Il personaggio de l’Innominato fa capolino nel ventesimo capitolo dei Promessi Sposi attraverso una similitudine incisiva: viene descritto come l’aquila che troneggia dall’alto del suo nido insanguinato, così il “selvaggio signore” dominava lo spazio sconfinato tutto d’intorno fin dove piede d’uomo potesse posarsi e, soprattutto, non vedeva nessuno “al di sopra di sé né più in alto”.
Manzoni e il racconto dell’Innominato
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Si tratta di una descrizione perfetta, una delle più efficaci di tutto il romanzo. Descrivendo nei minimi particolari il luogo in cui il personaggio vive, il castellaccio che sorge solitario sul poggio di un colle, Manzoni sembra avvicinarsi con un magistrale effetto di regia in presa diretta - con uno zoom progressivo da una prospettiva aerea - al losco signore che vi abita di cui vengono descritte tutte le caratteristiche essenziali in pochi tratti.
Comprendiamo subito che si tratta di un personaggio terribile, ancor prima che ne venga introdotto il nome, o sarebbe meglio dire “il non nome”. La sua presenza era già stata evocata, del resto, nel diciottesimo capitolo dedicato alla “Notte degli imbrogli” e la sua storia viene svelata nel capitolo successivo. Si crea così attorno alla sua figura un senso di crescente attesa. Sappiamo che nessuno osava avvicinarsi al castello né mettervi piede e i pochi che avevano avuto l’ardire di tentare l’impresa avevano fatto una brutta fine. Il luogo quindi introduce il personaggio alimentando un’atmosfera di crescente inquietudine.
Quando Don Rodrigo giunge alla soglia del castello, lascia il fidato Griso sulla porta e avanza da solo attraverso bui corridoi tappezzati di spade e armature scoprendo a ogni angolo un bravo posto a guardia. Al termine di questo labirinto, che ricorda quasi una casa stregata, ecco che finalmente l’Innominato fa la sua comparsa, ed è proprio lui in carne ed ossa. A questo proposito è importante osservare che le caratteristiche fisiche dell’Innominato ci vengono descritte solamente dopo quelle caratteriali e morali. Di lui sappiamo che è un predatore solitario ed egoista al pari di un’aquila, solamente ora acquisisce una forma umana, eppure non un nome.
Ma quali sono le caratteristiche fisiche dell’Innominato? Nel raccontare il suo personaggio Alessandro Manzoni non lascia nulla al caso, anticipandone le azioni future. Si tratta di una delle figure più affascinanti della storia della letteratura, non solo in virtù della sua inaspettata conversione.
Scopriamo tutti i segreti dell’Innominato e la sua vera storia.
“L’Innominato”: descrizione e analisi del personaggio
Era grande, bruno, calvo; bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si sarebbe dato più de’ sessant’anni che aveva; ma il contegno, le mosse, la durezza risentita de’ lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo degli occhi, indicavano una forza di corpo e d’animo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine.
La descrizione fisica dell’Innominato, come vediamo, non è disgiunta da quella morale. La sua anima è tutta racchiusa nel “lampeggiar sinistro ma vivo degli occhi” che è sufficiente a rivelare il suo ruolo di antagonista ancor prima che proferisca parola. Sappiamo già, in un certo senso, ciò che sta per dire ancor prima che apra bocca. Sembra incarnare l’immagine dell’aquila che sbrana la preda trafiggendola col becco nel suo nido insanguinato; ha lo stesso sguardo da predatore, la stessa forza sovrumana, quasi bestiale, nel corpo e nelle membra.
Dopo aver fornito il ritratto del suo personaggio, Manzoni ne descrive le azioni, mostrandocelo nell’atto di accettare immediatamente la missione propostagli da Don Rodrigo:
A questo, l’Innominato, come se un demonio nascosto nel suo cuore gliel avesse comandato, interruppe subitamente, dicendo che prendeva l’impresa sopra di sé. Prese l’appunto del nome della nostra povera Lucia, e licenziò don Rodrigo, dicendo: “tra poco avrete da me l’avviso di quel che dovrete fare.”
Ad accendere l’odio demoniaco dell’Innominato è la menzione di Fra Cristoforo, di cui intuiamo che è diretto nemico. Da questo momento il “selvaggio signore” sembra scalzare Don Rodrigo dal suo ruolo di antagonista e diventare il personaggio più terribile - e temibile - della storia. Certo non avrebbe fatto molto senza la complicità di Gertrude, la Monaca di Monza, che “ammaestrata a una scuola infernale” getta l’ingenua e sprovveduta Lucia tra le sue grinfie, dopo appena un attimo di ripensamento che Manzoni magistralmente ci segnala con quel richiamo: “Sentite, Lucia!”
