L’ultimo inverno
- Autore: Paul Harding
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
Gli orologi: un insieme di ingranaggi fatti di tante piccole parti ma assemblate in maniera precisa e complessa per segnare lo scorrere del tempo. Paul Harding ne “L’ultimo inverno”, premio Pulitzer 2010, parte da questi oggetti che sono metafora dell’intera storia.
George Crosby, il protagonista, è stato per la maggior parte della sua vita restauratore di orologi, ma ora anche il suo tempo sta per finire. Affetto da gravi malattie degenerative cui, per ultimo, si è aggiunto il cancro, il suo organismo sta per crollare e il suo cuore sta per cessare di battere. Attorno a George stanno la moglie, i figli e i nipoti: la sua è una famiglia unita, costruita sulle fondamenta dell’amore e del rispetto. George si volge verso i suoi cari ma gli ultimi giorni della sua vita sono permeati da un pensiero predominante:
“Steso sul letto di morte George avrebbe voluto rivedere suo padre. Voleva immaginarlo...”.
Tic tac, tic tac: il rumore incessante degli orologi accompagna i pensieri di George così come “Il tin tin. Il tintinnio dell’ambulante. Il tintinnio delle pentole e dei secchi...” aveva seguito la vita di suo padre Howard che, per mantenere i figli, rimediava un po’ di denaro attraverso lavoretti e riparazioni che svolgeva qui e là. Howard Crosby era un uomo all’apparenza robusto ma minato, fin da giovane, da quello che veniva definito “Il Grande Male” che gli provocava forti convulsioni che, oltre a lasciarlo prostrato, rendevano precaria la serenità familiare e gettavano nello sconforto la moglie e il figlio maggiore, George appunto. L’epilessia, per la quale all’inizio del secolo scorso esistevano pochi rimedi, veniva, quindi, dai poveri accettata come un male cui soggiacere sia per la mancanza di denaro per le medicine, sia per l’insufficiente preparazione culturale della gente comune, ancora incapace di chiedere, informarsi, lottare per conoscere qualche rimedio alla malattia. George, tra il sogno e l’allucinazione, rivede il padre e l’intera famiglia. La madre, in seguito a una vita faticosa sia per la malattia del marito, sia per la nascita dell’ultimogenito affetto da ritardo mentale, aveva assunto, agli occhi di tutti, un aspetto severo. Così come lei poco sorrideva, anche in famiglia rari erano i momenti sereni. George vorrebbe ritrovarli o almeno ricrearli per migliorare quel meccanismo che è stata la storia della sua famiglia minata dalla malattia, a partire dal nonno, per passare al padre e al fratello. George, esperto restauratore, rivive questi momenti soprattutto nel ricordo del padre quasi a risistemare tanti piccoli pezzi di vita andata in frantumi. Era stata un’esistenza faticosa e, alla fine, il padre aveva volontariamente lasciato la casa per non far più soffrire i suoi cari. Nel partire, Howard, però, aveva lasciato tracce indelebili nel cuore della famiglia, in particolare in quello di George.
“L’ultimo inverno”, all’apparenza assai triste, è in realtà un racconto toccante che si fa musica quando tratta di sentimenti e che è musica, appunto, anche espressa attraverso il ticchettio e i rintocchi degli orologi. Non avrebbe potuto esprimere al meglio le proprie potenzialità uno scrittore come Paul Harding che dell’arte dei suoni si è nutrito, essendo stato il batterista di una jazz band. Questo romanzo è un insieme di leggeri tocchi del musicista su tamburo, piatti e grancassa: tutti precisi, perfetti. E’, seppur triste, una melodia.
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