Attraverso i sei componimenti de Gli Inni Sacri Alessandro Manzoni propone un’analisi delle principali festività cattoliche, tra cui figura anche lo scenario antecedente alla ricorrenza pasquale, ovvero La morte di Gesù.
Nel quarto inno sacro, composto tra il marzo 1814 e l’ottobre 1815, Manzoni si concentra sull’evento più tragico del Cristianesimo: La Passione di Gesù, dunque il calvario che lo portò alla morte in croce.
In origine il progetto degli Inni Sacri comprendeva un totale di 12 componimenti, uno per ogni festività della liturgia cattolica, ma l’autore riuscì a comporne solo cinque lasciandone un sesto, Ognissanti, incompleto. Soltanto i primi cinque furono stampati nel 1824 presso l’editore torinese Giacinto Marietti nel volume dedicato Inni Sacri e Odi.
I cinque Inni Sacri completi manzoniani prevedono nell’ordine: La Resurrezione (1812), Il nome di Maria (1812-1813), Il Natale (1813), La Passione (1813-1814), La Pentecoste (1817).
Ciascuno celebra l’evento liturgico articolandosi su un determinato schema: il riferimento al tema della celebrazione, la rievocazione dell’evento biblico e, infine, un messaggio morale di stampo dottrinale.
La passione: il quarto inno sacro di Alessandro Manzoni
Il quarto inno, dedicato alla morte di Gesù, è senza dubbio il più interessante per il tema trattato che sconfina quasi nel genere epico: la figura di Cristo in croce era stata spesso narrata in poesia dal punto di vista della Madonna, come testimonia la celebre laude Donna de’ Paradiso di Iacopone da Todi. Manzoni invece rivoluziona la narrazione della Passione raccontandola, per la prima volta, in tutta la sua atrocità e crudezza. Nella sua visione l’autore de I promessi sposi inserisce anche la prospettiva inedita di Dio che, dall’alto del suo Paradiso, accetta il sacrificio di suo figlio.
Il genere lirico sconfina nella prosa di genere argomentativo e l’autore ci propone un’inedita analogia tra mondo umano e divino nella figura di “quest’uomo che muore”. L’immagine di Gesù infatti non è mai tanto umanizzata come nella sofferenza inflittogli durante la tortura della Crocifissione: un Dio che prova dolore, soffre e infine muore, non è più divinità irraggiungibile e beata, mistero ineffabile, ma è fatto di carne e sangue, di pena e tormento mortale.
Manzoni recupera la tradizione biblica accostandola alla società del proprio tempo, ne La Passione questo procedimento è particolarmente evidente. La furia e la ferocia degli uomini che torturano il figlio di Dio riflette il Male insito nell’umanità; quella stessa umanità che, come non manca di osservare l’autore nell’apertura del carme, in seguito afflitta chiede perdono temendo l’ira divina.
Scopriamone testo, analisi e commento.
La passione di Alessandro Manzoni: testo e parafrasi
O tementi dell’ira ventura,
Cheti e gravi oggi al tempio moviamo,
Come gente che pensi a sventura,
Che improvviso s’intese annunziar.
Non s’aspetti di squilla il richiamo;
Nol concede il mestissimo rito;
Qual di donna che piange il marito,
È la veste del vedovo altar.
Oh, noi che temiamo l’ira divina dell’Apocalisse, ora ci incamminiamo verso il tempio (la chiesa) silenziosi e gravi come gente che ha in mente un presagio di sventura e sa che sarà annunciato presto. Non si aspetti un annuncio trionfante, con squilli di tromba, questo non è concesso dal triste rituale come per una donna rimasta vedova non ha che l’altare della sua veste per piangerlo.
Cessan gl’inni e i misteri beati,
Tra cui scende, per mistica via,
Sotto l’ombra de’ pani mutati,
L’ostia viva di pace e d’amor.
S’ode un carme: l’intento Isaia
Proferì questo sacro lamento,
In quel dì che un divino spavento
Gli affannava il fatidico cor.
Si interrompono gli inni e i misteri divini, nel momento in cui scende per via trascendente attraverso il miracolo del pane e del vino l’ostia vivente di pace e d’amore. Si ode in lontananza un carme, la profezia del profeta Isaia che proferì il suo lamento in quel giorno in cui uno spavento divino gli affannava il cuore già dolente.
Di chi parli, o Veggente di Giuda?
Chi è costui che, davanti all’Eterno,
Spunterà come tallo da nuda
Terra, lunge da fonte vital?
