Su Netflix trovate una serie tv thriller imperdibile che ha il potere di tenervi incollati allo schermo, anche se normalmente non siete avvezzi al binge watching.. Si intitola La mia prediletta (in originale Liebes Kind) ed è tratta dall’omonimo bestseller della scrittrice tedesca Romy Hausmann, pubblicato in Italia da Giunti nella traduzione di Alida Daniele.
La miniserie Netflix è articolata in sei episodi della durata di circa quaranta minuti l’uno che sarà molto difficile interrompere senza rimanere con il fiato sospeso. Il romanzo di Hausmann, acclamatissimo in patria, è stato definito un thriller psicologico di “grande caratura” che affronta tra l’altro argomenti attualissimi quali la violenza domestica, lo stalking e la depressione.
A fare il resto è un’atmosfera oscuramente tesa - che mantiene spettatore e lettore sempre sul filo del rasoio - e dei colpi di scena sapientemente dosati sino al gran finale.
La mia prediletta presenta inoltre alcuni punti in comune con la celebre serie tv tedesca Dark, uno dei più grandi grattacapi televisivi degli ultimi anni che inizia con la scomparsa di un bambino e poi trasporta il telespettatore in una dimensione inconoscibile tra varchi spazio-temporali e viaggi nel tempo. Ma, non lasciatevi intimorire dal paragone, la miniserie tratta dal libro di Hausmann si risolve davvero nell’arco di sei episodi e non presenta riferimenti fantascientifici; con Dark però La mia prediletta ha in comune, oltre alla suspense e alle atmosfere oscure, il volto di una delle protagoniste, la bravissima attrice Julika Jenkins, che qui interpreta Karin Beck.
Scopriamo tutto quel che c’è da sapere - senza spoiler - e in particolare le differenze tra il libro di Hausmann e la serie tv.
“La mia prediletta”: la trama della serie
La serie inizia mostrandoci l’interno di una casa in cui una donna e dei bambini sembrano vivere come prigionieri, rispondendo alle direttive di un uomo che non si vede mai in volto. In seguito a uno scontro violento con l’uomo misterioso la donna scappa e, dopo un’angosciante corsa, nei boschi viene travolta da un’auto. A questo punto scopriamo che assieme alla donna è fuggita anche la bambina, Hannah (interpretata dalla stella nascente Naila Schuberth, Ndr), che si appresta a soccorrerla e poi la segue in ospedale. La donna viene ricoverata in terapia intensiva, mentre la bambina è assistita da un’infermiera che ben presto nota che in lei c’è qualcosa di strano. La piccola Hannah infatti sembra non aver mai vissuto nel mondo reale, inoltre afferma cose strane, tra cui che “sua madre ha cercato di uccidere papà”. Inoltre la piccola chiama sua madre “Lena”, il che permette agli inquirenti di identificare la donna senza nome con Lena Beck, una ragazza di Monaco scomparsa nel nulla tredici anni prima dopo una festa universitaria. Ma quella donna è davvero Lena? Da questo momento in poi il mistero si infittisce e la trama si carica di una tensione costante, perché Hannah rivela che nella casa nel bosco è rimasto solo il suo fratellino Jonathan, ma lei non ha intenzione di rivelare dove si trova perché ha fatto una promessa e inoltre lei “è una bambina grande”.
In quella lunga notte d’attesa in ospedale accorre il detective Gerd Bühling, che da anni indaga sul caso di Lena Beck. Ad affiancarlo nelle indagini sarà l’ispettrice Aida Kurtz, una donna determinata, che ha subito come priorità quella di salvare il piccolo Jonathan. Sullo sfondo - ma non troppo - emerge anche il dramma umano di due genitori, Matthias (Justus von Dohnányi) e Karin Beck (Julika Jenkins), che da tredici anni attendono invano il ritorno a casa della figlia e ora si trovano a fare i conti con terribili segreti e una strana bambina di dodici anni, Hanna, che assomiglia tantissimo alla loro Lena. Eppure, loro ne sono convinti, la donna in quel letto d’ospedale non è la figlia perduta: ma allora di chi si tratta? E dove si trova la vera Lena? La risposta all’ultima domanda la troverete solo nell’ultimo episodio dopo una serie di accuse e smentite che vi riveleranno l’impensabile. Paradossalmente in questa storia il vero incubo inizia dal salvataggio, ovvero da ciò che, in ogni storia criminale, sancirebbe il sospirato “lieto fine”.
