C’è un fatto essenziale che nella scrittura di Elsa Morante non è mai venuto meno ed è la missione dell’arte. Per Morante la prosa letteraria non era puro virtuosismo, aveva uno scopo, uno scopo ben preciso, quello di riaccendere le coscienze.
Avrebbe compiuto centododici anni oggi Elsa Morante, nata a Roma il 18 agosto 1912 in via Aniero 7. Lei non li avrebbe di certo contati, poiché preferiva “essere senza età” come raccomandò ai suoi biografi. Non dava importanza alla successione cronologica degli eventi della propria vita, voleva che fossero i suoi romanzi - e l’impatto sentimentale che ne derivava - a scrivere la sua vera biografia.
Era figlia di una maestra elementare di origine ebrea, Irma Poggibonsi, e di Francesco Lo Monaco. Suo padre anagrafico - di cui infatti adottò il cognome - fu Augusto Morante, che lavorava come istitutore al riformatorio per minorenni di Porta Portese. Di cinque fratelli, Elsa era la secondogenita. La sua infanzia era divisa tra la casa dei genitori a Testaccio e la villa aristocratica della sua madrina, donna Maria Guerrieri Gonzaga, che ebbe un peso rilevante sulla sua istruzione. Era figlia di due padri - e in fondo si potrebbe dire anche di “due madri” - e questa duplicità contribuì a determinare il germe, il sortilegio, che darà origine alla sua scrittura.
Di se stessa bambina Elsa fornisce un formidabile ritratto letterario:
Ero una bambina anemica; la mia faccia, tra i capelli color ricciolo ala di corvo, era pallida come quella di una bambola appena lavata, e i miei occhi celesti erano cerchiati di nero.
Elsa Morante: i primi anni di una scrittrice
Iniziò a scrivere sin dalla più tenera età. Fu la madre, maestra, a insegnarle la lettura e la scrittura. Elsa Morante non andava a scuola insieme agli altri bambini, studiava nella casa di quartiere Testaccio dove la famiglia si trasferì alcuni anni dopo la sua nascita. La sua “stanza tutta per sé” fu quindi quell’umile cameretta dove, su un quaderno di terza elementare, la piccola Elsa scriveva Il mio primo libro. Narra la Storia di una bambola che con grande intraprendenza editoriale mise in vendita a 2,10 lire.
Riempiva interi quaderni di storie, schizzi, disegni e all’età di tredici anni compose Le avventure di Caterì dalla trecciolina che un giorno poi non troppo lontano sarebbe stato pubblicato da Einaudi, nel 1942.
Terminato il liceo classico, a diciotto anni compiuti, Elsa decise di andare a vivere per conto proprio. Lasciò la famiglia e si trasferì in un alloggio in corso Umberto I dove si manteneva correggendo tesi di laurea, dando ripetizioni di italiano e latino e scrivendo racconti per alcune riviste. Nel 1935 iniziò a collaborare per il quotidiano Il Corriere dei Piccoli e I diritti della scuola.
Più avanti, grazie all’appoggio di Giacomo DeBenedetti, pubblicò alcuni racconti per Il Meridiano di Roma, che sarebbero stati raggruppati nella raccolta Lo scialle andaluso (1963). In questo periodo conobbe lo scrittore Alberto Moravia che avrebbe sposato il 14 aprile 1941, il lunedì dell’Angelo. Con lui si trasferì a vivere nel piccolo appartamento di via Sgambati dove rimarrà, salvo alcune vicissitudini, sino alla fine della guerra.
Nel 1943 esce per Garzanti la raccolta di racconti Il gioco segreto che segna il primo affacciarsi di Morante sulla scena letteraria. In questi anni, nella ritrovata stabilità di uno spazio abitato, nella casa di via Sgambati, si fa strada nella mente di Elsa un progetto che ben presto si trasforma in romanzo.
Un libro - disse in seguito - che aveva vagheggiato di scrivere sin da quando era bambina. Inizialmente lo intitola Vita di mia nonna, narra la storia di una famiglia del Sud Italia raccontata dall’ultima superstite, la giovane Elisa, che decide di confinarsi nella propria stanza per stendere le proprie memorie.
Lo riscrisse varie volte, febbrilmente, in una doppia stesura, sino a concluderlo nel 1947. Diventerà Menzogna e sortilegio, il libro che segna l’esordio di Elsa Morante come scrittrice.
