La bellezza delle cose fragili
- Autore: Taiye Selasi
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2013
Intenso, toccante, scavato, meticoloso, ricco di particolari di natura sia storico etnografica che psicologica è il romanzo La bellezza delle cose fragili di Taiye Selasi (Einaudi 2013, pp. 328), traduzione di Federica Aceto. Narra la storia di una famiglia africana immigrata in America e si snoda in oltre vent’anni.
Lui, Kweku Sai, diventato un geniale chirurgo a Boston, è ghanese; lei, Fola Savage, bellissima, amante dei fiori tanto da creare una piccola attività da imprenditrice nel settore, è nigeriana. Hanno alle spalle orrori indicibili da superare e dimenticare. Adottano la tecnica del silenzio, il loro amore supera le parole. O dovrebbe. È davvero così?
Nel racconto sono predominanti i pensieri, le emozioni "fragili" appunto, che possono essere spente dagli eventi, o dalla predisposizione interiore di ciascuno, a cui è affidata la capacità di preservarle. Fragili come la farfalla dai colori sgargianti che in Ghana si posa per un attimo sull’alluce dei morti… suscitando certamente un fremito di commozione nei lettori.
L’autrice mette in moto la tecnica della rêverie con flashback continui. Ma la rimozione purtroppo non paga. Non paga mai, presto o tardi il rimosso viene a galla in modi drammatici, improvvisi e devastanti. Kweku ha lasciato il suo paese sostenuto da una missione cristiana americana. Suo padre "è scomparso", così si mormora nel villaggio vicino ad Accra, inoltrandosi in mare per non ritornare. Il padre non ha retto l’oltraggio di essere stato frustato pubblicamente in piazza per aver difeso sua moglie dalle attenzioni prevaricatrici di un bianco. Il sentimento di inferiorità e vergogna circola in tutte le pagine, sciogliendosi soltanto alla fine. Fola è la più forte, orgogliosa, un fiume che sa scorrere. Ma neppure lei vuole ricordare (se non nei soliloqui interiori) e raccontare l’assassinio di suo padre, nel 1966, durante la guerra fratricida in Nigeria. Sono due figure complementari, nate per amarsi per sempre.
Il "per sempre" è nell’anima, nell’invisibile, non nel visibile. Appena Kweku viene travolto da un episodio fatale e inevitabile - la morte sotto i ferri di una ricca bostoniana bianca, (la cui famiglia di notabili finanza la clinica) ed è ingiustamente licenziato in tronco - l’uomo non regge. Abbandona la famiglia con Fola e quattro figli, scompare nel nulla. Come il padre. Il karma (destino) negativo, se non compreso e superato, si ripete. Lo travolge il rifiuto sociale e ancor di più il possibile giudizio di Fola che pesa, o peserebbe secondo lui, in modo insuperabile. È un giudizio immaginato e ingigantito. L’uomo si considera fallito... Inoltre è pieno di debiti, contratti con un avvocato difensore della causa intentata e persa contro l’autorevole famiglia. I Sai,a parte la casa di proprietà, sono diventati nullatenenti.
La prima sezione del libro mette in primo piano l’agonia di Kweku, morto di crepacuore, in Ghana, dove è tornato. Le altre sezioni affrontano la vita dei quattro ragazzi durante i vent’anni di abbandono. La minore, Sadie, disadattata e bulimica, è la voce della coscienza critica. Sa di doversi "integrare", ma a quale prezzo?
"Per Sadie è palese che tutti indossano questa patina di bianchitudine”.
Integrare per cosa? Quali ideali dovrebbero abbracciare i protagonisti di una storia che nel titolo originale inglese è "Ghana must go"? Parola d’ordine in Nigeria per l’epurazione delle etnie indesiderate, messa in atto dal governo allora. Nel libro non vengono mai nominate le multinazionali, il vero potere finanziario che muove le persone e i popoli come burattini. Mi sembra un limite. Esistono momenti in cui assistiamo alla scena classica e comunissima dell’accattonaggio; qui siamo a Lagos:
"Un ragazzino senza scarpe spinge la sedia a rotelle di un uomo senza gambe e lo guida con cautela nel traffico, attraversa la strada e arriva al taxi, bussa sul retro dalla parte del passeggero e allunga una mano monca di alcune dita per chiedere qualche spicciolo.”
Come in India del resto.
Nel romanzo è ben chiaro come lo scambio di culture avvenga in un terreno asettico, privo di autentico valore morale da parte dei bianchi, i quali offrono soltanto il potere, arrivismo e carriera, party universitari con cubetti di formaggio infilati negli stuzzicadenti. È tutta qui la nostra civiltà occidentale? Altro non compare, Fola ha ragione a non partecipare alle feste di fine settimana, a cui il marito è invitato, in maschera ovvero calzoni color kaki ben stirati, camicia impeccabile, occhiali da intellettuale.
I due figli gemelli appena adolescenti, spediti in Nigeria a Lagos da uno zio che può pagare loro gli studi, subiscono abusi sessuali da quest’ultimo. La ragazza, Taiwo, è una studentessa intelligentissima, ancor più del fratello maggiore Olu, medico come il padre, socialmente riuscito, ma nell’intimo terrorizzato dall’abbandono. Taiwo potrebbe diventare avvocato; diverrà l’amante del suo professore, a Yale, un uomo sposato. È attrazione fatale e scandalo pubblico. La donna lascia l’università, l’unica colpita, l’unica a essere annullata. Ancora una volta un episodio di esclusione.
Il suo gemello, Keinde, pittore di successo, tenta il suicidio (fallito), tagliandosi le vene. È lui, l’ultrasensibile, a salvare in sé una visione del mondo degna di salvarci la vita. È il secondo gemello, partorito subito dopo la sorella, e secondo la leggenda yoruba:
"Il secondo gemello, in particolare, il changeling e il trickster, meno affascinato dalle cose del mondo rispetto al primo, viene sulla terra con grande riluttanza e vi rimane con un maggiore sforzo, consumato dalla nostalgia per i regno spirituali.”
Strano, stupefacente, conturbante, che in un giovane africano la scrittrice tramandi la verità platonica, lo spirito che domina la materia e ci conduce. L’animismo africano conosce bene questa verità dell’essere e del cosmo. Noi occidentali, succubi del denaro, l’abbiamo dimenticata.
Che ne sarà della famiglia Sai? Nel capitolo finale sono tutti riuniti, finalmente, per il funerale del padre. È un’occasione di grandi rivelazioni. Cose mai dette vengono pronunciate.
In un dialogo mentale con il marito trapassato, Fola conclude:
"Noi abbiamo imparato ad amare. Lascia che loro imparino a rimanere.”
Rimanere in patria dove si è nati, per contribuire a cambiare la sorte dei popoli.
I rapporti tra Occidente e Sud del mondo costituiscono il nodo cruciale da sciogliere nell’avvenire del pianeta.
Taiye Selasi risiede attualmente a Roma. È vissuta in Massachusetts e si è laureata a Yale. È nata a Londra da padre ghanese e madre nigeriana. Questo è il suo primo romanzo e promette molto bene.
La bellezza delle cose fragili
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