di Francesca Barile
Sin dall’epoca vittoriana, epoca d’oro per la diffusione della narrazione romanzesca, molti scrittori hanno usato l’escamotage della serialità narrativa sia per proseguire un discorso su un determinato personaggio che non si considerava completato e sia per andare incontro ai gusti dei lettori. Non si deve dimenticare a tal scopo che proprio da metà ottocento, nei paesi anglofoni soprattutto, la fruizione di narrativa aumenta a dismisura e molti scrittori ritengono utile pubblicare a dispense sui quotidiani al duplice scopo di aumentare la propria popolarità e i loro personali proventi tanto da potersi dedicare in totalità alla scrittura. Un esempio su tutti Charles Dickens, lo scrittore per eccellenza di epoca vittoriana.
A usare la serialità sono tra gli altri Conan Doyle, dalla cui penna sono nati Sherlock Holmes e Watson, e la scrittrice nord americana Louisa May Alcott, con la sua Jo March seguita dalla nascita alla maturità in diversi romanzi.
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Nel nostro secolo la serialità è particolarmente diffusa e va di pari passo con la cessione di diritti a case di produzione cinematografiche o alla televisione. Si pensi al ciclo di Harry Potter, a Twilight, o alle cinquanta sfumature, dove le aspettative sono sempre state estremamente elevate.
La serialità narrativa in Italia
In Italia gli scrittori "seriali" hanno scelto la collocazione gialla o giallo-rosa vedasi Camilleri, de Giovanni, Venezia o Gazzola, ciascuno con le sue particolarità.
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Nasce un nuovo nodo da sciogliere concernente la relazione tra personaggi di carta e interpreti che gli danno vita su piccolo o grande schermo e che spesso fanno a pugni o influenzano gli stessi autori.
Un altro interessante punto è la dicotomia tra storia di carta e storia televisiva. Gli sceneggiatori, anche sostenuti dagli scrittori, variano gli intrecci o i protagonisti e così si assiste a un Montalbano di carta baffuto e capelluto, nonché più anziano, interpretato da un attore calvo e più giovane o al matrimonio mai raccontato sui libri dei due amatissimi protagonisti della serie L’allieva, ispirata liberamente ai romanzi di Alessia Gazzola.
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Qui il fenomeno diventa social: i romanzi ispiratori sono finiti, tranne uno che contraddirebbe il finale caldeggiato e amato dagli spettatori sognanti. Che succede se i protagonisti o eventualmente uno vogliono chiudere e in giro si dice che si potrebbe girare una nuova serie? Che relazione avrebbe la nuova eventuale fiction con il ciclo narrativo ispiratore? Ecco che nuovamente narrativa e serialità televisiva tornano a scontrarsi solo per un guadagno, più che per il piacere della diffusione letteraria.
Le serie tv rendono giustizia ai romanzi da cui derivano?
di Elisabetta Bolondi
Le piattaforme e le televisioni sono assetate di storie che assicurino il successo. Il lockdown e la chiusura di tante sale cinematografiche hanno favorito il passaggio del pubblico al divano di casa e alla ricca scelta che viene proposta ai fruitori della tv pubblica e dei vari Netflix, Sky, Prime video, Disney Channel e via elencando.
Tuttavia il saccheggio di romanzi che divengono serie tv però non fa sempre un piacere alla narrativa. Se la serie del Commissario Montalbano ha decretato anche il successo planetario di Andrea Camilleri non è sempre così.
La serie tratta dai romanzi di Antonio Manzini, protagonista Marco Giallini nei panni di Rocco Schiavone, non ha secondo me fatto un buon servizio ai libri dello scrittore.
La serie Blanca, che si ispira ai romanzi della scrittrice Patrizia Rinaldi, non somiglia affatto alla raffinatezza della scrittura dell’autrice, tradita anche dall’ambientazione: a Napoli si è preferita Genova, travisando gran parte dell’originalità dei romanzi.
Non parliamo della poliziotta di Barcellona Petra Delicado, creata dalla penna di Alicia Gimenez-Bartlett, tradotta in ambiente italiano dalla pur brava Paola Cortellesi, del tutto fuori parte a mio parere.
Il grande successo de I bastardi di Pizzofalcone si appoggia sulla fama di attori noti, come Alessandro Gassmann nei panni del protagonista, mentre i libri di Maurizio de Giovanni hanno la capacità di andare oltre il genere, divenendo “romanzi sociali”.
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Aspettiamo ora la serie tratta dai bei romanzi milanesi di Alessandro Robecchi: il personaggio di Monterossi, affidato a Fabrizio Bentivoglio, potrebbe riservarci una sorpresa. Lo attendiamo, anche se resto convinta che i libri siano sempre più incisivi, raffinati e intelligenti delle trasposizioni sullo schermo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Dai romanzi alle serie tv: la serialità tra narrativa e fiction televisiva
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