Roberto Negro è nato ad Asti nel 1960 e risiede a Perinaldo, in provincia di Imperia. È un criminologo che ha prestato servizio per trenta anni nella Polizia di Stato con la qualifica di Sostituto Commissario. Nella sua carriera ha avuto incarichi di polizia giudiziaria anche presso le sedi diplomatiche italiane di Istanbul (Turchia), Karachi (Pakistan) e Colombo (Sri Lanka).
Ha collaborato con A.I.F.O. (Amici Raoul Follereau - ONG aiuti umanitari) in Brasile-Ceres (Goias) nel progetto Pro - Han per la cura ed il recupero dei malati di lebbra. Ha anche aperto un’enoteca a Perinaldo e ha avviato la costruzione di mini teatro/cabaret da una costruzione del ’700.
Ha scritto per i Fratelli Frilli editori dodici romanzi e ha investito sulla figura del commissario Scichilone. Ricordiamo gli ultimi tre romanzi: Anime alla deriva (2013), Il mistero del cadavere senza nome (2016), La solitudine di Adamo (2018).
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Dopo aver recensito il suo ultimo successo editoriale, Il male dentro (Fratelli Frilli, 2022), una nuova indagine per il commissario Scichilone, Vincenzo Mazzaccaro ha intervistato l’autore:
- Il male dentro non è il primo libro sulle indagini del commissario Scichilone, ma qui rimane impresso per il tema trattato, ovvero la scomparsa di un bambino. Com’è nata l’idea del commissario Scichilone?
Scichilone nasce dall’esigenza di rendere merito e omaggio ad uno tra i tanti dirigenti che ho conosciuto durante la mia carriera nella Polizia di Stato. Il dr.Giuseppe Mauceri, questo è il suo nome, è quello che per spessore umano e competenza professionale mi ha fatto capire che quel tipo di lavoro non è solo una divisa da indossare, ma una vero impegno sociale, una sorta di missione a beneficio degli altri. Creando il personaggio letterario, ho “rubato” all’uomo Mauceri tutta la carica umana di cui è capace, i pregi ed i difetti. Al poliziotto, l’amore per la Polizia, la caparbietà nelle indagini e la capacità di fare squadra.
- Questo libro, che è un giallo classico, ha il marchio sicuro dei fratelli Frilli. Mi è capitato di sentire “voglio l’ultimo dei fratelli Frilli” senza il nome dello scrittore. Non teme che la qualità di questa casa editrice appiattisca i singoli scrittori?
La Fratelli Frilli Editori ha pubblicato il mio primo romanzo diciasette anni fa. Da allora me ne hanno pubblicati altri undici (dodici in totale). In questo lungo periodo, ho assistito alla trasformazione e crescita della Casa Editrice, che nel tempo si è sicuramente guadagnata la palma d’oro come una delle più prolifiche, a livello nazionale, nel pubblicare libri gialli/noir. È chiaro che può accadere o probabilmente è già accaduto che i lettori finiscano, visto la grande produzione, per conoscere più il marchio Frilli che i singoli autori. Credo comunque che la scelta del lettore più attento, non già solamente compulsivo, finirà per premiare lo scrittore che lo colpirà per il modo di scrivere.
- Il precedente libro La solitudine di Adamo mi sembra anche un work in progress per le caratteristiche di Scichilone che lo rendono pagina dopo pagina più realistico. L’accuratezza delle indagini le viene dalla sua esperienza come Sostituto Commissario nella polizia di Stato?
Essere stato un appartenente alla Polizia di Stato, mi ha aiutato nello scrivere racconti che in effetti sono indagini. Il vantaggio di aver fatto quel tipo di lavoro per quasi tutta la mia vita sino ad oggi, rispetto alla scrittura, è notevole. A ragion veduta, conosco molto bene i meccanismi investigativi, quelli giudiziari, le angosce del poliziotto che indaga, il gravame psicologico che si porta a casa, gli stati d’animo influenzati da ciò. Credo che la sola informazione letteraria o i film non possano realmente trasferire a chi scrive un giallo l’aria che si respira in un commissariato, l’adrenalina che esplode nel corso di un’operazione di Polizia, il logorio di innumerevoli ore passate in appostamento o con le cuffie ad ascoltare le intercettazioni, l’odore del sangue di un morto ammazzato, il terrore che leggi nei suoi occhi.
