Adriano Angelini Sut è uno scrittore e traduttore romano. Nel 2011 ha adottato il doppio cognome per far rivivere sua madre accanto a lui. Tra i suoi romanzi: Da soli in mezzo al campo (Azimut 2005), Le giornate bianche (Azimut 2007). Ha pubblicato inoltre 101 cose da fare a Roma di notte almeno una volta nella vita e 101 gol che hanno cambiato la storia del calcio italiano (Newton Compton, 2010). Ha collaborato con Il Foglio, radioradicale.it, paradisodegliorchi.com e Radio Manà Manà e ha tradotto per XL edizioni le opere di Luis Alberto Urrea.
Nel 2013 è uscito il volume Mary Shelley e la maledizione del lago (Edizioni XL), interessante e documentata biografia incentrata sulla figura di Mary Shelley (1797 – 1851), uno dei miti più affascinanti dell’Ottocento, creatrice di Frankenstein (1816)
“il romanzo simbolo e originario di tutta la letteratura di genere fantascientifico”.
L’autore nel volume dimostra come Mary non fu solo la moglie innamorata di Shelley ma una donna dallo spirito antesignano e anticipatore.
“Dunque la città l’aspettava per celebrarla e non soltanto per rinfacciarle il suo passato?”.
- “La solitudine è stata la maledizione della mia vita, cos’altro avrei potuto fare se non avessi avuto l’immaginazione come compagnia?” Adriano per quale motivo hai posto come esergo del volume questa frase di Mary Shelley?
Perché Mary era davvero una donna che si sentiva sola. Fin dall’infanzia, dopo la morte di parto di sua madre, Mary Wollstonecraft, aveva sentito questo iato interiore, mai colmato sul serio; né da Fanny, la sua prima sorella e figlia di sua madre e del suo primo marito, né da Claire, la sua sorellastra figlia di Godwin, suo padre, e Mary Jane Clairmont. Ovviamente l’amore per Shelley è stato immenso, il punto è che Percy era un infedele, per indole e non per cattiveria; ed era anche bisessuale in un’epoca in cui pochi potevano permettersi di esserlo tanto apertamente. Lei aveva accettato tutto questo. Ma il risultato era una lotta interiore fra la fedeltà e le attenzioni ricercate e la realtà che, come Shelley, era fuggevole.
- I genitori di Mary quanto hanno influito nel pensiero e nelle opere della figlia?
Moltissimo. A partire da sua madre. Mai donna fu più sottostimata e ignorata dalla storia come Mary Wollstonecraft. Fu lei la prima a imporre a un editore di essere pagata per il lavoro che faceva. E bisogna considerare che all’epoca, alla fine del ’700, per le donne fare lavori di scrittura era uno scandalo. Le traduttrici non potevano mettere il loro nome sulle opere. E il massimo a cui una donna poteva aspirare in un contesto culturale era insegnare ai bambini o fare da tata, come si direbbe oggi. I primi libri che Mary Wollstonecraft scrisse, infatti, furono di pedagogia. Poi scrisse ’The Vindication of the Rights of Women” (e “The Vindication of the Rights of Men”). Le femministe del ’68 hanno provato a farne un loro manifesto. Ma il testo va oltre la collocazione politica. La Wollstonecraft chiedeva semplicemente perché una donna, visto che il suo ruolo era quello di insegnare ai figli, non potesse essere istruita. E non metteva in discussione né Dio, né altri concetti che furono alla base dei movimenti del ’68. Quello semmai fu Gownin, suo marito, a farlo, e a mettere in discussione le istituzioni inglesi nel suo libro “Political Justice”, e a esser preso come manifesto anarchico da tutta una generazione. Ma poi in tarda età si rimangiò quasi tutto e impedì perfino a sua figlia Mary di avere la relazione con Shelley.
- Descrivici con tre aggettivi l’unione a volte tempestosa tra Mary Shelley e Percy Bysshe Shelley.
Viscerale. Inafferrabile. Fatale.
- La scrittrice, saggista e biografa inglese è ricordata soprattutto per essere stata l’autrice di Frankenstein ma Mary fu ben altro, vero?
Assolutamente. Il suo altro capolavoro è “The Last Man”, un altro romanzo epico che definirei di fantapolitica e catastrofista. Oggi se ne scrivono a bizzeffe ma all’epoca, e per giunta da una donna... Poi ci fu un racconto minore, “The Invisible Girl”, che non mi risulta sia mai stato tradotto in italiano e che parla di una ragazza fantasma; è un racconto passato inosservato ma di grande suggestione. Poi ci sono le sue biografie dei grandi uomini di lettere italiani scritti per la Cabinet Cyclopaedia; di Foscolo, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Alfieri, per esempio. Il suo contributo alla diffusione della cultura italiana fu altissimo. Mary scoprì che le biografie erano un modo per indagare la storia e produrre una nuova filosofia della storia tramite le relazioni private. Le sue non furono semplicemente biografie, ma un contributo a farci comprendere le connessioni con specifici ambienti degli autori trattati e inquadrati nel loro contesto storico temporale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Adriano Angelini Sut, autore di “Mary Shelley e la maledizione del lago”
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