Vito Santoro vive a Brindisi, dove lavora per una multinazionale della chimica. Ha studiato ingegneria all’Università di Bologna e in quel periodo si è avvicinato al mondo della scrittura frequentando corsi di narrativa e di graphic novel.
Esce oggi per Edizioni della Sera “Non c’è tempo per il sole”, romanzo d’esordio dell’autore pugliese che pone al centro della vicenda la ricerca di un uomo scomparso. L’ultima traccia di Diovis Coronè è un’ermetica lettera proveniente da una prigione di Santa Teresa, una città dello Stato di Espirito Santo, in Brasile. Il giovane, in una lettera spedita alla madre, scrive di essere rinchiuso in una cella, ferito gravemente e in fin di vita.
“Non sono stato un figlio esemplare, lo so bene”.
Il padre di Diovis, Enzo Coronè, “un uomo molto potente, una leggenda vivente”, dopo una riunione di famiglia, presenti tutti i figli con i quali ha sempre avuto un rapporto difficile, decide di affidarsi all’ambiguo avv. Tito Meterio “raffinato, brioso, affabile e con una notevole padronanza della dialettica”. Il legale incarica del ritrovamento di Diovis, Federico Cairo, un abile sicario. Ma la ricerca di Diovis in terra brasiliana, si presenta come un autentico rompicapo.
“Questa è una vicenda molto delicata e tutta da chiarire”.
Trama avvincente, stile essenziale e perfetto ritmo narrativo sono i punti di forza di un romanzo che risente della passione per il cinema di Vito Santoro.
“La cittadina apparve molto tranquilla, con poco traffico e poca gente in giro, le strade piccole e ordinate, le case basse, curate e simili tra loro, quasi tutte con balconi adorni di vasi fioriti”.
- Vito, desidera spiegare il significato del titolo del romanzo?
È una frase idiomatica inventata da Sigàl, uno dei personaggi chiave della storia. Non c’è tempo per il sole è pronunciata da Sigàl come invito a porsi di fronte a una difficoltà con risolutezza, evitando di soffermarsi troppo in elucubrazioni mentali. Il significato esplicito della frase sarà comunque svelato in una delle scene finali.
- “È un’utile prospettiva vedere il mondo alla stregua di un sogno. Quando abbiamo un incubo, ci svegliamo e diciamo a noi stessi che abbiamo solo sognato. Si dice che il mondo in cui viviamo non è affatto diverso”. Per quale motivo ha posto come esergo del volume una frase del militare e filosofo giapponese Yamamoto Tsunetomo (1659 – 1721)?
Perché l’ho trovata attinente con l’atmosfera onirica del romanzo. L’intera vicenda è narrata al confine tra immaginazione e realtà, e proprio come spiega Tsunetomo, è affascinante pensare alla vita come a un unico lungo sogno.
- Il testo ha un’impostazione cinematografica. Chi potrebbe essere l’attore ideale per interpretare il ruolo di Federico Cairo e il regista di questo ipotetico film?
Non c’è tempo per il sole nasce come idea per la sceneggiatura di una graphic novel. Il supporto delle immagini mi avrebbe permesso di rendere meno complessi alcuni passaggi e rappresentato con una certa efficacia le situazioni più surreali. Poi, con il passare del tempo la trama si è arricchita notevolmente, divenendo più lineare e, in qualche modo, meno astratta. A quel punto la trasformazione in un romanzo è stata quasi naturale e, probabilmente, necessaria. Tutto ciò potrebbe spiegare l’impostazione un po’ cinematografica, anche se, sinceramente, non l’ho mai pensato come a un film. Quindi, immaginando un’ipotetica trasposizione sul grande schermo, riguardo al ruolo di protagonista al momento non saprei chi indicare come attore ideale. Nella parte iniziale del romanzo, Federico è il tipico killer professionista, ombroso e solitario. Nello sviluppo della vicenda però emergono lentamente una serie di caratteristiche inaspettate della sua personalità, giungendo nel finale a mostrarci una persona profondamente umana e sensibile. Ecco, Gian Maria Volonté, sarebbe stato perfetto… mi viene in mente Filippo Timi, che gli somiglia pure esteticamente oltre a essere un grande interprete. Mentre tra gli stranieri, Joaquin Phoenix. Per il regista non avrei alcun dubbio: Paolo Sorrentino. Nei ringraziamenti finali del libro c’è una nota dedicata a lui, oltre a una serie di omaggi disseminati nel testo.
- La trama cela una rivisitazione del mito di Prometeo ma in un contesto attuale, moderno?
Prometeo è la figura mitologica che è invecchiata meglio. È quella che vanta più rappresentazioni teatrali e più reinterpretazioni del mito. Prometeo è un simbolo di ribellione e di sfida alle imposizioni, e il nostro spirito d’identificazione verso ciò che rappresenta ha permesso che la sua popolarità si conservasse intatta nei secoli. Con il mio romanzo ho voluto rendere omaggio a quest’archetipo dell’eroe e, nel rispetto della tradizione, ho immerso le vicende legate a Prometeo nel presente. Tutti i personaggi del romanzo sono figure analoghe a quelle delle divinità greche, ma i loro ruoli e personalità sono adattati a un contesto moderno. Tuttavia ho strutturato la trama in modo da svincolarla da ogni possibile dipendenza con l’epopea mitologica, permettendo alla storia di reggersi con una propria autonomia.
- Senza voler svelare il finale del libro... è vero che nel contesto del romanzo tutto parte dal concetto di “hybris”, tracotanza, “ovvero l’arroganza scatenata da una presunzione enorme”?
Nell’antica Grecia il termine “hybris” identificava il più grave di tutti i peccati, poiché violava una legge divina, quella che imponeva all’uomo di non oltrepassare i propri limiti, primo tra tutti la propria mortalità. Questo concetto mi è servito per creare un contatto tra i due paralleli, quello riguardante il presente e quello legato al poema di Prometeo.
- Che consigli vorrebbe dare a un giovane scrittore esordiente che aspira a essere pubblicato?
Non saprei, forse non sono la persona più indicata per dare consigli di questo tipo, poiché anch’io mi ritengo uno scrittore emergente. Ciò che posso fare è riportare la mia esperienza. Ho lavorato a lungo e con passione per portare a termine questo libro. Anche quando non mi trovavo fisicamente davanti alla tastiera, con la mente ero in qualche angolo del mio romanzo. Senza alcuna ambizione, ma solo per l’amore verso ciò che stavo facendo. Una volta terminato però, ho dovuto affrontare il complicato mondo dell’editoria: un vero e proprio salto nel vuoto. Per uno scrittore sconosciuto e senza esperienza è una vera e propria impresa trovare anche un piccolo spiraglio. I grandi gruppi editoriali concedono pochissimo spazio agli esordienti, mentre tra gli editori indipendenti si annidano tanti avventurieri che speculano sulla bontà e sul desiderio di quanti ambiscono a farsi pubblicare. Lo ammetto: io sono stato fortunato, ho trovato un editore serio e appassionato come Stefano Giovinazzo (che approfitto per ringraziare insieme a tutto lo staff di Edizioni della Sera) che ha subito creduto (e scommesso) nel mio lavoro. Quindi più che un consiglio il mio vuole essere un incoraggiamento a lavorare con dedizione e impegno, e di tenersi alla larga da quegli editori che in cambio di una pubblicazione chiedono una qualsiasi forma di compenso. Le case editrici valide e credibili ci sono, bisogna avere solo un po’ di pazienza e non demordere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Vito Santoro, autore di “Non c’è tempo per il sole”
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