La pioggia nel pineto è forse la poesia più famosa del poeta Gabriele D’Annunzio. Si tratta di una lirica celebrativa della natura composta nel 1902, e che appartiene alla raccolta di poesie scritte tra il giugno del 1899 e il novembre del 1903: l’Alcyone.
La pioggia nel pineto è una poesia piuttosto lunga: vediamo insieme parafrasi e analisi dell’opera per comprenderla meglio strofa per strofa — il testo del componimento è riportato in fondo all’articolo.
In tutto la lirica si compone di 128 versi, divisi in 4 strofe. I versi sono liberi e sciolti: non rispettano dunque un numero preordinato di sillabe e non seguono uno schema fisso di rime. Si tratta di una poesia molto musicale, in cui i suoni delle parole sono fondamentali al ritmo.
Il contatto con le sensazioni fisiche traspare dalla continua sollecitazione dei sensi: i riferimenti alla vista, al tatto, all’olfatto sono ovunque, e quelli all’udito predominano, proprio per accentuare la strategia musicale del testo. Un linguaggio ricercato e raffinato, la presenza nel testo di anafore, enjambements e allitterazioni rendono la composizione complessa e altamente suggestiva.
La pioggia nel pineto di D’Annunzio: parafrasi e analisi della prima strofa
Taci. Entrando nel bosco non sento alcun suono prodotto da uomini, ma ascolto quelli più nuovi, della natura, delle foglie e delle gocce.
Ascolta, o Ermione Piove dalle nuvole sparse. Piove su sulle tamerici impregnate di salsedine e arse dal sole, sui pini dalle cortecce ruvide, con le foglie aghiformi, sui mirti divini, sulle ginestre che risplendono con i loro fiori gialli raccolti e sui ginepri pieni di bacche profumatissime. Piove sui nostri volti che ormai sono un tutt’uno con il bosco, sulle nostre mani nude, e sui vestiti estivi. Piove anche sui pensieri più profondi appena nati dall’anima innamorata, sui sogni e le illusioni che fanno parte della nostra vita.
Fin dall’incipit del testo appaiono chiari gli effetti pittorico-musicali e la strategia musicale del testo, che si esprime attraverso l’esperienza di sublimazione di sé vissuta nella pineta dal poeta e dalla sua compagna Ermione (pseudonimo che cela in verità Eleonora Duse).
Si introduce già in questa prima strofa il tema della pioggia come similitudine col pianto, centrale in tutta la raccolta Alcione e in generale nelle Laudi.
La parola "Ermione" si ripete identica in conclusione di tutte e quattro le strofe, con un’epifora (è l’analogo dell’anafora, ma posta a fine verso anziché al suo inizio).
L’intera poesia è un’apostrofe alla donna amata, perché faccia silenzio e possa ascoltare il suono della natura, fondendosi sempre più con essa.
Esempi della ricercatezza e del ricamo della poesia sono evidenti, come già detto, fin da questi primi versi. Le allitterazioni e i richiami sonori sono numerosissimi: nei soli primi sette versi, s, e, o, g e l ritornano con particolare insistenza; così come calcate sono in particolare le s, r e i ai vv. 10-15.
Uniti a questi artifici retorici, anche gli enjambements (ad esempio, vv. 1-2, 2-3, 4-5, 6-7...) contribuiscono a rendere la poesia un flusso continuo e inarrestabile, lento in alcuni tratti e più rapido in altri, che richiama quello della pioggia stessa sulla pineta. Che la pioggia sia incessante è anche data dalle numerose anafore di "piove" (vv. 8, 10, 12, 14, 20 e 22).
Ancora, i versi conclusivi (che si riproporranno nella chiusa della poesia), oltre al consueto gioco sonoro, presentano anche un’attenta disposizione lessicale: il parallelismo sostantivo-aggettivo ripetuto in "volti silvani", "mani ignude" e "vestimenti leggieri" è presto scardinato dal chiasmo "freschi pensieri".
Questa profonda e ricercatissima tessitura formale caratterizza tutti i versi della poesia, tanto che sarebbe impossibile, nella nostra analisi, elencare tutti gli artifici adoperati.
