L’abbazia dei cento delitti
- Autore: Marcello Simoni
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2015
Il morbo incombe su Ferrara e l’Europa: la peste, la Morte Nera.
1347: il prezzo è la mia salvezza. Poi una parola, anzi, due, sono bastate all’iniquo monaco Facio di Malaspina per sfuggire alla condanna capitale, comminata dal vescovo Guido. Un segreto rivelato all’orecchio del marchese: Lapis exilii. È tutto quello che il religioso storpio nel corpo e nell’animo ha sussurrato all’estense. Gli è bastato per scampare al patibolo, per intervento del Signore di Ferrara.
La saga del Codice Millenarius riprende da dove Marcello Simoni ha lasciato in sospeso i lettori. “L’abbazia dei cento delitti” (Newton Compton, 2015, 376 pagine 9,90 euro) è il seguito del primo bestseller del Codex (“L’abbazia dei cento peccati”, 2014) ed è il secondo titolo di quella che l’ottimo scrittore di Comacchio prevede una trilogia.
Il tradimento, però, non porta Facio lontano. È il cavaliere Maynard de Rocheblanche a trovarlo in una taverna, torturato e ucciso dal visdomino della diocesi, Superanzio Orsini, l’unico che abbia ascoltato le due parole dette al marchese. Evocavano il Lapis, dunque, un oggetto misterioso al quale sono legate due preziose reliquie della passione. Maynard, invece, è un uomo virtuoso, ma anche profondamente ferito. È convinto che le sue virtù cavalleresche siano andate perdute nella battaglia di Crecy, insieme al sovrano al quale era devoto, Giovanni di Boemia. E se non sono morte in quella sconfitta, lo erano da quando il padre ha violato la sorella Eudeline, ora triste badessa ventenne del convento di Reims.
Rocheblanche ha giurato al vecchio abate di Mont-Fleur di riportare le reliquie nel monastero irraggiungibile dal quale sono state rubate. Solo padre Facio, però, sapeva dove le aveva nascoste. La ricerca dovrà riprendere da zero.
Il cavaliere buono, che ricorda con nostalgia il sogno di rispettare i valori dei paladini della Chanson de Geste, ha due protetti, affidati a padre Andrea dell’Abbazia di Pomposa. Sono Isabeau, adolescente biondissima con un’iride blu e l’altra verde e il giovane miniaturista Gualtiero de’ Bruni, figlio di Sapia, una donna arrestata e condotta ad Avignone. Il marito è stato giustiziato a Ferrara come eretico e prima ha confessato al ragazzo di non essere suo padre.
Maynard diventa il maestro d’armi del primogenito del Signore d’Este, un dodicenne, Aldobrandino, tutto sommato positivo nonostante la presunzione tipica dei rampolli nobili. Nel palazzo, il cavaliere scopre l’alloggio fatiscente in cui Facio si nascondeva e trova un anello, che finisce tuttavia nelle mani del visdomino. Il gioiello reca il simbolo leonino del cardinale di Avignone, Bertrand du Pouget, un uomo feroce, che quattordici anni prima aveva assediato Ferrara, riuscendo quasi ad espugnarla.
L’ombra del potente e crudele uomo di Chiesa si allarga ancora una volta sul romanzo di Marcello Simoni e sui suoi protagonisti, attesi da momenti difficili ed autentiche tragedie.
Gualtiero e Isabeau si amano, ma Rocheblanche li separa, convinto di farlo per il loro bene. A Pomposa, l’abate Andrea scova il libro nascosto da Malaspina, comincia a leggerlo e resta sconvolto. Isabeau viene fatta rapire da Orsini e diventa oggetto di un odioso ricatto, ma il giovane pittore riesce a liberarla, con l’aiuto di Maynard e del buon amico Robert de Vermandois, emissario da Reims di Eudeline. Rocheblanche, però, è catturato dagli uomini di Obizzo, il marchese d’Este.
È inverno e la carestia si abbatte sul territorio del Padus, inasprita dal freddo. Negli abitati si muore di stenti. L’abbazia di Pomposa è circondata dal gelo e dalla fame.
E veniamo al Codex Millenarius: è il libro rinvenuto nell’alloggio di Facio. Sembra una raccolta di testi evangelici in latino, di un autore che si firma Flegetanis. In realtà rimanda a un contenuto più antico, scritto addirittura da Gesù, poco prima della crocifissione. È un testo di valore inestimabile, il più sacro di tutti i tempi. Insieme alla coppa dell’ultima cena e alla punta della lancia di Longino, venne in possesso di Giuseppe di Arimatea, che ricopiò ogni singola parola su una pietra mistica, perché non se ne perdesse la memoria. Ecco le reliquie ed ecco il Lapis, la pietra dell’esilio.
Ancora gravi sciagure sulle donne e sugli uomini. Prima un terremoto, nei primi dell’anno 1348. Poi un morbo misterioso, un’infezione ripugnante, capace di uccidere un uomo forte in pochi giorni.
È la Morte Nera. La peste si abbatte su Ferrara e l’Europa. Pagine manzoniane.
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