La critica cinematografica
- Autore: Alberto Pezzotta
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2018
“È certo che la critica sia di per sé un’arte (…) La critica più alta è più creativa della creazione (…) Per il critico l’opera d’arte è semplicemente una traccia per una sua opera nuova, che non necessariamente comporta una qualsiasi ovvia somiglianza con la cosa criticata”
“Tutti si sentono in diritto, in dovere di parlare di cinema. Tutti parlate di cinema, tutti parlate di cinema, tutti! (...) Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io? (...) Parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? Io non parlo di cose che non conosco! Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? Io non parlo di cardiologia! Io non parlo di radiologia! Non parlo delle cose che non conosco! Non parlo di cose che non conosco”.
La prima è di Oscar Wilde, ma non fatelo sapere ai troppi critici dopolavoristi in giro per il web. La seconda invece appartiene al NanniMoretti-furioso di Sogni d’oro e siete invitati a divulgarla: hai visto mai che qualcuno dei criticomani di cui sopra possa ravvedersi e piantarla lì.
Se mai può esistere un grado zero della critica (letteraria e cinematografica. Per tacere di quella musicale, che non è mai esistita) è ora e qui. Il così detto gentismo ha deprivato la critica di senso, l’ha estesa a chiunque, l’ha degradata al ruolo di velina, o forse, peggio ancora, a vaniloquio blaterante e auto-ombelicale. Le cose per quanto mi riguarda stanno così.
E, del resto, con incedere segnatamente più accademico Alberto Pezzotta – a pagina 41 della sua nuova edizione di “La critica cinematografica” (Carocci, 2018) - la dice da par suo:
“nel web il discorso critico si frammenta tra specialismo e improvvisazione. Si costituiscono tante nicchie, comunità di fan dai comuni denominatori disparati (…) Per alcuni la scrittura appare ormai una cosa del passato: che si tratti di colti cinefili che confezionano video essay o di ragazzotti logorroici che sproloquiano su Youtube”.
La fine, pronuncerebbe Marlon Brando-Kurtz in Apocalypse now. Con aura meno carismatica e di gran lunga meno metafisica potremmo fare nostro il de profundis adeguandolo alla facoltà di giudizio pertinente. Se c’è una cosa che risulta chiara dalle pagine di “La critica cinematografica” è che critici doc non ci si improvvisa, semmai lo si diventa: scrivendo e studiando, forse anche sbagliando, ma “da professionisti” per dirla in immaginifico Paolo Conte-style.
Ma
“Questo libro non è una storia delle teorie del cinema né un saggio sui metodi di analisi dei film, anche se vi fa riferimento. Non è neanche un manuale per diventare critici o scrivere una recensione” (p. 10)
minimizza in apertura l’adamantino Alberto Pezzotta. Parafraso e trascendo (con il rispetto dovuto alla sua statura speculativa): verissimo. Questo libro è molto di più: è teoria e prassi della critica cinematografica ai tempi del Grande Freddo. E dunque è un saggio rivendicativo. Lucido. Contro-tendente. Salutare. Utile. Pensato e scritto benissimo.
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