Il 25 novembre 1985 ci lasciava Elsa Morante, grande scrittrice dalla penna infuocata che seppe sempre aderire alla massima rappresentazione del Reale.
La “ricerca del vero” animò Morante come una missione: nella letteratura lei ricercava una forma di integrità, di aderenza alla “sostanza viva” delle cose che, a ben vedere, è propria solo dell’arte.
Le storie erano tutte immaginate, eppure la loro espressione seguiva la cifra stilistica dell’esattezza in una commistione quasi stregonesca di “menzogne e sortilegi”.
Il 25 novembre 1985 moriva Elsa Morante
Elsa Morante quel giorno di fine novembre si spense nella clinica di Villa Margherita di Roma, dove da tempo era ricoverata in seguito a un intervento chirurgico. Gli ultimi anni della sua vita non furono felici: il tarlo della malattia da tempo la stava mettendo a dura prova. Era perseguitata dai suoi demoni che spesso le apparivano sotto forma dei personaggi che lei stessa aveva creato attraverso i suoi libri e racconti.
Voleva che le sue ceneri fossero disperse sul mare di Procida. A testimonianza di quanto fosse legata alla sua Isola di Arturo e fedele al suo personaggio: quel ragazzo selvatico, impossibile da addomesticare, che viveva nel suo mondo e rappresentava un poco il suo alter ego, un poco il suo bambino mai nato.
Nel giorno della scomparsa di Elsa Morante dobbiamo proprio tornare a quelle pagine, all’Isola di Arturo, perché proprio lì è racchiuso il segreto della fine - o dell’inizio. Nell’isola di Arturo, nell’atmosfera incantata di Procida, è celato anche l’ultimo sortilegio di Elsa.
Recensione del libro
L’isola di Arturo
di Elsa Morante
Elsa Morante e la morte come travestimento
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Proprio in uno dei suoi romanzi più amati, L’isola di Arturo (1957) vincitore del prestigioso Premio Strega, Elsa intesseva una profonda riflessione sulla morte che appare, a una rilettura più attenta, come una regola di vita.
Elsa Morante parlando della morte la definì un “travestimento”.
Scrisse così:
Chi si prende paura della morte sbaglia proprio, perché quella è un travestimento, mica è altro: che a questo mondo, apposta, ci si fa vedere bruttissima, come fosse un lupo; ma invece là, nel Paradiso, ci si fa vedere al vero, che tiene una bellezza di Madonna, e difatti là cambia pure nome, che non si chiama più Morte, ma Vita Eterna.
“La morte è un travestimento” nelle parole della scrittrice. In poche righe Elsa, senza saperlo, ci insegna il coraggio di vivere.
Il poeta vero - scriveva Morante - sente che la sua realtà è “vera per sempre”. Scrivendo questa sentenza usava la penna come spada debellando il campo da tutti quei mediocri “scriventi” - come lei stessa li definiva - che ingombravano il mondo letterario.
Questo riferimento ritorna in un suo saggio oggi di estrema attualità Pro e contro la bomba atomica, in cui lei elogia la forza creatrice dell’arte che si oppone alla disintegrazione del mondo contemporaneo.
Il “vero per sempre” inteso da Elsa Morante non è da intendersi come l’ambizione della durata, la ricerca famelica della fama o della notorietà, ma come una forma di aderenza estrema al proprio sentire. Lei, la scrittrice, aveva un sentire di poeta. Il suo unico desiderio era avere un “un poco di pace e tavolino per me”, uno spazio in cui dare fiato alla propria voce e finalmente respirare in libertà.
I poeti spendono la loro intera esistenza nel tentativo di dare forma a qualcosa di “incorruttubile”. Lo scrive, sempre Elsa, nelle pagine finali di Aracoeli, il suo ultimo romanzo, che è anche il suo libro più cupo.
La scrittura rifletteva la piega amara che aveva preso la sua vita nella vecchiaia: il protagonista Manuel, scoperto il dolore inconsolabile della vita adulta, supplica la madre andalusa: “Rimangiami”, proprio come Elsa che chiede solo di sottrarsi al fardello dell’esistenza divenuta greve. Nell’ultima opera morantina si auspica forse un ritorno all’infanzia, all’isola di Arturo in cui si può abitare solo tornando fanciulli: perché infatti Arturo, il ragazzo che porta il nome di una stella, una volta attraversata la soglia della giovinezza salpa lontano e abbandona la sua isola.
In quell’isola incantata Elsa Morante voleva ardentemente tornare. Per questo chiese che le sue ceneri fossero consegnate al mare di Procida: era quello il suo approdo, il suo Paradiso, l’isola di Arturo. Chissà se in quel giorno di fine novembre, a Roma, i suoi occhi chiudendosi hanno visto l’azzurro del marino.
Elsa Morante ci ha insegnato a guardare in faccia la Realtà e, soprattutto, a non avere “paura del lupo”. Perché la morte non è che un travestimento, una delle tante menzogne che, in fondo, fanno il tempo breve della nostra vita in cui ogni cosa è duplice e, appena sotto la superficie, ecco che rivela un’essenza nascosta.
Rivelare l’essenza delle cose, però, è un mestiere da poeti. Si tratta di una capacità ben rara che spetta a pochi, ad averne memoria sono soprattutto i bambini, o forse i “ragazzini”, che infatti salveranno il mondo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La morte è un travestimento”: le parole di Elsa Morante ne “L’isola di Arturo”
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