Menzogna e sortilegio (1948)
Nel suo primo romanzo Menzogna e sortilegio (1948) Morante narra la storia di una famiglia italiana nell’arco di un ventennio, attraverso la voce della protagonista Elisa, rimasta sola dopo la morte della madre adottiva.
Al centro della narrazione, ambientata in una “vecchia città meridionale” ideale e incantata, forse una Palermo fantastica, c’è un triangolo amoroso da melodramma, fatto di forze di attrazione e repulsione: Anna - la madre di Elisa - è una nobile decaduta che si sposa per interesse con Francesco, ma ama il cugino Edoardo.
È un libro fatto di immaginazioni, bugie ammaliatrici, sogni e fantasmi da cui Morante stessa confessò di essere stata rapita durante la scrittura.
Forse, ricostruendo così tutta la nostra vicenda vera, io potrò, finalmente, gettar da un canto l’enigma dei miei anni puerili, e ogni altra familiare leggenda. Forse costoro son tornati a me per liberarmi dalle mie streghe, favole; attribuendo a se medesimi, e a nessun altro, la colpa d’aver fatto ammalare di menzogna la savia Elisa, voglion guarirla. Ecco perché ubbidisco alle lor voci, e scrivo: chi sa che col loro aiuto io non possa, finalmente, uscire da questa camera.
Terminata la stesura Elsa Morante presentò il romanzo a Natalia Ginzburg accompagnato da una lettera toccante in cui diceva quanto quel manoscritto le fosse caro: “Cara Natalia (...) da più di due anni non vivo che di questo”. Scrivere quel libro, affermava Morante nella lettera vergata a mano, le aveva procurato una felicità straordinaria ed era certa, assolutamente certa, di non poter fare di meglio.
La risposta di Ginzburg non tardò. Disse che lo trovava bellissimo, anzi “straordinariamente bello”, e che non riusciva a staccarsi dalle pagine. Riportiamo un estratto dell’acuta recensione che ne fece Natalia Ginzburg, prima fortunata lettrice di Menzogna e sortilegio e - senza dubbio - la sua critica più sincera:
È un libro di una lacerante tristezza, ma di una grande serenità insieme.
In questa apparente contraddizione è racchiuso un aspetto cruciale della scrittura di Morante, il nocciolo fondante che nella sua esplicita dualità ne custodisce anche il segreto.
Il romanzo fu pubblicato per Einaudi e quando Morante ne vide la prima copia stampata in libreria scoppiò in lacrime. Si sentiva messa a nudo davanti a tutti e, improvvisamente, avrebbe solo voluto richiudere il romanzo in un cassetto. Anni dopo confesserà che Menzogna e sortilegio era stato - per lei - il romanzo migliore tanto che “forse non potrò più scriverne un altro dello stesso valore.” Determinazione e vulnerabilità, ancora una volta emergevano i due volti di Elsa, ed erano custoditi proprio in quelle pagine in cui aveva messo tutta se stessa, con una passione terribile, senza risparmiarsi.
Nello stesso anno della sua pubblicazione Menzogna e sortilegio vinse il premio Viareggio ex aequo con Palazzeschi, dividendo la critica. Il celebre critico letterario ungherese Lukács nel 1962 lo definì “il più grande romanzo moderno”.
Menzogna e sortilegio
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L’isola di Arturo (1957)
A dieci anni dall’esordio Morante torna sulla scena letteraria con un libro dalla trama originalissima e incantatoria, L’isola di Arturo. Il romanzo è ambientato nella splendida e selvaggia isola di Procida e narra la storia di un ragazzo, Arturo Gerace, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta.
È una narrazione che sfugge a ogni modello, a ogni prigionia stilistica e di genere, e si impone nella sua unicità esotica e stregonesca trasportando il lettore in un’atmosfera quasi fantastica. Non è possibile ridurre L’isola di Arturo alla definizione svilente di “romanzo di formazione”, perché nella trama si intrecciano tanti e vari temi, il mitologico si unisce al reale, l’amore filiale si oppone alla percezione violenta della solitudine individuale, e tutto si confonde sino a sbiadire nel bagliore di un sogno che tuttavia ha tratti rivelatori di verità. La riflessione di Arturo abbraccia questioni di ordine metafisico in digressioni illuminanti che costituiscono la vera ossatura del romanzo:
La mia fantasia non saprà mai concepire la ristrettezza della morte. A confronto di questa infima misura, diventano signorie sconfinate non dico l’esistenza di un misero prigioniero dentro una cella, ma perfino quella di un riccio attaccato allo scoglio, perfino quella di una tignola! La morte è una irrealtà insensata, che non significa niente, e vorrebbe intorbidare la chiarezza meravigliosa della realtà.
