Ku Klux Klan. Un secolo di infamia
- Autore: William P. Randel
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
La supremazia criminale dei bianchi sui neri, linciaggi di gente di colore, forche, abitazioni bruciate, segregazione razziale: da 150 anni a questa parte la storia del KKK negli Stati Uniti del Sud è un romanzo del terrore. Ma non si tratta di una fiction, è una tremenda realtà. Ku Klux Klan. Un secolo di infamia ha dichiarato il professor William Peirce Randel nel titolo del saggio pubblicato dal docente e storico della civiltà americana nel 1966 e riapparso nelle librerie italiane nel 2018, su iniziativa delle edizioni PGreco, nella collana Dossier (traduzione di Gianfranco Barbieri, 368 pagine 24 euro).
KKK è l’associazione segreta fondata dei reduci dell’esercito sudista nel 1866, dopo la sconfitta nella guerra di secessione che aveva insanguinato gli Stati Uniti orientali dal 1861 al 1865. Negli Stati ex separatisti si voleva contrastare la parità di cittadinanza della gente di colore, decretata dal Parlamento dell’Unione per volere degli Stati del Nord, usciti vincitori dal terribile conflitto civile.
Ku Klux deriva dal greco kuklos, cerchia, Klan evoca lo scozzese clan, famiglia. Nacque come un club, associando inizialmente gli ex combattenti confederati, felici di tornare a casa portando con sé la vita e le armi, che i nordisti avevano concesso di mantenere. Non a caso, i primi capi furono importanti generali dell’esercito grigio. Tre le grandi fasi della vita della setta, quella in cui poté agire alla luce del sole andò dalle origini allo scioglimento nel 1869, per le violenze contro i neri e i soldati federali.
Nel 1865, il congresso USA aveva bocciato le nuove costituzioni degli Stati del Sud, nella parte in cui contenevano norme restrittive della libertà dei neri, chiedendo riscritture non liberticide come condizione per il ritorno dei ribelli nell’Unione. Cominciava il decennio della cosiddetta “ricostruzione”, con una pressione gravosa del Nord nei confronti dei territori e governi del Sud, che avevano più ragioni ora per staccarsi di quante ne avessero nel 1861, ma non la forza. Un’ostilità scoperta si dimostrò inattuabile, i repubblicani nordisti erano troppo forti, se i bianchi del Sud volevano riconquistare il controllo dei loro Stati tornando alle condizioni di vita e sociali del passato, avrebbero dovuto adottare una resistenza diversa. Furono le circostanze obbligarli a confluire in un movimento clandestino ma diffuso, inteso a non dare tregua agli avversari, innanzitutto neri, poi anche bianchi non wasp (white anglo saxon protestant) e col tempo asiatici.
È in questo humus che trovò origine il Ku Klux Klan e si scatenarono eccidi e violenze, visto che da club a fini sociali subì una rapida evoluzione fino a diventare un gruppo terroristico molto attivo. Erano convinti che le scelte del governo federale rivolte a riconoscere agli schiavi emancipati tutti i diritti di cittadini americani violassero la costituzione repubblicana e le leggi divine, che a loro dire consideravano i bianchi un genere eletto, i neri inferiori. E la maggioranza delle popolazioni del Sud riteneva i crimini socio-politici del Nord più gravi delle violenze del Klan, che attuava la volontà della gente locale: conservare lo stile di vita americano dei tempi andati.
Lo scatenarsi di una brutale violenza omicida, da parte di adepti che indossavano le toghe bianche coi capelli a punta che coprivano il volto (per rappresentare i fantasmi dei caduti), portò allo scioglimento.
Il Ku Klux risorse con rinnovato razzismo e xenofobia nel 1915 e raggiunse l’apice nel 1924, con circa 5 milioni di aderenti. Una minoranza, comunque, ma decisa a resistere e poi pur sempre grandi numeri, anche se Randel fa notare che quel movimento non era molto più pericoloso di quanto non fosse stato prima o sarebbe diventato più tardi, perché la maggior parte di quei milioni di persone non avrebbe mai assunto comportamenti violenti o sadici.
Il Klan declinò nuovamente negli anni ’30, per riapparire all’incirca nel corso della seconda guerra mondiale e restare annidato come un demone maligno nei territori a Sud, figurando nella lista delle organizzazioni sovversive stilata dal Ministero federale della giustizia. Ricordiamo che il lavoro dell’autore si ferma al 1966.
Al netto delle migliaia di vittime del Klan, lo scopo dichiarato di Randel è dimostrare tra l’altro che cinquant’anni fa veniva insegnata nelle scuole di Stato americane una storia del KKK che giustificava tanto la supremazia dei bianchi che l’azione del club a sostegno delle tesi razziste. La maggior parte dei libri scolastici e di testo risentiva dell’interpretazione radicata nei primi anni del 1900, ad opera di autori aderenti alla tradizione sudista, parziali, ostili alla speranza dei neri di ottenere uguaglianza civile e politica. In pratica, pur deplorando la violenza del Klan, la consideravano un male necessario che produceva un bene desiderabile.
Lo storico notava la difficoltà di educare alla tolleranza e alla parità razziale bambini allevati nelle scuole americane con quegli insegnamenti. Erano anni in cui negli stati del profondo Sud come l’Alabama si doveva mobilitare la Guardia Nazionale per consentire ad una ragazza nera di frequentare l’Università e a cittadini di colore di salire sugli stessi autobus con i bianchi. Erano considerati ancora poco più che discendenti degli schiavi.
E tuttavia, dal 1966 gli Stati Uniti qualche passo avanti lo hanno fatto in termini razziali (Trump permettendo): hanno eletto per due volte un nero alla Casa Bianca.
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