

Le maligne gemelle del Carso. Quote 208 Sud e 208 Nord, le battaglie
- Autore: Giorgio Seccia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Due rilievi modestissimi del Carso di Comeno, nel basso Isonzo, appena 208 metri sul livello del mare, niente di paragonabile a un monte Ortigara, monte Nero, monte Santo, eppure gli austroungarici li resero un doppio baluardo imprendibile, se non a costo di sacrifici e sangue dei fanti italiani, sempre all’attacco. Occorse quasi un anno, dall’agosto 1916 al 23 maggio 1917, per superare prima l’uno poi l’altro, eppure la conquista sospirata non determinò le sorti del conflitto e nemmeno venne esaltata dai comandi italiani. È quello che induce a considerare la lettura di un saggio nel quale lo storico militare romano Giorgio Seccia ricostruisce apprezzabilmente quei dieci mesi. Un lavoro eccellente, un libro imperdibile, Le maligne gemelle del Carso. Quote 208 sud e 208 nord, le più terribili battaglie del Carso, pubblicato nei primi dell’anno da Gaspari Editore (Udine, febbraio 2024, collana La nuova storia militare, 320 pagine).
Numerose le illustrazioni in bianconero nel testo. Un inserto di 16 pagine a colori presenta diverse cartine ed una foto che riprende Ferruccio Parri nell’uniforme di giovane tenente di complemento nel 1916. A metà settembre, al comando della 14a Compagnia del III Battaglione dell’88° Fanteria Salerno, guadagnò nell’assalto a Nova Vas la terza medaglia d’argento in poco più di un anno in guerra.
Giorgio Seccia, generale dell’Esercito della Riserva, socio della Società di storia militare, è autore di numerosi testi, tra i quali altri due precedenti sulla Grande Guerra per Gaspari: Monte Zebio, dalla Strafexpedition alla vittoria (2007) e Il calcio in guerra. Gioco di squadra e football nella Grande Guerra (2011).
L’impatto strategico scarsamente incisivo di una lunga battaglia durissima non è il solo esito amaro di questo episodio della nostra Prima Guerra mondiale. Si aggiunge il paradosso che alle nostre prime pattuglie in ricognizione erano sembrate due gibbosità sassose, con un trinceramento di sacchi e cavalli di Frisia messi alla rinfusa intorno alla sommità. Poco fortificate, accessibili, facilmente espugnabili. All’assalto dei fanti, invece, le trincee sconvolte dai bombardamenti di preparazione si popolavano di nemici, che balzavano dai ricoveri. Mitragliatrici e fucili falciavano gli attaccanti, ammassati allo scoperto. Restavano bloccati, nessuno poteva soccorrerli, erano tanto vicini al nemico da sconsigliare l’appoggio dell’artiglieria.
Davanti alle Quote gemelle, separate da “un’insenatura” (secondo la descrizione del corrispondente di guerra Luigi Barzini), gli italiani si consumavano in uno sterile logoramento. Erano uno snodo difensivo del fronte sul quale gli austriaci erano arretrati alla fine della sesta battaglia dell’Isonzo. La conquista di Gorizia, primo importante successo di tutta la guerra fino ad allora, aveva aperto due direttrici per un’offensiva verso Trieste: si poteva puntare da nord contro la Selva di Tarnova o attaccare verso oriente attraverso il Carso di Comeno. Cadorna rimase incerto sulla scelta di far gravitare il massimo sforzo dall’una o l’altra parte del fronte carsico e finì per consentirle entrambe. Lungo un fronte di circa 45 km, la 2a e la 3a Armata scatenarono attacchi indipendenti ma contemporanei di pari importanza tattica. Secondo l’andamento delle operazioni, il generalissimo si riservava di destinare le proprie riserve all’una o all’altra Armata, per imprimere una svolta decisiva alla manovra offensiva. In questo modo, tuttavia, uno sfondamento risolutivo veniva a dipendere da mere coincidenze favorevoli più che derivare dal massimo sforzo esercitato sul punto debole e quindi da un disegno tattico realistico.
La pianificazione delle battaglie successive appare concepita tatticamente in modo semplicistico e approssimativo, “una spallata”, sempre insufficiente per abbattere quella che non era una semplice porta, ma un’intera palizzata. A tutto ciò si andava ad aggiungere la carenza di artiglierie e di munizioni, che l’industria nazionale non riusciva ancora a produrre massicciamente.
Il Carso di Comeno era un terreno scosceso, ancora più “sassoso, sterposo, selvaggio” (sempre Barzini), oltre quello Goriziano superato dai nostri con la presa della città irredenta. Villaggi e alture trasformati in un labirinto intricato e mortale di trincee, posti avanzati, punti fortificati, capisaldi, tutti attaccati con ferocia dai soldati italiani e difesi abilmente e accanitamente da reparti delle varie nazionalità dell’Impero. Pecinka, Veliki Hrib, Lokvica, Nad Logem, Opatije Selo, Veliki Hribach, Fajti Hrib, Hudi Log, l’abitato di Nova Vas e la coppia di rilievi vicini, separati da una selletta: Quota 208 Nord e Sud, i cui fianchi precipitano verso i terreni più bassi segnati dalle trincee del settore di Monfalcone.
Le due alture gemelle furono all’inizio sottostimate dai comandi italiani; invece formavano un sistema difensivo indecifrabile, insidioso e letale, che le rese particolarmente odiose ai combattenti italiani. Per averne ragione, il XIII Corpo d’Armata impiegò mesi di feroci combattimenti. Migliaia e migliaia le vittime, i feriti, i dispersi, i prigionieri e centinaia gli atti di eroismo.
Cadde per prima la quota settentrionale, presa il 10 ottobre 1916 da battaglioni delle Brigate Salerno e Catanzaro. Si dovranno attendere sette mesi e le 16 del 23 maggio 1917, per vedere le unità avanzate della brigata Mantova fare irruzione su Quota 208 Sud, occuparla e sorpassarla. Nel mezzo di questi eventi, il tentativo imperiale, abortito, di far saltare con una carica di esplosivo l’intera Quota 208 Nord, pur di non lasciarla agli italiani. Ai difensori delle due quote va rivolto un omaggio, ufficiali, sottufficiali e soldati, fanti, artiglieri, genieri, capaci di battersi con coraggio encomiabile.

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