

La dolciera siciliana
- Autore: Annamaria Zizza
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Maggio, luglio, settembre, tre edizioni quest’anno in nemmeno un semestre, a vanto dell’autrice e per un romanzo storico che racconta una storia di dolcezza, al palato e alla vista, segnata però da un dolore nascosto, intimo. Maria, cioccolato e cannella, una vicenda di passione e di cucina, di splendori e di miseria, nella Sicilia barocca d’inizio Settecento, si legge sulla copertina di un historical novel che ha fatto breccia nel cuore dei lettori. Di Annamaria Zizza, La dolciera siciliana è pubblicato da Marlin editore di Cava dei Tirreni (2024, collana Vulcano, 288 pagine).
Insegnante di latino e greco in un liceo ad Acireale, l’autrice vive a Catania, collabora a una rivista di archeologia, è stata premiata per le sue poesie, scrive racconti e ha già proposto due romanzi storici, nel 2021 e nel 2023, ambientati nell’Antico Egitto.
Il nuovo è di quei libri che conquistano chi ha la fortuna di leggerli, illanguidiscono “con l’eco fiabesca e confortante” che li caratterizza. Di quelli che alla parola “Fine” vorresti continuassero con la stessa attrattiva stordente. O che non finissero mai, sostiene nella prefazione, fissando il contesto storico e geografico della trama, la scrittrice e dirigente teatrale Costanza Di Quattro, anche lei attiva nella Sicilia orientale.
La Trinacria settecentesca si rialza dopo il disastroso terremoto del 1693 e ritrova lentamente la bellezza, con coraggio. Una Modica mondana e colta, città di amministratori brillanti e di uomini di scienza, è “illuminata” in quegli anni da circoli in cui dominano il sapere, la filosofia e le arti, la razionalità che prevale sull’istinto. Tra gli uomini migliori, spicca Tommaso Campailla, intellettuale d’ingegno, filosofo e medico, che Annamaria, “mescolando realtà a fantasia secondo la lezione manzoniana”, riesce a umanizzare al punto da renderlo figure imprescindibile nel romanzo.
Non solo rose ma anche tante spine, in una comunità dove alcuni si nobilitano, facendo leva sulla cultura per crescere, ma tanti restano indietro. C’è chi aspira al bello e chi si attarda nella più rozza ignoranza. Con la sua figura segaligna e di alta statura, Campailla è per tutti uno stravagante. Troppe letture turbano la mente e la riempiono di pensieri bizzarri, ma è pure considerato un uomo buono e rispettabile. “Sreuso”, strano, scrive Zizza, tra le espressioni in siciliano stretto che dissemina, non poche frasi intere. Anche in lombardo, vedremo.
In una serata di giugno del 1739, l’aria è calda da sfinire a Modica, ma il dottore sente freddo e teme per la sua salute nel tornare a casa, scortato da due servi affaticati dall’afa. Strada facendo, nota una figura avvolta come un fagotto informe a terra, sotto la chiesa di Santa Maria di Betlem e chiede ai domestici di raccoglierla. Alla moglie affacciata sul giardino, donna non più giovane coi capelli ricci striati di bianco, non sfugge che ancora una volta le toccherà una sorpresa sgradita. Quasi sempre relitti animali: cani macilenti abbandonati, gatti investiti dalle carrozze. A volte, però, anche esseri ai quali di umano resta molto poco. Per ragioni misteriose, quei “rottami” attraggono irresistibilmente il marito, che trasforma la loro casa in un ricettacolo di poveri e di oppressi.
Questa volta, tra le braccia del domestico si muove debolmente una creaturina. Viene chiamata la cuoca, Angela, perché si tratta di “picciuttedda”, una ragazzina. Non poteva lasciarla per terra. Veste stracci logori e sporchi, è affranta. Le danno del cibo, mangia con garbo. Sembra educata. Ha dita sottili e bianche, prive di calli. Non è stata serva, ma in tutta evidenza è stata stuprata.
In quel momento, lontano da Modica, sul lago di Como, un ragazzo studia latino con il canonico di Sant’Anna e sogna di evadere dall’esilio lacustre e dalla misurata tranquillità economica offerta dal padre, coltivatore di terreni di proprietà, setaiolo e all’occorrenza commerciante. I preti lo vorrebbero converso e i genitori obbligano il figliolo a un compromesso. Unico maschio, studierà a Milano, andando a vivere in casa di una zia, per poi diventare prete. Il padre è un uomo forte, dalla parlantina sciolta, corretto con la moglie. Non la picchia e non fa mancare niente. Se coltiva passioncelle clandestine non sono di dominio pubblico. Però è avaro di dolcezze maritali, pur assolvendo regolarmente al dovere coniugale. Per consolarsi, lei si rifugia nelle pagine di Gaspara Stampa, leggendo di nascosto le appassionate rime d’amore della poetessa rinascimentale. Una certezza è che Giuseppe “Beppino” Ripetti non vuole fare il sacerdote, a nessun costo. Un’altra, che a Modica, oltre a violare la femminilità e il corpo dell’orfana dodicenne, hanno lasciato un marchio addosso a Maria, la sifilide.
In Sicilia, conduce un’esistenza immutabile una società alta, di possidenti agiati e di principi di provincia. Nella Lombardia settentrionale, sta crescendo una borghesia rurale sempre più solida. Nelle loro ricchezze e miserie, i due ceti sono sotto la costante osservazione della comunità d’inferiori che li serve e, se pure ha pochi mezzi, non manca dell’acume per giudicare i vizi e i difetti.
La dolciera siciliana è un romanzo davvero piacevole e agrodolce - più amabile che amaro, in verità - che regala un bel viaggio nel passato e in una Modica un po’ da cartolina un po’ da trattato di storia e per certi versi da dépliant da tour operator. Vizi privati in quantità, nella società siciliana e anche in quella Lombarda del 1700, poche virtù pubbliche - eccetto qualche mecenate salvifico - ma la storia è delicata tutto sommato, sognante, con una figura femminile difficile da dimenticare: Maria impara a creare dolcezze squisite, che coprono tante amarezze. Cresce, si realizza. Una piccola grande donna.

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