Il libro valse a Elsa Morante il premio Strega nel 1957. Era la prima donna a vincerlo.
L'isola di Arturo
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La Storia (1974)
Opera monumentale e romanzo eterno. Pensato e scritto tra il 1971 e il 1974, La Storia nell’idea originaria della scrittrice doveva rappresentare una sorta di “Iliade dei giorni nostri”; ne risultò invece la narrazione di un’odissea bellica. La trama de La Storia è infatti mossa dall’istinto più primordiale di tutti: la fame, il bisogno di sopravvivenza, e seguendo questa necessità avanza di scenario in scenario, di trasloco in trasloco, seguendo le vicende dei suoi protagonisti che non sono martiri né eroi.
È un grande romanzo corale, che Elsa Morante scrisse in un linguaggio popolare bandendo ogni artificio e intellettualismo affinché fosse comprensibile anche ai ceti sociali più bassi. Per questo stesso motivo Morante stabilì che il libro fosse stampato da Einaudi in edizione tascabile, a basso costo. Le tirature del romanzo furono altissime e superarono le seicentomila: non era mai successo prima, un romanzo italiano in media a quell’epoca raggiungeva appena le centomila. Superato lo stupore iniziale per un successo così eclatante, il libro divise la critica: era considerato un romanzo controcorrente proprio in virtù della sua grande leggibilità. Le sue pagine si rivolgevano direttamente alla gente comune stabilendo così un filo di comunicazione diretto che non necessitava di alcuna mediazione intellettuale: in breve, divenne un romanzo scomodo, cui appiccicarono l’etichetta ambigua di “romanzo popolare” per ostracizzarlo.
Il monumentale affresco de La Storia raccontava del popolo, narrando le vicende della giovane Ida e dei suoi due figli nella Roma della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra. La storia piccola, privata, intima di questi personaggi si dipana nella storia universale che travolge tutti gli uomini. Nel suo libro-capolavoro Morante narra il dramma di una popolazione ferita, l’epopea della gente comune, in una narrazione cruda e realistica che sconfina nell’epica. Nella “povera storia di Iduzza Ramundo” si riflette la schiera dei vinti, degli oppressi, degli invisibili che hanno abitato le scene della Storia umana.
Vedeva intera tutta l’umanità come un solo corpo vivente; e allo stesso modo che lui sentiva ogni cellula del suo proprio corpo tendere alla felicità, così credeva che a questa l’umanità tutta quanta si tendesse per destino.
La storia
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Aracoeli (1982)
L’ultimo romanzo di Morante fu pubblicato negli anni Ottanta. Aracoeli è una narrazione audace in cui l’autrice sperimenta anche uno stile ibrido che mescola italiano e spagnolo. Racconta la complessa relazione tra madre e figlio che è esclusiva, speciale e al contempo asfissiante, imprigionante.
Aracoeli (Morante si ispirò alla sorella della filosofa Maria Zambrano, sua cara amica, Ndr) è il nome della madre, di origine andalusa, che porta il doppio cognome Muñoz Muñoz: la donna è considerata da tutti una selvaggia affetta dal demone della follia. Il figlio, Manuele, è un quarantatreenne infelice, di classe borghese, omosessuale, che sembra ossessionato dal lacerante ricordo della sua infanzia dorata vissuta in compagnia della madre.
L’opera è quasi del tutto priva di dialoghi e ha un forte impianto psicanalitico, è tutta votata all’introspezione. Di nuovo rivive il mito dell’infanzia - cui Morante aveva già consacrato il precedente L’isola di Arturo - cui si contrappone in questo caso la visione drammatica dell’età adulta che appare come una discesa agli inferi.
