L’italiano della canzone
- Autore: Luca Zuliani
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2018
“Scrivere canzoni in italiano è difficile tecnicamente, perché le esigenze della metrica ti rendono necessaria una gran quantità di parole tronche, che in italiano non ci sono, o comunque non abbondano” (Fabrizio De Andrè).
“Scrivere in italiano non è assolutamente semplice. In inglese è molto più facile, tanto è vero che il rock and roll in Italia non è mai esistito, impossibile trasformarlo in rima” (Francesco Guccini).
Gratta gratta la colpa è sempre delle dannate tronche, utili alla rima come lo scalpello allo scultore ma dall’italiano poco contemplate. A meno di non volere forzare la mano, eccedendo in arcaismi cari a un certo melodismo alla Grazie dei fior (Nilla Pizzi). Oppure a strategiche inversioni di parole (le anastrofi di tradizione letteraria), tipiche della poesia antica. Come nel Vecchioni di Samarcanda e di Luci a San Siro:
“Ridere, ridere, ridere ancora/ ora la guerra paura non fa”
“Io quando ho amato ho amato dentro gli occhi suoi”.
Insomma un bel problema, se è vero che a partire dagli anni Settanta la canzone è assumibile a nuova forma di poesia, dalle valenze (culturali e sociali) sempre maggiori. Per dirla in altro modo – in modo credo simile a quello di Luca Zuliani, autore del bel saggio “L’italiano della canzone” da poco uscito per Carocci – la lingua italiana è tra le più musicali al mondo ma il suo rapporto con la musica è giocoforza compromissorio: deve cioè spesso derogare al suo ritmo naturale per piegarsi a esigenze metriche imposte dalla musica.
Il saggio di Luca Zuliani (insegna linguistica italiana all’Università) risulta in questo senso – e in diversi altri – un lavoro ineccepibile: stili, metodi, espedienti tecnici sono infatti posti a vaglio teorico-pratico: da un lato a comprova della relazione ineludibile musica-parola, dall’altro come parabola evolutiva dell’italiano cantato, dalle origini ai nostri giorni. La questione non è prerogativa ristretta di un novero sparuto di addetti ai lavori. Come indica l’autore stesso:
“oggi i testi della musica leggera hanno sempre più importanza e sempre più spesso sono considerati allo stesso livello della poesia letteraria; o meglio, il ruolo che le canzoni hanno nella società attuale è simile a quello che una volta avevano non solo le arie del melodramma, ma anche le poesie” (pp. 7-8).
Con l’ironia caustica che lo contraddistingueva (e alcune tronche riprese in omaggio sarcastico al verseggiare del bel canto) Edoardo Bennato sentenziava:
“sono solo canzonette”
sapendo bene di sbagliarsi di grosso.
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