discorso a parte meritano le figure femminili, anche queste mutuate da persone realmente conosciute. Il reale pilastro attorno a cui nascono le mie storie.
- Il libro è preceduto da una dedica tratta da alcune righe dello scrittore e poeta colombiano Alvaro Mutis che così recitano” a... Coloro che vivono in mezzo al mare da tanti secoli e che nessuno conosce perché viaggiano sempre in direzione ostinata e contraria alla nostra. Da loro dipende l’ultima goccia di splendore”. Mi pare che questo si addica particolarmente a Eugenio e Susanne, protagonisti del romanzo. Cosa ci dice in proposito?
Se qualcuno ha avuto modo di leggere i racconti di Àlvaro Mutis avrà colto tante sfaccettature nelle sue parole.
Le sue minuziose descrizioni, quasi seicentesche, dei personaggi e dei luoghi, ma soprattutto la loro statura psicologica e il desiderio con la necessità di non lasciare che i protagonisti vengano travolti dal destino, ma artefici del loro stesso destino, anche spesso lottando con tutta le loro forze. Il mare che è il protagonista assoluto di molti dei suoi racconti, quasi in gara con l’altro personaggio evocato in molte opere, parlo di Maqroll il Gabbiere.
La necessità del riscatto rispetto alla sfortuna che spesso la vita riserva.
La marcata differenziazione fra “le maggioranze e le minoranze”. Le prime a decidere spesso la sorte delle altre.
E in un contesto simile, proprio coloro, quei pochi, che osano sfidare certi poteri forti, chiamiamoli così ma per estensione potrei dire coloro che si rifiutano di subire certe vessazioni, sono proprio quelli che ostinatamente si rivoltano ad un destino contrario, precostituito e confezionato. In un gergo che non mi piace, ma che rende bene l’idea, a volte vengono chiamati eroi.
I protagonisti del mio racconto fanno proprio questo. Susanne ed Eugenio non piangono della sfortuna che sta prendendo parte della loro vita, ma lottano con tutte le forze che hanno per riappropriarsi della propria dignità. Ma nello stesso momento non dimenticano di essere stati dalla parte delle minoranze vessate e condividono la loro ritrovata serenità con tutti coloro che sono stati protagonisti delle loro avventure e sventure, per il ricongiungimento della famiglia. E per assonanza con Mutis, ma anche con Fabrizio De André, sono una goccia di splendore dentro un mare putrido di gelosie e devastazioni. Un po’ come diceva Leonard Cohen:
“Dal fango putrido nascono i fior di loto”.
- Le vicende hanno inizio a Genova alla fine degli anni Cinquanta. La Superba era una città animata, viva seppur devastata anni prima dalla guerra. Anche oggi Genova è in difficoltà: questo la accomuna al passato. Cosa, invece, della città è cambiato?
Permettetemi prima di fare una digressione musicale e di spiegarmi meglio, almeno per il lavoro che a Genova ho dovuto fare e ricercare.
Genova è la città che accanto ad una nota cioccolateria conserva ancora quel soffitto viola cantato da Gino Paoli, oggi forse ridipinto, ma è lì e nessuno potrà traslocarlo. Genova è il posto in cui torno sempre volentieri a respirare anche gli odori del porto e in cui un giorno una signorina francese si innamorò di un capitano di Marina, ma questo se volete lo leggerete nel mio romanzo. Indiscussa patria di un mondo cantautorale che oggi rimpiangiamo, e culla di attori che hanno fatto il verso alla prepotenza in personaggi che ora definiremmo bullizzati, i vari Fantozzi che incontriamo tutti i giorni. Genova è stata la città in cui sono nate case discografiche, nel tempo fallite e poi risorte, un bel pasticcio dentro il nostro mondo musicale anch’esso sempre più assetato e dissennato.
Genova un tempo aveva due stemmi: uno scudo con una croce rossa al centro e due grifoni con la coda bassa ai lati ed anni dopo lo stemma vide alzare la coda ai grifoni. Quello stesso stemma con la croce di San Giorgio venduto chissà per quale esatto motivo alla città di Londra. Andate a stupirvi in Piazza De Ferrari ad osservare il vecchio stemma sul basamento dei lampioni. Ed anche qui i meno attenti e curiosi cadranno dalle nuvole. Genova saprà discernere fra i veri cultori delle arti e i meno onesti.
