Le poesie di Mariangela Gualtieri (Einaudi, 2015) invitano al raccoglimento meditativo e mantengono la magia di un insegnamento filosofico
Quando leggo le intense poesie di Mariangela Gualtieri mi ritrovo sempre immersa nella stessa atmosfera che mi avvolge se affronto le pagine dei mistici renani: un’aria densa e sottile insieme, che sembra pulsare all’unisono con l’essere, con il tutto, con ciò che Meister Eckhart chiamava “il libero nulla”. Anche in questo ultimo volume di versi, la dimensione spirituale (che è distacco dalle cose e da se stessi), il rapporto con l’eterno, si rispecchia e s’incarna nell’attenzione riconoscente a qualsiasi minima fibra dell’esistente: prende consistenza nell’ immedesimarsi con la vita fisica del mondo vegetale e animale, e addirittura degli oggetti. Non serve il movimento, non servono le parole. Nella sezione centrale “Studio sullo stare fermi”, il non agire, il wu-wei del taoismo trova la sua espressione in versi che mantengono la magia di un insegnamento filosofico, di un invito al raccoglimento meditativo:
“Si può, sai, stando qui/ stando molto fermi/ sostenere una stella. Si può/ dire alla foglia di cadere quando è ora/ e il frutto pilotarlo alla maturazione.// Si fa un atto di fede, stando fermi./ Si dice: credo in ciò che non si vede...// E poi si fa concerto/ col corpo planetare, con le sfere/ celesti col musicale silenzio delle cose”.
E’ una raccomandazione ribadita in tutta la prima parte della raccolta, intitolata programmaticamente “Gemma dell’anno prossimo”. Qui lo sguardo grato è rivolto essenzialmente ai fiori, agli alberi (viole, rose, giacinti, semi, bacche e frutti), “sosta d’altro mondo dentro il mondo”, “nostra consolazione”, “scrigno di perfezione”.
Solo l’adesione alla natura, il contatto con la terra insegna
“quel mantra che contiene/ l’antica vibrazione musicale/ forse la prima, quando dal buio immoto/ per traboccante felicità/ un gettito innescò la creazione”.
Mentre il paesaggio urbano, con i suoi traffici e rumori, le distrazioni e cupidigie, è marchiato da una perpetua insoddisfazione, da una condanna all’infelicità. L’innocenza degli elementi naturali (tra cui Mariangela Gualtieri sembra prediligere acqua e aria) insegna ad essere leggeri, a trasformare il finito nell’infinito, il relativo nell’assoluto, regalandoci quella “kindly light” di cui parlava John Henry Newman, e che chiamiamo grazia. La quale è anche rispettosa curiosità per il piccolo, per il dettaglio, per l’ala di una farfalla osservata in “Esercizi al microscopio”
“Ogni granello. Ogni millimetro di foglia./ Ogni estremità di zampa d’ape/ tutto ha siffatto marchio d’una cura/ che lo sostiene”
e nella quasi-mimesi del francescano “Cantico delle Creature” nel poemetto “Bello mondo”: un ringraziamento per lo splendore del creato somigliante a una vera e propria lauda medievale. Ma grazia è anche ricordarsi della storia, quella dei popoli (e allora sarà da citare la sezione dedicata a Bruno Schulz e alla “Prodigiosa visione” de “Le botteghe color cannella”) e quella personale: “Le giovani parole” che hanno ammaliato gli anni adolescenziali della poetessa, con l’incanto della poesia, il turbinio di figure fantastiche, l’impenetrabilità misteriosa del silenzio
“fatti un manto con quel suo niente/ non precipitare nel boato/ nel camposportivo del mondo”.
E grazia è soprattutto compassione per la vita che si consuma, per la malattia, per il corpo che muore. Allora al lettore appare altissima, teatralmente agita, visivamente scolpita, la sezione dedicata alla madre malata (madre grande arca, forte nave, casa e guscio, larva buona, svaporata bella signora), in cui Mariangela Gualtieri allestisce “l’ultima scena” per la mamma immobilizzata e mentalmente indifesa, “accompagnando quel suo/ disimparare il mondo”, pregando perché muoia:
“Muori ma’,/ muori stanotte dolcemente,/ fra un respiro, fra i sogni,/ e non restare nella carne/ non intrattenerti ora, non distrarti/ da questo andare imminente/ tu sorridente mia, tu dolce...// Non restare fra/ gli spini del tempo. Muori senza dolore."
Non solo respiro poetico, quindi, in questi versi; non solo abilità letteraria, visionarietà fantastica: ma soprattutto antica sapienza, conoscenza e riconoscenza del bene, condivisione di bellezza e indulgente pietas.
Le giovani parole
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