"Mandami tanta vita", candidato al Premio Strega 2013
Abbiamo incontrato Paolo Di Paolo, l’autore di “Mandami tanta vita” (Feltrinelli 2012), toccante storia che parla di valori importanti quali l’amore e l’amicizia. Al centro del romanzo, selezionato tra i 12 libri in gara per il Premio Strega 2013 che sarà assegnato la sera del prossimo 4 luglio al Ninfeo di Villa Giulia a Roma, spicca l’intellettuale e uomo politico antifascista Piero Gobetti (Torino 1901 – Parigi 1926), luminosa figura del Novecento scomparso a soli 25 anni di età, minato da una salute fragile aggravata dalle violenze fasciste subite. Un libro che parla del passato con continui riferimenti al presente, il cui titolo è da ricercarsi in una lettera di Piero alla sua allora fidanzata Ada Prospero: “Una lettera di Didì è la vita sai? Quindi mandami tanta vita”.
Intervista a Paolo Di Paolo
- Paolo, per quale motivo ha scelto come esergo del volume la frase di Dylan Thomas “I advance for as long as forever is” (“Io vado avanti quanto dura il sempre”)?
È una frase che avevo trovato anni fa leggendo Dylan Thomas, autore che io amo. Avevo trovato molto belle queste poesie e mi ero segnato questa frase che mi aveva colpito. Quando ho iniziato a scrivere il romanzo, mi è tornato in mente questo verso, sono andato a controllarlo e, in effetti, è adatto anche per una ragione esterna al verso, perché è compreso in una poesia che si chiama 24 anni che è esattamente l’età che Piero, il mio personaggio, ha quando finisce la sua vita. Quindi c’è questo “sempre” della giovinezza che non è un “sempre” anagrafico, biografico ma è un sempre dell’orizzonte, del nostro orizzonte di azione e di volontà. C’è una durata che è quella appunto di qualcosa che ci scavalca e ci sopravvive.
- Moraldo e Piero: il primo è un personaggio di fantasia, il secondo figura storica che ha dato un contributo fondamentale alla vita culturale e politica del suo Paese. Quali sono i punti di contatto e le divergenze tra loro?
Uno è il controcanto dell’altro, perché il personaggio Piero è calcato sul personaggio storico per quanto sia un romanzo d’invenzione. Moraldo diventa tutto quello che Piero non è. Piero è risoluto, estremista, coraggioso, ha chiaro il suo orizzonte politico, le sue convinzioni, la sua “ossatura morale” come avrebbe detto egli stesso. Moraldo invece è impreciso, incerto, confuso, a volte anche irrigidito nelle sue ansie e incertezze. Una è una giovinezza già risolta, che ha trovato il suo centro, l’altra invece è una giovinezza difficile anche drammatica per certi versi, perché quando uno non trova la propria strada sente che questa è un’ingiustizia. Ecco perché Moraldo guarda a Piero se non come un maestro, come un modello anche se sono coetanei. Piero è quello che Moraldo non è. Ma costa essere come Piero e Moraldo non se ne rende conto. Moraldo non è un inetto come qualcuno ha voluto leggerlo, è solo un personaggio in difficoltà. La giovinezza può essere anche un’età complicata dove si soffre parecchio, dove ci si può risucchiare dalle secche della propria malinconia e del disagio. Esistono persone più complesse e più sfumate, in certe giornate possiamo essere insieme Piero e Moraldo: essere un po’ simili a Piero quando ci affacciamo oltre noi stessi, somigliare a Moraldo quando ci trasciniamo stancamente senza una meta.
- Che atmosfera si respirava a Torino e a Parigi negli anni Venti del XX Secolo che Lei ha saputo ricostruire alla perfezione?
Era la stessa atmosfera che si respirava nel resto della penisola. Un’atmosfera cupa dove le tensioni sociali erano forti più o meno come oggi, date da una grave crisi economica che sarebbe poi sfociata nella crisi del ’29. Era un momento difficile della storia italiana ed europea. Alcune dittature si stavano consolidando, una in Germania e l’altra in Italia, altre serpeggiavano come in Spagna e in Portogallo. Oltretutto l’incertezza e il disagio erano anche il riverbero dell’esperienza della Grande Guerra che aveva lasciato l’Europa prostrata, dietro la quale non si spiegherebbe la tensione politica che si sarebbe venuta a creare con la nascita del movimento fascista e con lo squadrismo. La violenza sembrava essere la strada che potesse riportare all’ordine, infatti gli episodi di violenza in quel periodo erano molto frequenti. Parlo di un tempo in cui il delitto Matteotti aveva reso chiaro anche all’opinione pubblica più attendista che il governo Mussolini aveva preso una piega dittatoriale, di regime. Torino fu una di quelle città che più resistette al fascismo. Piero scrisse a sua moglie Ada che "bisogna muovere le idee in questa stanca Torino". Torino aveva tantissimi intellettuali tutti stretti attorno a questo piccolo nucleo di antifascismo militante, scrittori come Carlo Levi, pittori come Felice Casorati, lo storico e critico letterario Natalino Sapegno che s’incontrano, si parlano e si frequentano. A Parigi sicuramente c’era un’aria meno provinciale, quell’atmosfera che affascina Moraldo quando arriva lì. Quella stessa città che ho solo appena accennato dove incominciano a maturare esperienze come quelle di Hemingway e di Fitzgerald, e dove sbarcano i pittori europei, pensiamo a Picasso e a Dali. C’era a Parigi un fermento culturale che non è solo francese ma europeo. Quindi una città elettrizzante sotto tutti i punti di vista.
