Paola Calvetti è nata a Milano, dove ha frequentato il liceo linguistico Alessandro Manzoni, e tuttora ha la sua residenza nella città meneghina (ma passa anche dei mesi a Parigi).
Colta e curiosa, ha molte passioni, tra cui la danza. A soli 18 anni ha scritto un libro, Lo spazio fantastico, edito da Emme Edizioni, che tratta di danza e mimo per i bambini.
Si laurea al DAMS di Bologna. Subito dopo inizia a collaborare per il quotidiano "la Repubblica", diventando giornalista di fatto superando l’Esame di Stato. Poi è nel programma Mixer, su Rai2. Suoi sono cinque film, per cui firma soggetto e sceneggiatura, dei ritratti delle più famose star della danza.
Ha scritto libri di musica e danza editi dalla Teatro della Scala di Milano, dove è stata ufficio stampa dal 1993 al 1997.
È assolutamente impossibile scrivere tutte le cose che ha fatto: un libro su Riccardo Muti; ha avuto cariche di prestigio sia per Baldini & Castoldi (Direttrice ufficio stampa) sia per il Touring Club italiano (Direttrice della comunicazione).
Finalista al premio Bancarella con il suo primo romanzo L’amore segreto (Baldini & Castoldi, 1999), nel 2000 ha pubblicato L’addio per Rizzoli, tradotto in diverse lingue. Nel 2004, per Bompiani, il libro Né con te, né senza di te, che in soli quattro mesi ha raggiunto le cinque edizioni.
Autrice di Noi due come un romanzo (Mondadori, 2009), Cara sorella (Bompiani, 2011), e poi Olivia, ovvero la lista dei sogni possibili (Mondadori, 2012) e Gli innocenti (Mondadori, 2017). Fino ad arrivare al suo ultimo libro pubblicato, il grande successo editoriale anche all’estero, Elisabetta II. Ritratto di Regina (Mondadori, 2019). Parleremo di questo magnifico libro e dell’anteprima del prossimo progetto editoriale.
- Grazie per la disponibilità. Lei ha fatto mille cose nella sua vita, non solo la scrittrice, ma ha partecipato attivamente a programmi televisivi di grande fascino, dove ha saputo raccontare dei migliori ballerini conosciuti a livello internazionale. Di fronte a tutte queste attività dire "Paola Calvetti, scrittrice" le basta?
Certo che mi basta! Anzi mi fa effetto essere definita scrittrice… giornalista mi sembra meno impegnativo, ho anche fatto l’esame di stato e dunque sulla carta d’identità c’è scritto giornalista. Comunque se ho fatto tante cose (e molti lavori, anche importanti) è perché sono… anziana. Ho il curriculum di una vecchia.
- È vero che la sua agente letteraria l’ha spinta fermamente a scrivere della regina Elisabetta II?
No, me lo ha chiesto Nicoletta Lazzari, editor della Mondadori e la mia agente ha caldeggiato, anche perché immaginava di vendere il libro ai miei editori stranieri. Come è accaduto.
- Cosa significa scrivere di questa donna, in Italia, dove il biografo ufficiale della casa reale inglese è Antonio Caprarica? Ha letto i libri del giornalista? Come li trova?
La mia “Elisabetta” è diversa dai libri di Caprarica. Io ho scelto un punto di vista inedito a cui nessuno aveva mai pensato e cioè quello dei grandi fotografi che, nel corso del Novecento e fino a… ieri l’hanno immortalata. Ho fatto delle scelte: in 260 pagine non puoi raccontare la vita di una donna di 94 anni, che per inciso, è la regina d’inghilterra.
- Non ho letto tutti i libri dedicati alla regina Elisabetta II, quelli inglesi, per intenderci. Per pigrizia, sicuramente. Il suo libro è rigoroso, ma anche ironico e pieno di aneddoti. Lo ha scritto cronologicamente, partendo dall’infanzia. Com’era Elisabetta da bambina? Qual era il suo rapporto con Giorgio VI? La sua adolescenza è stata rigorosa?
Elisabetta era una bambina felice. Nata in una famiglia di “secondo grado” (il padre era il Duca di York, non era destinato a diventare re), con una madre devota soprattutto al marito fragile e di carattere dolce ma irascibile. Sappiamo molto della principessa Elizabeth, Lilibeth per parenti e amici, perché la sua baby sitter, anticipando i tempi, raccontò tutto nel libro best-seller The Little Princesses. L’adolescenza fu più impegnativa, diventato re suo padre, lei era “erede presuntiva” (si dice così) ed è stata “allenata” a diventare, un giorno lontano, regina. Il rapporto col padre affettivamente fortissimo si è fatto ancora più stretto da quando è diventato re, nel 1937. Diciamo che Elizabeth ha avuto un’adolescenza rigorosa nell’educazione formale, ma libera nell’affettività, a cui Giorgio VI teneva moltissimo, avendo avuto un padre rigido, anaffettivo, distante emotivamente.
