

Pierre François Lacenaire (1803-1836), noto come “il poeta assassino”, influenzò poeti e scrittori come Balzac, Baudelaire e Stendhal. Hugo lo citò nel romanzo I miserabili e Dostoevskij fu ispirato dalla sua figura per descrivere il protagonista di Delitto e castigo. Nel 1939 il surrealista André Breton lo inserì nella sua famosa Antologia dello humor nero (Einaudi, 1970), in compagnia di de Sade, Poe, Nietzsche, Rimbaud e molti altri.
Alla vigilia della morte, prende in giro i preti, che lo importunavano, i frenologi e gli anatomisti impazienti di esaminare il suo caso.
Se ne interessò pure il filosofo Michel Foucault nel suo studio sul parricida Pierre Rivière e Marcel Carné nel 1945 gli dedicò uno dei personaggi del film, a cui collaborò Prévert, Les Enfants du Paradis, come fece nel 1990 il regista Francis Girod con L’Élégant Criminel.
Lacenaire e le sue “Memorie”


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Oltre le poesie e le canzoni composte in gioventù, Lacenaire è conosciuto per le Mémoires, scritte in pochi mesi durante la sua prigionia, in attesa di essere giustiziato con la ghigliottina per alcuni delitti di sangue.
Nel 1864 lo scrittore e giornalista J.B. Cochinat, presente al processo, pubblicò il volume Lacenaire, ses crimes, son procès et sa mort, d’après des documents authentiques et inédits, suivi de ses poésies et chansons, edite dal libraio-editore Ollivier, che scrisse in una delle prefazioni:
Lacenaire solleva una lira e un pugnale. È un poeta, e uccide. Canta come Chénier, ruba come Cartouche.
In Italia sono state pubblicate Memorie di un assassino (Editori Riuniti, 1994) e ripresentate poi da Castelvecchi nel 2016, entrambe con l’esauriente saggio introduttivo del critico letterario e francesista Alberto Beretta Anguissola.
Lacenaire; l’infanzia e l’adolescenza
Quartogenito di una numerosa famiglia, vive una relazione difficile con in genitori che condiziona il suo carattere e predispone il suo sentimento misantropico. Lacenaire lamenta la rigida educazione impartita dal padre, commerciante, monarchico e fervente cattolico, il poco amore materno, la gelosia nei confronti del fratello maggiore, l’essere stato allevato da una balia e costretto a vivere l’infanzia e la prima adolescenza in collegi e pensionati nei dintorni di Lione.
La mia nascita non procurò alcun piacere ai miei genitori. In gran fretta si sbarazzarono di me, affidandomi alle cure di una nutrice, che li alleggerì di un ospite indesiderato. […] Quale mutamento avrebbe prodotto nella mia esistenza anche un solo di quei baci materni […] Un figlio capace di accusare sua madre di ingiustizia non sarà mai religioso né virtuoso e nulla può sostituire nel suo cuore le vostre prime carezze.
La sua istruzione scolastica, seppure Lacenaire fosse dotato di vivida intelligenza e di buone letture, è discontinua, anche a causa delle espulsioni subite durante il liceo e il periodo in seminario che alimentano, già da giovanissimo, il suo disprezzo verso la specie umana, come lui stesso descrive nelle prime pagine delle Memorie.
È vero: ho odiato e disprezzato largamente il genere umano; oggi lo disprezzo più che mai.
Nonostante ciò segue i corsi di letteratura dell’epoca e legge Orazio, Molière, La Fontaine ed è un estimatore del Contrat social e dell’Emile di Rousseau.
Dopo gli studi, senza averli completati, fa diversi lavori: tenta la carriera giornalistica, è impiegato nello studio di un avvocato e poi in quello di un notaio e di un banchiere, venditori di liquori, pellicciaio, scrivano pubblico. Si arruola nell’esercito svizzero e in quello francese e poi diserta. Viaggia in Inghilterra, Scozia e Italia, dove compie il suo primo omicidio. Dopodiché, utilizzando diverse identità, vive di truffe, gioco d’azzardo, ricatti e furti. Nel 1829 uccide in un duello un giovane, il nipote di J.B. Cochinat.
Lacenaire e l’ingresso nella malavita
Dopo queste prime esperienze, dovute più a condotte di vita di un giovane fragile e arrabbiato, teso a sbarcare il lunario, è singolare come Lacenaire decida di diventare un malvivente, il flagello della società, come lui scrive nelle sue Memorie.