Questo fiacco pasciuto di scherno,
Che la faccia si copre d’un velo,
Come fosse un percosso dal cielo,
Il novissimo d’ogni mortal?
Di chi parli, o profeta di Giuda? Chi è colui che davanti al mistero dell’Eternità spunterà come un nuovo germoglio dalla nuda terra come un fonte di vita?
Quest’uomo dal fisico fiacco, nutrito di biasimo e scherno, che si compre la faccia con un velo come se fosse stato violentato dal cielo. È questo il nuovo Iddio mortale?
Egli è il Giusto, che i vili han trafitto,
Ma tacente, ma senza tenzone;
Egli è il Giusto; e di tutti il delitto
Il Signor sul suo capo versò.
Egli è il santo, il predetto Sansone,
Che morendo francheggia Israele;
Che volente alla sposa infedele
La fortissima chioma lasciò.
Sarebbe lui il Giusto che fu ingiuriato e trafitto da persone neglette e ignobili, ma silenzioso subì, senza alcuna polemica.
È lui il Giusto su cui il Signore riversò le pene del peccato originale degli uomini.
È lui il Santo che morendo sostiene il Regno di Israele, predetto dal giudice Sansone, colui che lasciando i propri capelli alla moglie infedele (Dalila, Ndr) cadde nelle mani dei Filistei.
Quei che siede sui cerchi divini,
E d’Adamo si fece figliolo;
Né sdegnò coi fratelli tapini
Il funesto retaggio partir:
Volle l’onte, e nell’anima il duolo,
E l’angosce di morte sentire,
E il terror che seconda il fallire,
Ei che mai non conobbe il fallir.
Colui che siede negli emisferi del divino regno, e si fece figlio d’Adamo, e non temette di spartire con i fratelli mortali la loro funesta eredità.
Volle patire la vergogna e il dolore nell’anima, il terrore che suscita il fallimento, proprio lui che non sperimentò mai il fallire.
La repulsa al suo prego sommesso,
L’abbandono del Padre sostenne:
Oh spavento! l’orribile amplesso
D’un amico spergiuro soffrì.
Ma simile quell’alma divenne
Alla notte dell’uomo omicida:
Di quel Sangue sol ode le grida,
E s’accorge che Sangue tradì.
Gesù accettò l’abbandono del Padre, il rifiuto della sua sommessa preghiera. Oh, che spavento terribile! soffrì persino il tradimento di un amico (Giuda, Ndr) che gli aveva giurato fedeltà. Ma quell’anima candida nella notte (dell’Ultima cena) divenne simile a quella dell’uomo omicida.
Ora ode le grida di quel sangue mortale e si accorge che lo tradì.
Oh spavento! lo stuol de’ beffardi
Baldo insulta a quel volto divino,
Ove intender non osan gli sguardi
Gl’incolpabili figli del ciel.
Come l’ebbro desidera il vino,
Nell’offese quell’odio s’irrita;
E al maggior dei delitti gl’incita
Del delitto la gioia crudel.
Oh, che spavento! questa folla che manifesta scherno e derisione crudele, insultando quel volto divino.
Gli sguardi umani non osano riconoscere l’innocenza dei figli di Dio.
Come l’ubriaco desidera il vino, offesa dopo offesa si incita quell’odio, ispirando infine il peggiore dei delitti (l’assassinio) e suscitando, di quel delitto, la gioia crudele.
Ma chi fosse quel tacito reo,
Che davanti al suo seggio profano
Strascinava il protervo Giudeo,
Come vittima innanzi a l’altar,
Non lo seppe il superbo Romano;
Ma fe’ stima il deliro potente,
Che giovasse col sangue innocente
La sua vil sicurtade comprar.
Ma chi era quel colpevole silenzioso che davanti al suo trono profano trascinava Gesù, piegato sotto la croce, come una vittima sull’altare, non lo seppe il romano superbo (Pilato), ma in un delirio di onnipotenza seppe conquistare col sangue innocente un coraggio, in realtà fatto di viltà.
Su nel cielo in sua doglia raccolto
Giunse il suono d’un prego esecrato:
I Celesti copersero il volto:
Disse Iddio: Qual chiedete sarà.
E quel Sangue dai padri imprecato
Sulla misera prole ancor cade,
Che, mutata d’etade in etade,
Scosso ancor dal suo capo non l’ha.
Su nell’alto del cielo, raccolto nel suo dolore paterno, Dio udì la preghiera di suo figlio. Gli angeli celesti ne coprirono il volto.
Disse Dio: “sarà quel che voi chiedete”.
E quel sangue innocente di suo figlio, ancora cade sulla specie umana che, nonostante il trascorrere dei secoli, non l’ha ancora lavato dal proprio capo impuro.
