Questa è una piccola storia di rinascita dalle macerie di una dannata guerra che non è ancora finita, anzi, al momento pare ben lontana dal finire.
Queste sono le prime, puntualissime parole di Fixing Banksy, il libro di Alessandro Cini edito nel 2024 da FVE editori. Una frase che riassume perfettamente l’opera ed è ugualmente emblema del progetto “ART AGAINST BOMBS”, programma volto a preservare le opere d’arte della comunità ucraina di Borodyanka, creando un polo museale che possa tenerle in sicurezza e dare slancio economico e turistico alla cittadina.
“Fixing Banksy”: l’arte fra le macerie
Alessandro Cini è restauratore e un gran viaggiatore. All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, di fronte alle immagini che per settimane ci hanno sbattuto in faccia la concretezza degli incubi, ha deciso immediatamente di darsi da fare e, dopo alcune spedizioni per portare i primi soccorsi in una terra nella quale risiedono molti suoi amici e conoscenti, ha partecipato al Forum ReBuild Ukraine, nell’intento di mettere la sua preziosa attività al servizio delle zone colpite.
Quello di cui mi occupo non è il primo pensiero in questo momento per l’Ucraina, ma salvare il proprio patrimonio artistico vuol dire preservare anche la propria identità.
È a Borodyanka, piccolo centro urbano sorto letteralmente lungo un’unica strada a pochi chilometri da Kiev, che gli si palesano davanti l’orrore più grande e, insieme, una presenza inaspettata.
La cittadina sorge a poca distanza da un aeroporto militare, elemento che l’ha resa uno dei principali obiettivi dei raid russi fin dal primo giorno di guerra; molti dei filmati raccapriccianti ritrasmessi da tv e social, fatti di palazzi sventrati, macerie a cumuli e individui in fuga, vengono proprio da qui.
Nel cuore pulsante di questa distruzione, però, sono arrivati Banksy, il celebre artista di cui non si conosce la vera identità, e il collega francese C215, i quali si sono impossessati di alcune di queste pareti spoglie, bruciate fin quasi alla fusione dai missili russi, per creare le loro opere d’arte. Ballerine, un Davide e Golia in versione judoka, volti di soldati uccisi e di anziani abitanti del posto hanno iniziato a ricoprire i muri dei palazzi bombardati, portando gli occhi del mondo, ancora una volta e in maniera complementare e necessaria, dentro l’occhio del ciclone di questo conflitto. Scoprendoli, Alessandro Cini ha subito intuito che il suo compito era prendersi cura di queste opere.
“Fixing Banksy”: i viaggi e i primi restauri
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Fixing Banksy è il racconto, fra andate e ritorni geografici e temporali, della nascita del progetto di restauro e delle prime operazioni in campo. Non è servito poi tanto, ad Alessandro, per convincere le due colleghe Paola Ciaccia e Maria Colonna a unirsi a lui.
Qualche mese dopo erano già pronti a raggiungere l’Ucraina, fra tappe frugali, checkpoint e colpi allo stomaco di fronte all’orrore. Ma come per le opere di Banksy fra le dimore in frantumi, gli abitanti si dimostrano, individualmente e in comunità, un’oasi miracolosa di resistenza e coraggio fra i tornanti sanguinari della Storia.
Sono interventi di routine, che eseguiamo da vent’anni, ma mai lo abbiamo fatto in un posto così spettrale.
La loro attività, fatta di miscele di collanti, brandelli di pellicola pittorica e iniezioni di malta, si svolge in coabitazione coatta con la distruzione; Alessandro, Paola e Maria riparano e mettono in sicurezza accanto ai demolitori, ripassandosi in testa il vademecum semmai dovesse risuonare un allarme aereo. Ma consapevoli del valore del loro operato, perché quelle che sfiorano sotto le dita
sono opere emozionanti, che ti guardano fisso negli occhi, profonde e scrutatrici. Non parlano, ma sembrano chiederti direttamente e senza giri di parole, a te e solo a te, cosa hai intenzione di fare adesso, dopo che hai ascoltato questa storia.
L’intervista ad Alessandro Cini
- La biblioteca di Sarajevo, i Buddha di Bamiyan, il patrimonio architettonico e paesaggistico palestinese per il quale lotta strenuamente la scrittrice Suad Amiry, ora l’Ucraina: l’arte, in ogni sua forma, sembra sempre essere nel mirino dei guerrafondai. In qualità di restauratore, come vivi questo eterno allarme?
Ricordo le immagini della biblioteca di Sarajevo bruciare, avevo solo 14 anni ma mi rimase impressa quell’immagine. Quando avvenne la distruzione dei Buddha mi stavo diplomando restauratore, fu semplicemente angosciante.
L’arte è libertà, non può che essere nel mirino di despoti e guerrafondai. Lo vedo nelle grandi distruzioni di opere d’arte, ma anche nelle piccole cose; in Ucraina, prima di lavorare ai Banksy, ho fatto delle indagini sulla Casa della Cultura di Irpin, un edificio anni Venti del secolo scorso bombardato due anni fa. Sotto agli strati di colore dato in epoca sovietica sono rimasto stupito nel vedere quanto colore vi fosse negli intonaci originari, poi spariti sotto le stuccature anonime e i colori pacchiani stesi negli anni Sessanta e Settanta. Anche in questo, il soviet totalitario annullava tutto il lavoro degli artigiani ucraini che avevano dato un’anima a questo edificio; decorazioni colorate, graziose, sparite sotto palettate di stucco e colori banali.