- Si dice ciclicamente che il romanzo è morto, perché il bisogno di storie ci viene ormai dato dalla letteratura di genere, ovvero con gialli e noir che in questi anni non hanno subito contraccolpi. Oggi infatti non c’è più solo il commissario Montalbano del compianto Camilleri, ma tanti commissari o vice ispettori protagonisti di libri o gialli ambientati nelle aule giudiziarie. Come spiega questo bisogno di figure rassicuranti, dal commissario all’avvocato famoso?
In Italia e nel mondo si scrive molto. Negli ultimi anni si è creata di fatto la nuova figura degli scrittori di gialli. Credo che se facessimo un censimento, una grande percentuale degli adulti confiderebbe di aver sognato di essere un investigatore. Abbiamo la necessità di vivere in una società in cui la legalità regni sovrana, non fosse altro che per garantire ai nostri figli e a noi stessi un luogo dove vivere serenamente la propria esistenza. Ecco che i più audaci, con particolari capacità di espressione, si cimentano a scrivere gialli, in cui il proprio alter ego/investigatore di turno diventa l’assoluto protagonista della virtuale realtà che crea, portando il lettore ad essere così assorbito da una soluzione fortemente voluta dallo scrittore stesso. E’ come voler vivere una realtà dove c’è sempre la soluzione a qualsiasi enigma, in cui le giubbe blu arrivano puntuali a sconfiggere gli indiani che ci stanno assediando. Purtroppo il quotidiano ci insegna che non è così e che molto spesso le sconfitte investigative sono superiori alle vittorie. Allora ben vengano i giallisti che in punta di penna hanno creato invincibili commissari, ispettori e principi del foro.
- Lei ha scritto già molti libri e con i fratelli Frilli addirittura è arrivato al dodicesimo romanzo giallo. Cos’è cambiato nel frattempo nei suoi libri? Non li ho letti tutti, ma la crescita costante di miglioramento della scrittura è palese. La scrittura de Il male dentro lo dimostra: è diventata più essenziale, senza fronzoli, centrata. È così o è solo una mia impressione?
È così. Il tempo e la costanza nello scrivere aiuta lo scrittore a crescere. Vorrei aggiungere anche le buone letture. Dal primo romanzo ad oggi, ne sono passati dodici. La mia scrittura è cambiata, la costruzione è cambiata. I miei lettori, spesso molto critici in senso positivo del termine, mi aiutano a capire dove c’è qualcosa da limare o da aggiungere. E’ chiaro che una volta fatta la prima stesura, consegno il manoscritto ad una persona di fiducia che mi dà il primo parere e che incide sulla narrazione con consigli costruttivi. Adoro la sintesi, anche se un romanziere non dovrebbe abusarne. Nelle descrizioni che faccio, qualche volta mi piace essere “fotografico”, ovvero concentrato sulla scena sino all’eccesso. L’obiettivo è quello di trascinare emotivamente il lettore nel mio mondo di parole.
- Questo suo ultimo romanzo, collegandomi alla domanda precedente, è scritto benissimo. Non pensa sia arrivato il momento in cui un lettore chieda espressamente l’ultimo libro di Roberto Negro e non l’ultimo dei fratelli Frilli?
Mi piacerebbe molto che ciò accadesse. In parte accade per i miei più affezionati lettori che costantemente mi scrivono per sapere quando uscirà la prossima indagine di Scichilone. Un giorno, passando davanti alla vetrina di una nota libreria di Sanremo, ho visto accanto alla porta d’ingresso l’immagine cartonata, a dimensione reale, di Paulo Coelho. Mi sono fermato a guardarla ammirato e spinto da una profonda invidia ho pensato “la voglio anch’io!”. È ovvio che è solo una battuta. In fondo ad ogni scrittore esiste un po’ di sano narcisismo. Sono convinto che scrivere e vedere pubblicati i propri libri è una forma di narcisismo.
- Il male dentro racconta già dalle prime pagine di un bambino scomparso. Questo elemento fa sì che l’attenzione del lettore aumenti con il progredire della storia. Lei, come criminologo e Sostituto commissario, ha messo qualche ricordo personale in merito al bambino scomparso? Cosa pensa delle persone che rapiscono un bambino? Cosa spinge l’uomo verso una tale crudeltà mentale?
