Oggi 17 febbraio è la Festa del gatto, vi proponiamo in lettura una poesia di Pablo Neruda che è una celebrazione dell’essere felino. Pablo Neruda non ha scritto solo poesie d’amore; o forse sì, sempre se si può considerare “romantica” la sua straordinaria Ode al gatto (Oda al gato nell’originale, Ndr), una splendida celebrazione della piccola creatura felina addomesticata che vive nelle nostre case.
Il gatto, per Neruda, è un mistero che non può essere svelato.
Una bella definizione da proporre nella Festa nazionale del gatto , una ricorrenza che ci porta a vezzeggiare e interrogare i nostri amici felini, scrutandoli nei loro occhi tondi ed enigmatici che, talvolta, sembrano sapere (e conoscere) della vita molto più di noi.
Il poeta cileno decanta la “bellezza perfetta” del gatto proprio attraverso la sua indecifrabilità, affermando che il gatto è l’unico animale perfetto, dai baffi alla coda. Ha la regalità di “un imperatore” e la selvatichezza di “una tigre da salotto”, abita nelle nostre case eppure non vive esattamente “con noi”, sembra essere lui l’unico padrone, il sultano del suo personale harem, mentre scruta l’intero universo comodamente disteso con la coda arrotolata lungo il corpo flessuoso.
Il gatto è un cacciatore ardimentoso travestito da animale domestico, mentre sonnecchia tranquillo al nostro fianco facendo le fusa sembra racchiudere nel sogno il proprio indicibile segreto.
Dev’essere per questo motivo, il mistero che essi racchiudono, che gli scrittori sono sempre stati affascinati dai gatti, da Hemingway a Elsa Morante - spesso raffigurata con i suoi inseparabili gatto Alvaro e la siamese Minna - ma anche James Joyce che scrisse I gatti di Copenaghen per il nipote e come dimenticare T.S. Eliot e il suo leggendario Old Possum’s Book of Practical Cats che ha ispirato il famoso musical Cats.
Anche Neruda, di cui è tradizionalmente noto l’amore per cani (ne aveva avuti molti, da Kuthaka a Nyon), volle indagare il mistero del gatto, pur ammettendo che sarebbe rimasto per lui inconoscibile, ne risultò un’ode che è una celebrazione dell’essere felino.
Vediamone testo e analisi.
“L’ode al gatto” di Pablo Neruda: testo della poesia
Gli animali furono
imperfetti, lunghi
di coda, plumbei
di testa.
Piano piano si misero
in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono néi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso:
nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.L’uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca d’imitare la mosca,
ma il gatto
vuole solo esser gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola
fessura
per gettarvi le monete della notte.Oh piccolo
imperatore senz’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto, nuziale
sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto
è immondo
per l’immacolato piede del gatto.Oh fiera indipendente
della casa, arrogante
vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un
irreperibile velluto,
probabilmente non c’è
enigma
nel tuo contegno,
forse non sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono
padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni,
colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl’imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare un gatto.Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.Non c’è unità come la sua
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione
è una sola cosa
come il sole o il topazio
e l’elastica linea del suo corpo
salda e sottile
è come la linea della prua
di una nave
i suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola fessura
per gettarvi
le monete della notte.Oh piccolo
imperatore senz’orbe
conquistatore senza patria
minima tigre di salotto
nuziale sultano del cielo.
“L’ode al gatto” di Pablo Neruda: analisi e significato
“Il gatto vuol essere solo gatto”, scrive Neruda, e forse proprio in questo assunto è racchiusa l’indicibile perfezione dell’essenza felina. Il gatto non vuole essere altro rispetto a ciò che è, è completamente padrone di sé stesso, e di conseguenza appare come l’unica opera finita nel mezzo del processo evolutivo. Il cane è un “leone mancato”, una sorta di aspirante felino non conforme alla sua natura canina, osserva Neruda, che pure i cani li amava. Il gatto, invece, fa persino invidia alla tigre perché viene vezzeggiato e coccolato e nutrito senza tuttavia perdere un briciolo della sua selvatichezza.
Il gatto mantiene intatto il suo mistero, pur vivendo con l’uomo, non è mai completamente addomesticato; è una presenza costante e al contempo intangibile nelle nostre vite, che vaga per la casa come un “poliziotto segreto” e talvolta sembra segretamente spiarci. Chissà che fanno i gatti di notte, nel buio, quando nessuno è con loro; forse, come suggeriva del resto anche Eliot, vivono finalmente la loro vita segreta. È proprio l’insondabile profondità del gatto ciò che ci rapisce, ciò che ci affascina invincibilmente.
La “gattitudine”, tuttavia, è anche una solenne professione di indipendenza: i gatti non hanno bisogno degli altri, bastano a sé stessi, sono solitari e inquieti e trasformano l’uomo non nel loro padrone, ma nel loro discepolo, nel loro adorante ammiratore.
Neruda si arrende, ammette di poter parlare di ogni cosa del mondo ma di non poter conoscere il mistero del gatto, “io non conosco il gatto”, ed è proprio in questa dichiarata indecifrabilità che è racchiusa la straordinaria bellezza della sua irripetibile Ode al gatto. Del resto, ai gatti non possono che essere dedicate poesie di estatica adorazione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’ode al gatto” di Pablo Neruda: una poesia d’amore per i gatti
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