La libera espressione è nemica di guerrafondai e tiranni, anche nelle piccole cose. Questa continua minaccia all’arte mi mette una grande angoscia, ma mi dà anche il senso del mio lavoro: fare tutto quello che posso perché il messaggio che le opere vogliono comunicare continui nel tempo.
- Nel libro sostieni che nel caso dei Banksy “le macerie sono parte dell’opera” e che “l’arte contemporanea ci pone delle sfide ancora più grandi” di quella antica. Cosa leggi nelle opere dell’artista di Bristol a Borodyanka? Qual è il loro movente politico?
A Borodyanka Banksy prende una posizione netta e si schiera chiaramente con l’Ucraina e contro la Russia. Non è la prima volta che lo fa, lo aveva fatto chiaramente in più occasioni, a favore del popolo palestinese e a favore dei migranti nelle stragi che continuano ad avvenire nel Mediterraneo. Nel “Davide e Golia” Banksy esprime il coraggio degli Ucraini nel paragone con la vicenda biblica, mettendola nei panni di un maestro sconfitto da un allievo di judo (che tanto piace a Putin).
Il messaggio politico è chiaro e netto. A differenza di molte altre opere, qui però, a mio parere, tocca uno dei punti più alti del suo lavoro con la “Ginnasta”, l’immagine della ragazza sopra a dei blocchi di calcestruzzo, perché in nessun caso aveva lavorato in un ambiente incredibilmente drammatico come quello di un palazzo così grande sventrato dalle bombe, un luogo dove sono morte persone e si sono distrutte vite di decine di famiglie. Su questo cumulo di macerie, in parte ancora in piedi, ha disegnato con due colori e pochi tratti una ragazzina agile e leggera che salta. Non riesco a immaginare un’opera costruita con una tale semplicità che abbia uguale potenza. È da vedere dal vivo.
- Banksy e C215 sono consapevoli di creare un qualcosa di terribilmente esposto alla distruzione, per riprendere il già citato concetto di macerie. Ma cosa significa, per un restauratore, operare in contemporanea alle forze che minacciano l’opera d’arte?
Significa contrastare le forze che hanno portato alla distruzione. Non abbiamo certo il modo per impedire che un missile arrivi e vanifichi tutto il lavoro fatto per salvaguardare le opere, ma non intervenire perché tutto questo potrebbe essere inutile in caso di un nuovo attacco sarebbe darla vinta a chi perpetra il massacro di civili e dei loro beni materiali ogni giorno.
- Ne parli nelle pagine del tuo libro, ma potresti nuovamente dirci com’è stato vedere per la prima volta un Banksy a Borodyanka?
Come dicevo prima, delle due opere di Borodyanka, quella che ci ha lasciato attoniti è la “Ginnasta”. Trovarsela di fronte, sospesi in piattaforma aerea, a un centimetro da noi, sotto a un palazzo in disfacimento, è stata un’emozione che difficilmente dimenticherò. Eravamo in tre, sono scappate delle lacrime di commozione; naturalmente non dirò mai di chi!
- A quanto tempo fa risale il tuo ultimo viaggio in Ucraina? Noti cambiamenti, rispetto ai primi soggiorni di cui parli in queste pagine, benché, come scrivi, “questa dannata guerra […] pare ben lontana dal finire”?
Purtroppo l’ultimo viaggio risale a un anno fa; quest’anno non siamo andati perché, a questo punto, il prossimo passaggio è trovare le risorse per affrontare la costruzione del museo, e questo richiede tempo. Ma settimana prossima farò una breve incursione: parto sabato, non fosse altro per andare ad abbracciare gli amici di Borodyanka, dire loro che ce la stiamo mettendo tutta e fare gli auguri di Natale.
A differenza di quando ho scritto, pare che la fine della guerra si stia avvicinando con l’elezione di Trump, ma non so pensare quanto possa essere un bene per gli ucraini, né come andrà a finire, vista la forte imprevedibilità del personaggio.
- Quello che racconti in “Fixing Banksy” è il resoconto dei primissimi, fondamentali passi, che termina grossomodo con il tuo “adesso le opere sono a posto, pronte ad affrontare l’inverno”. C’è ancora tanto da fare. Puoi dirci, prima di salutarci, in che modo i lettori di Sololibri.net possono seguire e sostenere il vostro progetto “ART AGAINST BOMBS”?
Dopo aver concluso le operazioni di messa in sicurezza, il progetto per noi è stato subito chiaro. Davanti a noi stava prendendo forma un polo, un museo aperto, uno spazio fluido, testimone e testimonianza. La richiesta arriva dalla comunità, che ha la volontà di mantenere tutta la tragica matericità dei pezzi ai piedi della Casa della Cultura, riconosciuti come un dono prezioso.
I passi successivi sono complessi ma chiari: serve un progetto che disegni le forme di questo spazio, uno studio di architettura o meglio ancora un concorso di idee di menti aperte che possano accogliere e trasformare tutto questo in una realtà concretamente fruibile. Successivamente sarà necessario mettere in opera il progetto collaborando con le maestranze locali, che già durante le prime operazioni sono state fortemente presenti.
Abbiamo lavorato in collaborazione con la Camera di Commercio Italiana per l’Ucraina, che ha sede a Torino, mettendo in piedi un crowdfunding, che per ora mira a recuperare i primi fondi per il progetto di architettura. Attualmente è aperto, e loro aggiornano tramite il loro portale lo stato del progetto. Continueremo a comunicare tramite loro e tramite il sito della mia azienda Restauro E Arte di Pavia, anche del viaggio dei prossimi giorni e di cosa troveremo a Borodyanka.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Alessandro Cini, in libreria con “Fixing Banksy”
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