Genova è una città ferita. Oggi più che mai. È considerata il centro storico più grande d’Europa, fatto di carruggi con opere d’arte e bassorilievi che non si vedono in nessun altro posto al mondo. Genova ha una percentuale di motocicli quasi come quella di Bangkok. Genova è stata la città che non ha avuto pietà di abbattere la casa natale di Paganini per regalare ai palazzinari il loro spazio per arricchirsi. È stata la culla, nel bene e nel male, della protesta operaia degli scaricatori di porto, i Camalli. E tristemente la culla di una spaventosa deriva terroristica. Adesso è tagliata in due letteralmente, dopo il 14 agosto del 2018. E ha bisogno di aiuto, di sostegno, di gente capace che pulisca il corso dei fiumi e dei torrenti e non si stupisca che quando piove la città sia allagata.
Nel mio racconto la faccio descrivere così dal protagonista:
“Eugenio il Capitano poteva vedere la sua Genova e la schiuma del suo mare messa lì a proteggerla, con quella costa che gli fa da orlo cucito a mano, imperfetta, fatta di tante piccole insenature e baie dove è facile trovare rifugio, ma è difficile poter approdare. Fatta di monti che a due passi dalla riva ti proteggono dallo straniero, fatta di odori forti e di sapori della terra e di fiori, variopinte pennellate a guardia dei gerani sui balconi e delle persiane semiaperte.”
Ecco mi piacerebbe vederla di nuovo così, per innamorarmi di nuovo di questa città calpestata e usata dai meno attenti e da tante persone scaltre che prediligono le “palanche” alla bellezza ed alla cultura che Genova ci può offrire. Ai più curiosi si intende.
- Poi, una vicenda dopo l’altra, si passa da Genova al Québec in Canada. Molte le traversie, altrettanti i momenti lieti. Su ambedue i luoghi c’è un punto di riferimento in comune: a Genova la Lanterna e nel porto di San Lorenzo un faro. E’ questa un’immagine simbolica?
Sicuramente hanno una forza rassicurante. I marinai non potevano approdare senza una guida di riferimento, una luce nel loro buio infinito. La Lanterna sta lì da quasi novecento anni, abbattuta, ricostruita, restaurata, ma sempre vigile sul mare e sulla città. Unica nelle sue fattezze, diversa da tutti gli altri fari delle nostre coste. Il faro del Quebec è realmente esistente, seppur nella mia fantasia sia diverso nella descrizione. Entrambi comunque rappresentano il luogo dove vorremmo essere, circondati dai nostri affetti e dalle amicizie, o semplicemente soli, e permettetemi di citare di nuovo le parole di Fabrizio De André parlando a proposito della solitudine, io non saprei dirlo in altro modo più elegante:
“quando si può rimanere soli con se stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni e, siccome siamo simili ai nostri simili, credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri. Ho constatato attraverso la mia esperienza di vita che un uomo solo non mi ha mai fatto paura, invece l’uomo organizzato mi ha sempre fatto molta paura.”
- Nel romanzo il mare è protagonista quanto i personaggi stessi. Che cosa rappresenta per loro e anche per lei?
Mi piace rispondere con le parole che ho utilizzato nel mio racconto. Questo è riferito all’attacco navale subito da Genova nel 1940: “Il mare era amico, forza, avventura, lavoro, sicurezza, denaro, svago, tranquillità, nessuno si aspettava che fosse anche sofferenza, dolore e morte”. Quest’altro passo invece si riferisce al protagonista del racconto, il Capitano Eugenio, che spiega al suo figliolo la vita del marinano:
“...il marinaio teme il mare, nel mare ci lavora, si affatica, sta lontano per mesi dai suoi affetti e dal ponte della nave scruta la terra per cercare la sua casa e la colora di tinte sgargianti per riconoscerla da lontano, e chiede di poterci tornare presto, per morire fra le strade della sua città...”
- “Era una giornata di sole” è intriso di sentimenti e legami positivi . Non c’è solo l’incommensurabile amore per la propria metà o per un figlio ma si leggono storie di amicizia, di condivisione . I sentimenti descritti sono così belli da sembrare narrati in un’altra epoca. E’ vero che si descrive un arco temporale di decine e decine di di anni fa ma il racconto è contemporaneo e fa davvero piacere ritrovare chi ne parla ampiamente e sinceramente. Lei, in una società meno generosa in cui ognuno comunica più con il proprio smartphone che con le persone direttamente, è ancora ottimista? Quanto vale oggi l’amicizia e come coltivarla?
