

Romana Petri, nome d’arte di Romana Pezzetta, è nata a Roma nel 1965. Scrittrice e traduttrice, vive tra Roma e Lisbona. Con il marito Diogo Madre Deus, ha diretto la casa editrice Cavallo di Ferro.
Critica letteraria, traduce dal francese, dallo spagnolo e dal portoghese, nomi importanti come Bioy Casares, ma anche giovani come Alina Reyes. Collabora con due testate giornalistiche, La Stampa e il Messaggero.
Con i suoi libri, tradotti in mezza Europa e anche negli Stati Uniti, ha vinto tutti i premi che abbiamo in Italia, le è sfuggito solo lo Strega per due volte. È impossibile ricordare tutti i suoi libri, sono moltissimi; segnaliamo i più recenti che sono "Giorni di spasimato amore" per Longanesi, 2015 e "Le serenata del Ciclone" per Neri Pozza, 2017.
Per l’uscita del suo nuovo romanzo, "Pranzi di Famiglia", edito da Neri Pozza, in questo marzo 2019, le abbiamo posto alcune domande.
- Cara Romana, ha scritto un libro bellissimo ambientato a Lisbona. Parla di una famiglia stramba con accenni umoristici. Com’è nato "Pranzi di Famiglia"?
Lisbona fa parte della mia vita, ho vissuto in questa città per molti anni. Quando si vive così tanto in un luogo è inevitabile che finisca nelle pagine che si scrivono.
"Pranzi di famiglia" nasce un po’ sulle orme di "Ovunque io sia". Ci sono personaggi ai quali ci affezioniamo, o forse sono loro ad affezionarsi e noi e a chiedere di non farli morire.
La mia lunga frequentazione del Portogallo ha fatto sì che tutto sorgesse in modo naturale. Questa è decisamente una famiglia disfunzionale, i personaggi di questa insolita famiglia li chiamo "vasi incomunicanti". Per questa ragione ho inserito il personaggio della Albertini (tra l’altro una persona vera, cercare per credere), un’ondata di Commedia dell’Arte tutta italiana nel gelo portoghese.
- Nella famiglia stramba arrivano altri personaggi e il libro si allunga. Cosa pensa di quegli intellettuali che dicono che il romanzo è morto, perché è diventato noioso e leggono memoir e diari di bordo?
Il romanzo lo dichiarano morto da tanti anni, ma in realtà non muore mai. La storia della letteratura è fatta prima di tutto da narratori, non di scrittori. Io li amo entrambi, ma non c’è dubbio, nella famosa isola deserta mi porto Tolstoj e non Borges.
- Lei scrive spesso storie da Lisbona. Ci fa venire in mente uno scrittore che non c’è più: Antonio Tabucchi. Perché questa scelta? Ha un ricordo personale di Tabucchi.
Tabucchi l’ho conosciuto molto bene, era un grande scrittore, capace di cose grandiose con pochissime e misurate parole. Mi diceva sempre che lui aveva scoperto le Azzorre, ma che alla fine l’esperta ero diventata io. Mi dirottava parecchi amici che avevano intenzione di andarci.
- Quali libri l’hanno colpita recentemente, diciamo negli anni 2018-2019?
Ci sono sempre delle scoperte tardive nella vita. Del resto nessuno può leggere tutto. Dirò solo un nome: Cormac McCarthy. Forse il più grande scrittore a cavallo degli ultimi due secoli. Nessuno è capace di scrivere così, ormai non posso più farne a meno. Mi mancano due romanzi e poi ho letto tutto di lui. Mi chiedo: "E poi, cosa sarà di me?"
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Romana Petri in libreria con "Pranzi di famiglia"
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