- Che cosa può insegnare alle giovani generazioni l’”editore giovane” Piero Gobetti?
Il coraggio della militanza, anche quella intellettuale. Anche in quel tempo ingrato, infelice come era quello nel quale Piero visse, egli cercò di far muover le cose e lo fece unicamente in virtù della sua passione. Il bagliore della sua passione può arrivare fino a noi e indurci a pensare che anche quando l’orizzonte ci sembra chiuso si può provare a cambiare le cose. Ma tutto dipende dalla nostra volontà.
- Tra le pagine del libro sembra che Gobetti nonostante tutto voglia reagire a un tempo ingrato, a lui avverso. C’è forse qualche allusione ai giorni che stiamo vivendo?
Un’allusione involontaria. Dopo aver scritto Dove eravate tutti che era un libro invece che è stato percepito come un libro sul presente, sui nostri anni, volevo fuggire all’indietro per disintossicarmi dal presente. Mi sono invece ritrovato a toccare delle questioni di ordine sociale e politico che assomigliano molto a quelle odierne. Involontariamente. Il richiamo del presente è sempre molto forte anche quando noi siamo convinti di essercene allontanati poi veniamo richiamati dal nostro calendario. Emblematica una frase dello storico Piero Gobetti “restare politici nel tramonto della politica”, sembra essere stata scritta oggi. Gobetti è stato uno dei pochi intellettuali a cogliere alcune delle ricorrenze infelici della storia italiana. Non bisogna però commettere l’errore di attualizzare forzatamente... Sicuramente nel libro tante cose ci parlano dei tempi odierni, in fondo noi autori scriviamo sempre per parlare di qualcosa che ci riguarda, che ci implica.
- Sulla rivista settimanale Rivoluzione Liberale Gobetti scrisse che “lo Stato non professa un’etica, ma esercita un’azione politica”. Non pensa che questa riflessione sia di straordinaria attualità?
Sì, perché Gobetti difendeva sempre il valore dell’azione politica in ogni cosa. Qualunque gesto pubblico che noi facciamo è un’azione politica anche lo scrivere, come professare il proprio credo o il proprio pensiero. Mai commettere l’errore di licenziare la politica, perché se c’è una strada è nella politica, questo restò sempre il punto fermo di Piero.
- Il romanzo è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2013. Che cosa ne avrebbe pensato Antonio Tabucchi che la sollecitò a non abbandonare l’idea del libro?
Lui sarebbe stato contento che io abbia portato a termine il romanzo. Mi manca molto Tabucchi anche quando penso che cosa avrebbe potuto dire leggendolo. Non era un uomo molto attento ai premi e ai riti della società letteraria, sicuramente ne sarebbe stato contento, ma ancora più contento della partecipazione al premio, sicuramente del fatto che un personaggio che incuriosiva e attraeva Tabucchi fosse diventato un personaggio di romanzo. Tabucchi era uno di quegli scrittori che dimostrano che solo la narrazione letteraria riempie i vuoti della storia.
Chi è Paolo Di Paolo?
Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Nel 2003 entra in finale al Premio Campiello Giovani e, con i racconti Nuovi cieli, nuove carte, al Premio Italo Calvino. È autore di Ogni viaggio è un romanzo (2007) e di Raccontami la notte in cui sono nato (2008). Per Feltrinelli ha pubblicato Dove eravate tutti (2011, Premio Mondello e Premio Vittorini) e, nella collana digitale Zoom, La miracolosa stranezza di essere vivi (2012). Su SoloLibri Paolo Di Paolo è stato già intervistato da Alessandra Stoppini (Paolo Di Paolo ricorda Antonio Tabucchi).
Vuoi incontrare Paolo Di Paolo?
Mercoledi 24 aprile 2013 alle ore 18,30 l’autore presenterà il libro alla Libreria "Pergamon" di Roma (Via Filippo Nicolai, 84). Introdurrà l’incontro la scrittrice Giulia Alberico. Sarà presente tra il pubblico anche la nostra collaboratrice Elisabetta Bolondi. Non mancate!
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Paolo Di Paolo, candidato al Premio Strega 2013 con “Mandami tanta vita”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Ti presento i miei... libri News Libri Paolo Di Paolo Feltrinelli Recensioni di libri 2013 Premio Strega
Lascia il tuo commento