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Si ispira con la lettura dell’autobiografia di F. M. Vidocq (Le memorie di Vidocq, Luni Editrice, 2024), un criminale diventato poi un investigatore assunto dalla Prefettura di Parigi. Ruba un calesse con l’intento di farsi imprigionare al fine di imparare le tecniche di furto e l’argot, la lingua della malavita. Ma ciò che gli interessa è conoscere anzitutto la psicologia del criminale. E così accade che trascorrendo molti mesi nelle varie prigioni di Parigi – Poissy, Force, Bicètre, Magdaleine – diventa, si direbbe oggi, un professionista del crimine. C’è un preciso disegno in Lacenaire, posseduto dall’odio e dal rancore nei confronti della società, e il crimine ne è lo strumento:
Era l’edificio sociale che mi interessava minare alle sue basi, attaccando i suoi esponenti ricchi, duri ed egoisti […] l’edificio sociale doveva essere minato nelle sue fondamenta, ossia nella morale. […] vengo a predicare al ricco la religione del terrore, perché quella dell’amore non ha alcun potere su suo cuore.
Il suo disegno contempla alla fine pure la sua consegna al patibolo, in una sorta di suicidio già pensato durante l’adolescenza:
Potevo realizzare interamente il mio piano, cioè potevo suicidarmi con il clamore che avevo desiderato, non per amore proprio, ma per vendetta.
Lacenaire invoca la lama della ghigliottina come un suo diritto, per incontrare sulla piazza del patibolo “amicizia, poesia e amore”.
[…] Nella lunetta/metto la testa, / Ma quante storie per tagliarmi il collo! / Coraggio, amici / Siate veloci! / E soprattutto non mancate il colpo.
La ghigliottina nell’Ultimo canto diventa la fidanzata:
Salute a te mia bella fidanzata,
nelle cui braccia mi lancerò molto presto!
A te il mio ultimo pensiero,
A te fui destinato dalla culla.
Salute oh ghigliottina! Espiazione sublime,
Ultimo articolo della legge,
Che sottrae l’uomo all’uomo e lo rende puro di crimine,
In seno al niente, mia speranza e mia fede!
Gli omicidi e il processo
Nell’estate del 1835 i giornali francesi nazionali e locali danno notizia, con grandi titoli e con molto seguito da parte dei lettori di due episodi: il tentato regicidio del cospiratore Fieschi, con una rudimentale mitragliatrice, nei confronti di re Luigi Filippo e il familicidio compiuto in Normandia dal contadino Pierre Riviére.
Ma l’attenzione del pubblico è rivolta al processo di Lacenaire e dei suoi complici Avril e François, accusati del crudele omicidio di una vedova, Madame Chardon, e del figlio omosessuale, pregiudicato conosciuto come “la zia Madeleine”, accaduto il 16 dicembre 1834. Il caso è noto come l’omicidio del Passage du Cheval-Rouge, di cui Lacenaire il 18 maggio 1835 ammette la colpa mentre si trova nel carcere de La Force per una truffa.
La detenzione e il processo si svolgono nel palazzo de La Conciergerie, e la Corte d’Assise della Senna si trasforma in un salotto letterario. Tra i banchi del pubblico ci sono molte signore eleganti, incuriosite da quell’assassino stravagante, di bell’aspetto, elegante, di buona istruzione e dai modi educati. I giornali pubblicano, oltre il resoconto del processo, anche le sue poesie e stralci delle sue Memorie. Da quel momento nasce il mito del poeta assassino.
L’esecuzione di Lacenaire
Il resoconto degli ultimi momenti di Avril e Lacenaire, pubblicato come Appendice 6 nel testo delle Memorie, è scritto da Benjamin Appert (1797–1873), filantropo e studioso dei sistemi di disciplina carceraria dell’epoca.
La mattina del 9 gennaio 1836 raggiunge la barriera di Saint-Jacques, luogo di esecuzioni pubbliche, dove sale sul palco della ghigliottina, in compagnia di Avril che sarà giustiziato pochi attimi prima di lui.
Alle nove meno un quarto, il corteo funebre giunse ai piedi del patibolo, che era stato preparato un’ora dopo la mezzanotte, al lume delle torce. Lacenaire scende bruscamente dalla vettura. […] Sale i gradini (del patibolo) e il colpo fatale mette fine alla sua esistenza.
Si racconta che il cappotto blu del poeta, ladro e assassino Pierre François Lacenaire se lo disputarono due collezionisti. Mentre il fotografo e scrittore Maxime du Camp riuscì in seguito ad avere una mano mozzata del condannato, la stessa mano con cui commise gli omicidi e scrisse le poesie e le Memorie.
Lacenaire è uno scrittore o solo un assassino?
Anguissola, il curatore delle edizioni italiane, si domanda:
Ma questi “Mémoires” valgono qualcosa come testo o il loro interesse è esclusivamente aneddotico e, nella migliore delle ipotesi, storico? Lacenaire è solo un significativo caso umano o è anche uno scrittore?
La lettura delle Mémoires ha influenzato molti scrittori e non solo per la biografia dell’autore. Anguissola risponde alla sua domanda retorica così:
Non vi sarebbe proprio nessun motivo di occuparci ancora di questa polverosa vicenda se i “Mémoires” non fossero incredibilmente ben scritti. Stendhal certamente li ammirò, Balzac ne fu sedotto, Flaubert impressionato. […] È una prosa nuova per il 1835. […] Se li considerassimo non come un’autobiografia sui generis, ma come fiction, come romanzo raccontato in prima persona […] il libro di Lacenaire ci apparirebbe in grande anticipo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Lacenaire, il poeta assassino
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