La Juve
- Autore: Luca D’Ammando
- Genere: Sport
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
Con l’efficacia puntuta che contrassegnava il suo stile, Gianni Brera disse un giorno della Juventus:
“Non è una squadra, è un fenomeno sociale”.
Mai definizione fu più azzeccata, in quanto mai il destino di una società di calcio risulta tanto intrinseco agli odi, agli amori, al superomismo, alle invidiuzze, alla dietrologia, alla miseria e alla nobiltà di una Nazione quanto quello della Juventus F.C. E ha ragione anche Mario Sconcerti, altro giornalista di penna lucida, a dispetto dell’appartenenza “viola” (nel senso che tifa Fiorentina) quando afferma che
“la Juventus è la seconda squadra di qualunque città ma non è la prima in nessuna città”.
La traduco in questo modo: Juve è un concetto che non conosce dialettica, è un’Idea unificante e disgregatrice al contempo, poco conciliatoria, persino fratricida, come ogni Idea destinata a lasciare un segno.
Non mi è dato di conoscere la fede calcistica di Luca D’Ammando: stando alla lettura del suo “La Juve. La cronologia. Le immagini più belle di sempre” (Edizioni Clichy, 2016) non giurerei sul fatto che tenga per la Juventus. Nel caso fosse juventino andrebbe annoverato tra i tifosi “mimetici” (non certo per vigliaccheria), di quelli intelligenti, misurati, che disconoscono supponenza e vanagloria (del resto la storia della Juve si vanta benissimo da sola, per via di un palmares coi controfiocchi).
Il tono delle quasi 200 pagine che dedica alla Vecchia Signora è tanto misurato quanto curioso, oggettivo, affatto incline ai peana e agli incensi fine a se stessi (non capita quasi mai coi libri di sport). Le vicende della società “degli Agnelli” sono ripercorse in cronistoria essenziale, passante per aneddoti, retroscena, foto (quasi tutte “storiche”, molto belle). Spigolature statistiche e affettive (se chi legge fa il tifo per la Juve) a sostegno di una parabola sportiva e - perché no - italiana, che dalle maglie rosa con cravattino nero (sic!) degli esordi, passa dalle bistecche pre-partita di John Charles, agli improperi di Omar Sivori e di Helmut Haller rivolti ai compagni di squadra “che sbagliavano”. Sfiorando ancora, anno dopo anno, scudetti, lutti, coppe europee vinte e sfumate di un soffio. E poi facce, match, soprannomi (“Marisa” per Boniperti, “Bonimba” per Boninsegna, “Il Barone” per Franco Causio), pagine nere e pagine bianche (mai come nella fattispecie) di stampo juventino, fino alle imprese dell’altro ieri di Morata e Pogba sotto la guida di Allegri.
“La Juve” è, insomma, un libro che piacerà ai suoi tifosi, ma che potrebbe interessare anche i “semplici” sportivi, in quanto prossimo alla fenomenologia del Mito (calcistico), e dunque utile (in senso quasi antropologico) a prescindere dalla fede di appartenenza. A proposito: la battuta più acuta sulla Juve vista dalla parte dei suoi “nemici storici” la fece una volta l’avvocato Giuseppe Prisco, detto Peppino. Interista:
“La Juventus è come una malattia che uno si trascina dall’infanzia - disse - Alla lunga ci si rassegna”.
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