- Si è detto che il matrimonio con Filippo sia stato un vantaggio per la Regina, perché al marito non faceva fatica stare due passi indietro. È vero?
Se ne è innamorata non appena l’ha visto: lui 18 anni, bello, spiritoso, atletico, lei tredicenne timida, educata al trono e dunque formale. Ma appassionata, dentro. Lo ha aspettato durante la guerra, nonostante la madre di lei lo chiamasse l’Unno, ed essendo Filippo di sangue blu, ma squattrinato e impertinente, decisamente poco “accademico”, la famiglia ha fatto di tutto per ostacolarla. Le presentavano aspiranti di ogni genere, ma lei non ha mollato. E dopo la guerra, ha accettato la proposta di matrimonio senza chiedere – come avrebbe dovuto – il permesso al Sovrano, cioè a papà. Ganza, vero?
- Molti cinici di professione, a cui in realtà non importa molto delle monarchie in genere e nemmeno di quella inglese, hanno disegnato la regina Elisabetta come una donna "anaffettiva" che non ha amato il marito e se ne fregava delle sue scappatelle, non ha amato la sorella Margaret, per i suoi comportamenti troppo leggeri, sempre innamorata di qualcuno, è stata distaccata e rigorosa con i figli, senza il bisogno di abbracciarli. È tutto falso?
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Premesso che parliamo di una donna che non ha mai rilasciato un’intervista in tutta la sua vita e che tutti raccontiamo senza controprove, io dico che è tutto falso. Non è anaffettiva, i primi anni del suo matrimonio sono stati assai divertenti per lei, al seguito del marito comandante di navi, a Malta, con i bambini, i suoi cani e le lunghe cavalcate. Era una donna “libera”. A 26 anni si è trovata sul trono di un Impero ed essendo una persona seria, ha dedicato tempo ed energie a imparare a fare la regina, il compito che non si è scelta, ma che ha dovuto accettare. A Filippo, che si occupava dei bambini, il ruolo stava stretto e comprensibilmente si è guardato “intorno”, sfogando altrove la sua intemperanza. Amava sua sorella, ma non è riuscita ad aiutarla (destino dei secondi... come il principe Harry) tralasciando i doveri: come sorella voleva amarla, come regina ha dovuto contrastarne delle scelte “incompatibili” con la legge della monarchia (per esempio impedendole di sposare un uomo divorziato). Con i figli è stata distaccata per due motivi: primo si usava davvero così nell’aristocrazia in quegli anni, secondo era troppo impegnata a fare la regina. In parte si è rifatta con nipoti e pronipoti, ma non dobbiamo dimenticare che è cresciuta in epoca post-vittoriana, dunque con regole molto ferree anche nell’educazione dei figli. Figuriamoci con l’erede al trono, il primogenito Carlo!
- Nei suoi speech al Primo Ministro di turno la Regina ha sempre messo in evidenza che il suo ruolo non era di mera rappresentanza. È stata una regina "politica"? Quali Primi Ministri ha maggiormente apprezzato?
Elisabetta regna ma non governa, ergo è costretta a promulgare le leggi decise dal governo e parlamento. È un Capo di Stato, ma non può che esortare, invitare, suggerire, un po’ come il Presidente della Repubblica Italiana. Dei suoi incontri con i primi ministri (ogni giovedì alle 18) non ci sono tracce scritte perché non vengono registrati o verbalizzati. Certamente Churchill è stato il più importante: l’ha “formata” (ricordiamo che aveva 26 anni!), l’ha educata, è stato come un secondo padre. Tony Blair le ha salvato il trono nel 1997, quando le ha fatto capire che il popolo era furibondo per la reazione distaccata e formale alla morte della Principessa del Galles e l’ha educatamente “indotta” a tornare a Londra per i funerali. Con la Thatcher è stata dura: la regina non apprezzava la sua durezza, ad esempio durante il lungo sciopero dei minatori, e probabilmente il fatto che fosse una donna le rendeva in qualche modo “rivali”. Sono tutte supposizioni, però, perché i loro colloqui erano secretati.