In questo mio racconto ho cercato di sottolineare il valore dell’Amicizia che è anche la parte fondamentale e più importante che io ho cercato di trasmettere. Se non altro per emozionare me e l’ipotetico lettore. Dirò una cosa molto cruda: un amore può anche finire, un’Amicizia se finisce non era tale. Ho voluto scrivere di questo ed i miei personaggi riflettono appunto questo sentimento. Ma del resto, pensiamoci bene, non si racconta mai per dire qualcosa a qualcuno. Lo si fa per se stessi. Per rivivere certe emozioni ed anche certe sensazioni. Inutile dire che credo nell’Amicizia. Perché ho avuto il privilegio di essere considerato un Amico. L’Amicizia è un sentimento che richiede devozione ed attenzione. Per sapersi sintonizzare è necessario considerarsi abbastanza umili e sufficientemente curiosi. Almeno per poter godere di quel rispetto che garantisca una dose sufficiente di autostima. E per essere considerati pari è necessaria la reciprocità. Del resto anch’io sono stato scelto in alcune occasioni da sedicenti amici che si sono rivelati poi opportunisti, ma transeat..
Nel mio racconto la scelta del linguaggio non è casuale. Ho fatto parlare i protagonisti cercando di immergermi nei personaggi, usando il dialetto o il linguaggio semplice quando necessario. E forse anche per questo sembra un racconto di altri tempi. Del resto qualsiasi film in qualsiasi canale televisivo è già ben nutrito di volgarità gratuite cui nessuno si ribella. Non stupiamoci troppo e non nascondiamoci quando la realtà riproduce quello che tutti noi impariamo da certe tv. Intendiamoci, non sono e non sarò né un censore né un beghino. Semplicemente mi è piaciuto scrivere con quella certa delicatezza oggi un po’ perduta.
Il titolo ad esempio vuole essere il simbolo di una realtà che continua ad esistere, di una vita che deve continuare, che deve essere presa proprio per la bellezza del ritorno alla vita stessa. Per cercare di trovare la positività anche in tutte quelle piccole azioni quotidiane che comportano la costruzione di una esistenza degna. Intendo dire, piena di dignità, senza doversi affidare a quei plusvalori che ci stanno riempiendo le giornate, e che a volte confondiamo con la realtà. Oggi purtroppo siamo arrivati a confondere il mezzo di comunicazione, lo strumento, lo smartphone o la tv con la realtà. Il Media Caldo e Media Freddo, come nella definizione, molto semplificata in questo caso da me, del sociologo canadese Marshall Mc Luhan. Ecco la espongo così, è meno faticoso aderire e condividere certe posizioni, politiche preconfezionate o anche culturali per estensione, che soffermarci a ragionare veramente sulle cose e sugli accadimenti. Anche per questo motivo il mio sollecito a guardare “la giornata di sole” vorrebbe riportarci ad una dimensione meno artefatta della realtà, magari più vicina ai sentimenti ed alle emozioni.
- Non le pongo un’ultima domanda precisa bensì le chiedo di lasciare ai lettori di Sololibri un messaggio personale e magari qualche idea sulle sue attività future.
Sul futuro spero di continuare a ricamare le vicende di un paio di fanciulli cresciuti ormai sulla costa canadese e di far loro vivere delle belle emozioni da trasmettere agli ipotetici futuri lettori.
Il resto è forse la cosa più difficile che mi chiedete. Non desidero mandare messaggi, non è nel mio stile. Desidero solo sollecitare che ha avuto la pazienza di arrivare a leggere sin qua, a guardare la vita e gli accadimenti quotidiani ragionando con la propria testa e con tanta curiosità, ricordandosi che la propria dignità è il valore più importante che si possiede. E chi ha dignità necessariamente possiede anche il Rispetto per gli altri. E non servono nemmeno i quotidiani oggi a confermarne la mancanza.
Facendo ben attenzione però ad una cosa, almeno per me altrettanto importante: attenzione a tutti coloro che si vantano oggi di andare in direzione ostinata e contraria, perché non si sono accorti che stanno andando tutti insieme nella stessa direzione.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Mariano Brustio, autore di "Era una giornata di sole"
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