Ho fatto diverse indagini su minori scomparsi o vittime dell’arroganza degli adulti. Ogni volta è stato come ricevere una coltellata in pieno petto. Ciò vale anche per tutti i crimini commessi nei confronti delle categorie cosiddette deboli o nei reati di genere. Quando la vittima è un minore, l’investigatore si sente di gran lunga più segnato, più motivato a scoprire il responsabile dell’atto violento. Per quanto riguarda i rapimenti di bambini, le motivazioni che spingono le persone a farlo possono essere molte: riscatto da richiedere alla famiglia, pedofilia, traffico di organi, schiavitù, etc.. Qualsiasi sia la motivazione, è chiaro che ci troviamo di fronte a persone psicologicamente disturbate e spesso chi indaga difficilmente riesce a dare una spiegazione concreta a tanta aberrazione. Si pensi agli omicidi commessi da madri verso i figli, la cosiddetta “sindrome di Medea” . In quelle circostanze occorre fare le opportune distinzioni al fine di capirne esattamente il motivo. Mi permetto di riportare un estratto di una dispensa che ho preparato qualche tempo fa per un plesso universitario.
Esaminando i casi di madri che uccidono i propri figli, occorre fare un’analisi circa il tempo in cui tale evento si realizza.
In tal senso, Resnick, nel 1970, è stato il primo a stabilire la differenza tra neonaticidio, relativo ai bambini nati con meno di 24 ore; infanticidio, relativo ai bambini minori di due anni; e figlicidio, ovvero l’uccisione di una figlia o figlio che hanno superato questa età.
Le categorie individuate sono le seguenti:
- figlicidio altruistico
- figlicidio a elevata componente psicotica
- figlicidio di un figlio indesiderato
- figlicidio accidentale
- figlicidio per vendetta sul coniuge
- figlicidio per motivi economici
- infanticidio multiplo
- Come scrittore di lungo corso, sente sempre il bisogno di una storia o le piacerebbe cambiare con un saggio sulla suspense, sulla scrittura, su come separare la professione reale da quella immaginata?
Ogni tanto emerge in me l’esigenza di abbandonare il giallo per un saggio o un romanzo intimistico. Il vero problema è che quella dell’investigatore è la sola pelle che so indossare. Tra noi “sbirri” c’è una frase che ripetiamo spesso, probabilmente per scacciare la paura e trovare rifugio in quella che è per noi la “famiglia”: “se diventi un poliziotto, sarai poliziotto per sempre.” Nel frattempo mi consolo scrivendo dispense di criminologia e molte, moltissime poesie che ritengo essere un modo di comunicazione istantaneo. Ho un’emozione: la cristallizzo e la condivido con chi sa ancora comunicare.
- Lei legge altri autori di gialli, da Frilli editori a Mondadori o Rizzoli, o legge altro? E se legge altro, dove si indirizza il suo piacere come lettore? Ci sono dei libri che le sono piaciuti in questo 2022 agli sgoccioli? Non trova sia stato un anno complesso, cupo per avvenimenti esterni per il contenimento ancora pressante di un virus che non vuole lasciarci e altro?
Leggo moltissimo: nelle ultime due settimane cinque romanzi. Adoro Manzini, il creatore del Vice Questore Schiavone, Michael Connelly tra gli stranieri. Mi è piaciuto molto “La stella del deserto” di Connelly e “La disperata ricerca d’amore di un povero idiota” di Pif, che trovo una persona molto intelligente e divertente.
- Il male dentro ha un commissario che continua a crescere come figura, non solo lavorativa ma anche privata. Cosa ci attende nel prossimo romanzo?
Il nuovo romanzo, la nuova indagine di Scichilone, è nella fase finale di stesura. Sarà un racconto cupo che scava nei meandri psicologici del protagonista. Una storia intensa in cui il mio commissario si troverà avviluppato tra scelte etiche e di coscienza. Spazio alla vita personale di Scichilone troppo spesso combattuto dal quesito “sarà solo sesso o amore vero?”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Roberto Negro, in libreria con una nuova indagine del commissario Scichilone
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