- Sempre i soliti cinici hanno fatto le pulci anche sul suo guardaroba austero e alla frugalità dei suoi pasti. Elisabetta II è una donna elegante? È una donna cui non piace il cibo o piuttosto non essendo una parvenue, avrebbe trovato ridicolo un ritratto in cui mangia le ostriche?
Vestiva malissimo, stando ai canoni estetici vigenti nelle diverse epoche (ha 94 anni!) che ha attraversato, ma dal 2002 in poi è diventata un’icona se non di eleganza, certo di unicità e ora viene persino considerata un modello inimitabile: i colori, i cappellini, persino gli ombrelli (trasparenti) e le borsette sono iconiche. È golosa di cioccolato, ma a corte vigono regole ferree sui crostacei, gli spaghetti e l’aglio, che non sono ammessi.
- Nel suo libro si parla di Diana, ma sembra più per mantenere la cronologia della Regina e non per ennesimi pettogolezzi. La Regina cosa pensava, di lei, della moglie del primogenito e poi della donna libera, dopo il divorzio?
Non ho voluto ri-scrivere pagine che abbiamo letto infinite volte, volutamente. Ho scritto un libro su di lei, non su Lady Diana. Era stata scelta da Elisabetta e Filippo come la moglie perfetta per un erede al trono: giovane, bella, aristocratica e… illibata. Inizialmente le andava bene, col tempo e con i guai che ha combinato, è diventata indigesta. Credo che non l’abbia mai capita.
- Mi sembra che la Regina si sia comportata in modo sobrio nell’emergenza coronavirus. Secondo lei doveva fare di più? Insistere maggiormente sulle precauzioni da adottare o non è ruolo che si confà a una sovrana?
È stata il Capo di Stato più apprezzato durante il periodo di crisi da virus: il suo discorso alla nazione del 5 aprile è stato straordinario. Ha concluso con la frase “We will meet again”, ricordando che lei stessa da ragazzina, confinata a Windsor durante la Seconda guerra mondiale, parlò ai suoi coetanei confinati. Se paragoniamo il suo comportamento impeccabile alla cialtroneria del suo primo ministro durante la pandemia possiamo affermare che è stata impeccabile.
- Lei ha messo la firma su molti progetti televisivi. È molto competente e appassionata di danza. Ha realizzato monografie sui migliori ballerini di tutto il mondo. Come è nata questa sua passione per la danza? C’entra in qualche modo il fatto di aver frequentato il DAMS?
Ho iniziato a occuparmi di danza per caso. Certo amavo il balletto, e avendo frequentato il DAMS (e i teatri da sempre) lo studiavo, ma tutto è iniziato con una lettera scritta alla redazione milanese di "Repubblica" durante la quale chiedevo come mai nelle pagine inaugurate da poco non si parlava di balletto. “Perché non lo fa lei”, mi ha risposto il capo redattore Giampiero Dell’Acqua: un grande! Così ho iniziato. Poi ho realizzato molti servizi giornalistici per Mixer, Minoli mi ha dato fiducia e ho scritto sei film monografici sui massimi coreografi del tempo.
- Come scrittrice può dire qualcosa, un’anteprima del prossimo libro?
Mi sono appassionata alla vita degli altri… anzi delle altre. Dopo la Regina, sto scrivendo un altro libro per la collana Le Scie di Mondadori. Dieci donne del Novecento, dieci grandi rivali (non in campo amoroso ma professionale!) e la cui rivalità è stata propulsiva per il successo. Dieci incredibili donne che hanno “creato” qualcosa, in un’epoca in cui alle donne non era certo concesso potere. Sarah Bernhardt versus Eleonora Duse, ovvero l’ultima grande attrice dell’ottocento e la prima immensa protagonista del teatro del Novecento; Coco Chanel versus Elsa Schiaparelli, vent’anni di competizione (dal 1934 al 1959) che hanno fatto la storia della moda; Helena Rubinstein versus Elizabeth Arden, pioniere dell’industria al femminile; Hedda Hopper e Louella Parsons, le prime giornaliste di “gossip” della storia del giornalismo; e infine le due sorelle-rivali Olivia de Havilland e Joan Fontaine.
La fatica (ma anche la sfida) è quella di incrociarle fra loro, per questo ho studiato tantissimo, spulciato giornali e letto libri inglesi, americani e francesi per riuscire a legare le loro vite con un filo rosso. Mi sto appassionando alle loro storie, che ancora oggi sono modello di coraggio, intraprendenza, e, soprattutto, un inno alla parola (così in disuso, oggi) talento.
© Foto dal sito Mondadori
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Paola Calvetti, in libreria con "Elisabetta II. Ritratto di Regina"
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