Ecco appena sul letto nefando
Quell’Afflitto depose la fronte,
E un altissimo grido levando,
Il supremo sospiro mandò:
Gli uccisori esultanti sul monte
Di Dio l’ira già grande minaccia,
Già dall’ardue vedette s’affaccia,
Quasi accenni: Tra poco verrò.
Ecco che sul letto turpe della morte Gesù afflitto dalla pena depose la fronte e, levando un grido altissimo, esalò l’ultimo respiro. Gli assassini esultano, ma già sul Monte Calvario incombe con una tempesta la minaccia della vendetta divina. Già Dio si affaccia, dal suo luogo di vedetta, e con i fulmini promette: “verrò”.
O gran Padre! per Lui che s’immola,
Cessi alfine quell’ira tremenda;
E de’ ciechi l’insana parola
Volgi in meglio, pietoso Signor.
Sì, quel Sangue sovr’essi discenda;
Ma sia pioggia di mite lavacro:
Tutti errammo; di tutti quel sacro-
santo Sangue cancelli l’error.
Oh, Padre Divino! Per lui che si immola sulla croce cessi questa pena tremenda.
Signore pietoso, converti la parola malvagia di questi uomini accecati dalla rabbia.
Quel sangue innocente scenda sui loro capi come una pioggia purificatrice.
Tutti vagammo smarriti. Ora quel sacro sangue divino di tuo figlio cancelli il nostro peccato.
E tu, Madre, che immota vedesti
Un tal Figlio morir sulla croce,
Per noi prega, o regina de’ mesti,
Che il possiamo in sua gloria veder:
Che i dolori, onde il secolo atroce
Fa de’ boni più tristo l’esiglio,
Misti al santo patir del tuo Figlio,
Ci sian pegno d’eterno goder.
E tu, Maria, che impotente vedesti tuo figlio morire sulla croce.
Prega per noi, regina degli afflitti, perché possiamo in futuro vedere la sua Gloria. Rendi più miti i dolori di questo secolo atroce, meno tristo l’esilio, perché ci sia una gioia eterna oltre il santo calvario subito da tuo figlio in croce.
La passione di Alessandro Manzoni: analisi e commento
Il tema della Passione era molto caro a Manzoni che spesso nelle sue tragedie ripropone una scena analoga a quella della Crocifissione, in cui un uomo Giusto viene messo alla gogna da una collettività inferocita (come nella tragedia del Conte di Carmagnola).
L’Inno Sacro si apre narrando la processione del Venerdì Santo in cui i fedeli si raccolgono per rendere omaggio a Cristo morto in croce. Attraverso la trasposizione del testo del profeta Isaia poi Manzoni ripercorre il calvario vissuto da Gesù. Mentre il figlio di Dio sconta la via crucis attraverso un flashback rivivono gli antefatti: dal tradimento di Giuda al processo sino al verdetto di Ponzio Pilato.
Fa capolino anche la figura di Dio che, dall’alto dei cieli, dà il suo consenso all’atto terribile del popolo che uccide suo figlio. Il sangue puro di Cristo, annuncia Manzoni, cade ancora sui capi impuri e miseri degli uomini.
Nel finale Manzoni inserisce una preghiera rivolta prima a Dio e poi alla Madonna. Si augura che il Dio misericordioso, del Nuovo Testamento, purifichi l’umanità dalla sua colpa originaria. Si augura un metaforico diluvio universale, una pioggia scrosciante che purifichi gli uomini dalle proprie colpe.
Cessi alfine quell’ira tremenda.
La conclusione presenta dunque un messaggio di pace, in accordo con la profezia pasquale della Resurrezione. La preghiera finale è rivolta alla Madonna, che assiste impotente alla tortura e morte di suo figlio ai piedi della croce. Lei, che viene definita nel suo supremo dolore “la regina degli afflitti”, possa assicurare all’umanità l’eterna gloria dopo le traversie del percorso terreno.
In queste parole si riflette l’adesione di Manzoni al Giansenismo, movimento religioso fondato dal teologo fiammingo Cornelio Giansenio, secondo cui l’uomo non può fare a meno di commettere il Male, viene al mondo già impuro e corrotto e solo il dono della Grazia divina è in grado di redimerlo dalle sue colpe. Come di consueto Alessandro Manzoni inserisce tra le righe il suo “utile per iscopo”, dunque una visione moralizzatrice, lo scopo “nobile” della Letteratura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La passione”, inno sacro di Alessandro Manzoni: testo e analisi
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