Seconda strofa de La pioggia nel pineto
Ascolta, senti? La pioggia che cade sulle foglie degli alberi della pineta deserta producono un crepitìo che varia a seconda di quanto è folto il fogliame. Ascolta. Alla pioggia si aggiunge il canto delle cicale: né la pioggia né il cielo cupo lo possono spaventare o fermare in alcun modo. Il pino, il mirto, il ginepro... ogni pianta ha un suo suono, sono come strumenti diversi sotto dita infinite. E ci siamo anche noi, parte della foresta, non più esseri umani ma vivi d’una vita vegetale. E il tuo viso felice, Ermione, creatura terrestre senza nome, è bagnato di pioggia come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le ginestre.
Si accentua l’attenzione sulla pioggia che cade sul bosco creando differenti suoni in base alle piante che colpisce. Gli effetti sonori aumentano, la pioggia si trasforma in un concerto. La partecipazione e l’emozione del poeta e di Ermione crescono: sono parte della foresta anche loro, in totale fusione panica con la natura.
La progressiva compenetrazione e trasformazione tra uomo e natura è sottolineata dalle similitudini usate dal poeta, il cui uso andrà progressivamente crescendo fino al culmine nella quarta e ultima strofa.
Terza strofa de La pioggia nel pineto
Ascolta, ascolta. Il canto delle cicale in alto sugli alberi si affievolisce sotto lo scroscio d’acqua, ma vi si mescola un altro canto, più roco, che proviene dall’umida ombra lontana e che si fa sempre più sordo, più debole, rallentando fino a spegnersi. Solo una nota continua a farsi sentire flebilmente, poi tace, suona nuovamente, trema, tace. Non si sente alcun suono arrivare dal mare. Ora riprende lo scroscio dell’acqua che lava, il suono della pioggia cambia a seconda di quali foglie colpiscono le gocce. Ascolta. Ora la cicala non canta più, mentre la rana, nell’acqua chissà dove, gracida forte. E piove sui tuoi occhi, Ermione.
Il “motivo” musicale è crescente e aumenta il ritmo. La comunione con la natura si fa sempre più forte, il poeta riconosce "la voce" delle creature viventi nella foresta.
Tra le numerose figure retoriche impiegate, vale la pena di soffermarsi sulle due metafore tra loro in opposizione "figlia dell’aria" e "figlia del limo", usate rispettivamente ai vv. 89 e 90-91 per indicare la cicala (in precedenza, sempre metaforicamente, "aeree", v. 66) la rana, i cui versi si alternano tra loro e al suono dell’acqua. Non solo: le due creature, prese come esponenti del mondo naturale alto e basso, aereo e terrestre, si pongono come emblemi della fauna intera.
Le "ciglia" presenti al v. 95 costituiscono invece una sineddoche: sono usate per intendere gli occhi e, ancor di più, l’intero viso di Ermione, su cui la pioggia continua a cadere.
Quarta strofa de La pioggia nel pineto
Piove sulle tua ciglia nere, sui tuoi occhi, e sembra che tu stia piangendo di piacere e quasi resa anche tu una creatura della foresta, tutta verdeggiante e non più con la pelle bianca, che sembri uscire dalla corteccia di un albero, viva. E tutta la nostra linfa vitale è fresca e profumata e il cuore in petto come una pesca intatta, gli occhi tra le palpebre come due pozzanghere d’acqua nell’erba, e i denti come mandorle acerbe. E camminiamo fra le macchie e gli arbusti, nel verde, prima insieme e poi separati, con l’erba che ci arriva alle gambe, fino alle ginocchia. E piove sui nostri volti che ormai sono un tutt’uno con il bosco, su le nostre mani nude, e sui vestiti estivi e leggeri. Piove anche sui pensieri più profondi appena nati dall’anima innamorata, sui sogni e le illusioni che fanno parte della nostra vita, o Ermione.
Infine il culmine della poesia vede il poeta e la sua musa trasformarsi completamente, diventare parte integrante della foresta, perdere il loro aspetto umano e acquisire quello più ampio di creature della natura. Qui le similitudini raggiungono l’apice massimo (il sangue è linfa, il cuore un frutto carnoso, gli occhi pozzanghere e i denti mandorle), prima che si ripropongano interamente i versi conclusivi della prima strofa.
Un ultimo esempio della cura formale dedicata al testo: i versi tra parentesi (112-114) sono sì una notazione ulteriore e non necessaria, ma sono proprio per questo ancor più emblematici dell’attenzione estetica dannunziana. Il sintagma "verde vigor rude" del v. 112 è praticamente costruito per intero sulle stesse lettere (v, e, r, d), i due versi successivi sono semplicemente una variatio in parallelismo l’uno dell’altro.
La pioggia nel pineto di D’Annunzio: il testo
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo, e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
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