Da questo momento comunque la strada dell’Innominato e quella di Lucia Mondella si incrociano e nulla sarà più come prima. Alessandro Manzoni sta segretamente preparando il terreno alla sua morale.
La conversione dell’Innominato
L’Innominato è un personaggio chiave per Manzoni in quanto esemplifica il suo rapporto con la fede cattolica. La conversione dell’Innominato è un evento cruciale nella trama dei Promessi Sposi, alla sua figura infatti il narratore lega il messaggio della divina Provvidenza centrale per lo sviluppo dell’intera opera.
Assistiamo progressivamente allo sgretolamento di questo personaggio granitico: c’è il suo travaglio interiore dopo la notte trascorsa con Lucia, l’angoscia, lo smarrimento, infine la sua prostrazione ai piedi del Cardinale Borromeo.
L’Innominato è uno dei personaggi più complessi dell’intera opera, perché segue una parabola precisa di evoluzione che ne determina il drastico cambiamento: da antagonista violento e impunito a sant’uomo redento dalla fede pronto a dedicare la propria vita al prossimo.
L’Innominato e Fra Cristoforo
Nella parabola della conversione l’Innominato trova il suo doppio in Fra Cristoforo, che a sua volta ha subito una conversione simile. Grazie a un flashback veniamo a conoscenza della vera storia di Fra Cristoforo, il cui vero nome è Ludovico e un tempo era un uomo molto ricco. Sappiamo che, coinvolto in una lite per strada, da giovane Fra Cristoforo uccise un uomo. Pentito del suo gesto e rispettoso della legge decise poi di convertirsi e votarsi a una vita di santità. Uno dei suoi primi gesti compiuti da religioso è infatti recarsi a chiedere perdono alla famiglia della vittima.
A differenza di Fra Cristoforo nell’Innominato non troviamo un serio pentimento per i numerosi delitti subiti, la conversione di quest’ultimo è dettata anzitutto dalla paura: l’Innominato teme per la salvezza della propria anima e non si converte in giovane età, ma in età avanzata quando ormai scorge dinnanzi a sé lo spettro tenebroso della morte. La conversione dell’Innominato non è dettata tanto dal pentimento per le azioni compiute, quando da una crisi esistenziale portata al parossismo dall’incontro con Lucia che bonariamente gli dice:
Dio perdona tante cose per un gesto di misericordia.
In quella frase l’Innominato trova la sua espiazione, la strada per liberarsi dal peso della propria coscienza. La sua conversione, come vedremo, sarà determinante per il lieto fine della storia. Dopo il crollo morale del temibile Innominato le cose si volgeranno al meglio per i nostri Promessi Sposi.
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Chi era veramente “L’Innominato”? Il conte del Sagrato
Sembra che Manzoni per la creazione del suo celebre personaggio si fosse ispirato a una figura realmente esistita: Francesco Bernardino Visconti, un nobile originario di Gera d’Adda, noto alle cronache come il famigerato Conte del Sagrato per la sua sanguinaria usanza di uccidere le proprie vittime sul sagrato delle chiese.
Le poche fonti a disposizione fanno risalire la sua nascita al settembre 1579.
Francesco Bernardino fu coinvolto fin dalla giovane età in vicende sanguinarie e faide familiari: aveva soltanto sedici anni quando, dopo la morte del padre, il fratello maggiore, Galeazzo Maria, rapì la madre per una questione di eredità. Francesco Visconti non partecipò al processo e fu giudicato estraneo ai fatti, ma, crescendo, sviluppò un carattere violento simile a quello del fratello. Cominciò a circondarsi di bande di bravi e a dedicarsi a pratiche vessatorie violente in sprezzo delle autorità giudiziarie. Compì diversi omicidi, ma rimase sempre impunito perché poteva contare su una solida rete di protezioni e su un’ingente somma di denaro. Riusciva a sospendere ogni processo a suo carico offrendo alle vittime - o a chi per loro - una lauta ricompensa. La sua vicenda viene raccontata nel libro Historiae patriae di Giuseppe Ripamonti, il biografo del Cardinale Borromeo.
Pare che Francesco Bernardino Visconti dopo tanti delitti si rese protagonista di un insolito episodio di conversione religiosa, fatto che lo accomuna in modo straordinario all’Innominato. A quanto pare il più enigmatico personaggio creato dalla penna del Manzoni era tratto da una storia vera che va ben oltre la leggenda, rendendo ancor più vivida la magistrale narrazione manzoniana.
Una curiosità: nella prima stesura del romanzo, il Fermo e Lucia, l’Innominato veniva chiamato con il suo vero nome: il Conte del Sagrato. La scelta di accrescere il suo mistero occultandone l’identità fu dunque una successiva (e geniale) intuizione di Manzoni.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’Innominato”: chi era veramente il personaggio creato da Manzoni
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