Manuele narra il proprio viaggio a El Almendral in Andalusia, città natale di sua madre. Il viaggio intrapreso dal protagonista in realtà è doppio, nel compierlo infatti ripercorre a ritroso anche la storia della propria famiglia. Ma per quanto tenti di sfuggire al proprio passato, Manuele è infine costretto a riconoscere che resterà per sempre quel piccolo bimbo cullato dalle ninnananne andaluse di Aracoeli.
Nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d’amore ormai scaduta e inservibile, ma ostinata fino all’indecenza.
La stesura di Aracoeli terrà impegnata Morante per cinque anni: la scrittrice lo porterà a termine nel dicembre del 1981. Il romanzo è finalmente concluso e sarà la sua ultima fatica.
Aracoeli
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Elsa Morante: una vita di scritture e sortilegi
Dopo la consegna del manoscritto di Aracoeli i continui dolori alla gamba costringono Elsa Morante a un’immobilità forzata, poco tempo dopo sarà ricoverata presso una clinica di Zurigo. Nel novembre del 1982 Aracoeli esce in tutte le librerie italiane, edito da Einaudi, mentre in parallelo la salute di Elsa subisce un tracollo spaventoso. Il fronte della vita e quello della letteratura non coincidono: alla nascita del romanzo, che viene festosamente alla luce accogliendo i suoi lettori, fa da contraltare il lento spegnimento della scrittrice. Elsa Morante e il suo ultimo protagonista, Manuele, appaiono legati: entrambi sono vittime del destino o di uno stesso male esistenziale.
Nell’aprile del 1983 Elsa Morante tentò il suicidio aprendo i rubinetti del gas, fu ritrovata da una domestica che intervenne tempestivamente riuscendo a salvarla. In seguito a questo fatto, e all’aggravarsi delle sue condizioni di salute, fu ricoverata nella clinica Villa Margherita. Si spense il 25 novembre 1985, verso mezzogiorno, stroncata da un infarto. Le sue ceneri furono sparse nel mare di Procida, sorgente mitologica della sua scrittura; ma in realtà è nei suoi libri che Elsa continua a vivere, l’unico luogo in cui merita di essere cercata. I romanzi sono la sua unica biografia, senza dubbio la più autentica.
Elsa Morante è questa intricata intelaiatura di storie - immaginifiche, visionarie, eppure crudelmente realistiche. Personaggi e ambientazioni sgorgano direttamente dalla sua penna, dallo sguardo felino e affilato di una scrittrice che volle sempre raccontare la verità e l’aspetto più profondo della coscienza umana.
Perché questo è il compito vero della letteratura, il compito più alto, dal quale chi scrive non può assolutamente prescindere.
Chi ebbe il privilegio di conoscere la scrittrice ricorda con affetto il suo dispotismo. L’amico Cesare Garboli disse che Elsa aveva “la manìa di mettere i puntini sugli i”, la descrisse come un gendarme. Pretendeva il meglio da tutti, ma soprattutto da se stessa e dalla propria scrittura che curava con una precisione maniacale: mettendo, per l’appunto, sempre i puntini sulle i perché l’esatta verità della parola scritta era il suo credo più profondo, rappresentava la sua unica fede. Lei che abitava la parola perché “le parole, essendo i nomi delle cose, sono le cose stesse”, e ogni volta in esse si rinnova l’atto della vita.
Attraverso la scrittura Elsa Morante realizzava la propria personale “Creazione” che era in fondo un gesto d’amore nei confronti dell’umanità intera.
In un passo de La Storia uno dei personaggi fa una confessione che, a ben guardare, pare riflettere il recondito proposito letterario della stessa Morante:
Gli aveva confidato certi progetti suoi futuri, sognati fino da piccoletto. E fra questi il primo, forse il più urgente, era di scrivere un libro: con la scrittura di un libro, gli aveva dichiarato, si può trasformare la vita di tutta quanta l’umanità.
Occorre porre l’accento sul verbo utilizzato “trasformare” che sembra rievocare l’incantesimo prodotto da un mago - o da una strega. C’è qualcosa di incantatorio nella scrittura, un bilanciamento perfetto di realtà e finzione, di menzogne e sortilegi, che bisogna saper dosare bene perché la magia abbia effetto e sortisca così il suo impatto benefico a lungo termine. Elsa Morante, di certo, il suo sortilegio l’ha compiuto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 112 anni di Elsa Morante: perché è importante leggere i suoi libri oggi
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