“La mia prediletta”: il libro di Romy Hausmann
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Si intitola Liebes Kind il bestseller della scrittrice tedesca Romy Hausmann, tradotto in Italia da Giunti come La mia prediletta. Il libro di Hausmann è stato adattato sullo schermo da Isabel Kleefeld e Julian Pörksen.
In una recente intervista per Die Wotche la scrittrice ha dichiarato di aver pianto guardando i primi tre episodi della serie, perché “non poteva crederci”. Per Hausmann è stata un’emozione fortissima vedere i propri personaggi di carta prendere vita in questa straordinaria interpretazione. L’autrice, al suo libro d’esordio, ha raccontato di aver iniziato a scrivere la storia per caso su un documento Word, ispirandosi ad alcuni reali fatti di cronaca di donne imprigionate in casa e poi liberate come il famoso caso Fritzl. La storia, ha raccontato Hausmann, le è poi sfuggita di mano man mano che la scriveva diventando sempre più grande e giungendo a un finale imprevisto.
L’abilità di Hausmann è data soprattutto dal fatto che riesce a narrare la storia dal punto di vista di una bambina, Hannah, che non ha mai visto il mondo reale. L’autrice rivela di essersi chiesta: “Può esserci un personaggio che si muove in questo mondo come un alieno?” E Hannah è stata la risposta, una bambina che sembra vedere il mondo per la prima volta. Attraverso la creazione di questo inquietante personaggio infantile l’autrice riesce letteralmente a entrare nella mente di un bambino e a dimostrare che in fondo i bambini ritengono inevitabilmente “giusta” la realtà in cui vivono e crescono, poiché è la sola che conoscono.
Romy Hausmann spiega di aver voluto raccontare, attraverso La mia prediletta, un crimine nella maniera meno convenzionale: iniziando quindi non dalla morte, dall’omicidio, ma dal suo rovescio, ovvero il salvataggio. Hausmann osserva (e dimostra nelle sue pagine) che spesso può essere il salvataggio il vero trauma, il vero orrore per la vittima.
La scrittrice racconta che, dopo l’uscita del libro, molte vittime di violenza o rapimento le hanno scritto per ringraziarla perché attraverso il personaggio di Jasmin Grass (interpretata nella serie dall’eccezionale Kim Riedle) indirettamente ha raccontato anche la loro storia. Il thriller si concentra infatti sulla dimensione psicologica della vittima, ponendo in risalto non solo la dimensione esteriore e fisica della prigione, ma soprattutto la “prigionia interiore”, un senso di angoscia costante che paradossalmente inizia proprio con la liberazione.
In generale Romy Hausmann ha affermato che tutti i personaggi della sua storia sono stati “danneggiati e segnati da un crimine”, ciascuno affronta questo trauma reagendo in modo diverso.
“La mia prediletta”: il trailer ufficiale
“La mia prediletta”: le differenze tra il libro e la serie tv
Come da tradizione, i lettori dicono che il romanzo di Haussman sia molto meglio della serie Netflix, poiché quest’ultima lascia alcuni nodi della trama irrisolti e inoltre toglie un grande colpo di scena, eliminando per scelte di regia un personaggio che nel libro è cruciale.
Ciò che appare più approfondita nel romanzo e, purtroppo, meno nella serie è la psicologia dei singoli personaggi che spesso sullo schermo sembrano agire in modo impulsivo o irrazionale. Si perde in particolare la complessità della protagonista, Jasmin, che nella serie tv viene mostrata soprattutto come una donna sola e lasciata in balia di sé stessa. Il finale, inoltre, è diverso sancendo uno scarto importante con il libro di Hausmann.
L’unica certezza (e punto in comune innegabile tra libro e serie tv) è che entrambe le narrazioni mantengono in perfetto equilibrio i diversi piani temporali lasciando la suspense intatta e non lasciando sospettare né intuire nulla sino alla rivelazione finale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La mia prediletta”: il libro di Romy Hausmann che ha ispirato la serie Netflix
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