Le origini della destra in Sardegna. Il partito dell’Uomo qualunque
- Autore: Non disponibile
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2010
Ovvero il fallimento del Partito dell’uomo qualunque
(Paolo Buzzanca)
- Edizioni doraMarkus
Alla fine ha vinto il partito del mezzo paio di scarpe. Non poteva essere altrimenti: nell’Italia uscita dalla guerra nazifascista non si voleva conceder tregua a nessuno. C’era sempre qualcosa da rimproverare all’avversario: tradimenti, viltà, ignavia, arrivismo, delazioni, malafede… E, quel che è peggio, ognuno era avversario dell’altro.
C’erano italiani e italiani, e fra loro si riconoscevano e si additavano.
Naturale quindi, che venissero fuori uomini come Giannini, che avevano fiuto per ogni filo d’aria che attraversava la società e una sensibilità politica tutta speciale, come ce l’avevano De Gasperi, Togliatti, Saragat.
E Giannini fiutava principalmente la voglia di uscire dalle trincee per riconquistare le pantofole. Un piatto di minestra fumante, una famiglia intorno ad una tavola imbandita, uscir di casa senza essere fulminati da occhi torvi: tutto questo, o soltanto questo, non era un sentire individuale, era molto di più e poteva essere il nucleo di un progetto politico. Il ritorno ad una tranquilla vita domestica aveva lo stesso valore rivoluzionario del comunismo, della repubblica, della monarchia, della libertà. E niente più della politica, con i suoi scontri ideologici, ostacolava questo progetto.
In tanti avevano voglia di uno Stato che li lasciasse vivere in pace. Le illusioni e le delusioni le avevano già vissute e i guai erano arrivati dalle idee e dagli uomini politici. Avevano creduto che Mussolini fosse il padre di un’unica famiglia che, avendo posto fine ai litigi, tenesse in mano la situazione. Un buon padre, insomma.
Molta gente era convinta che tutto fosse successo per colpa dei cattivi; c’era poi chi non voleva rinnegare il passato e chi semplicemente non voleva impegnarsi più di tanto a difenderlo e, principalmente, c’era tanta gente che riteneva che i nuovi paladini della libertà fossero soltanto degli imbroglioni, o degli incapaci approfittatori.
La rivoluzione di Giannini era semplice: niente uomini politici di professione, uno stato snello e buoni amministratori.
Bene, di tutte queste cose Giannini riuscì a fare un amalgama, innalzò a sentire politico la sfiducia, la diffidenza, la delusione e, principalmente, il diritto a vivere in pantofole, ridendosene delle sceneggiate fra maggioranze ed opposizioni parlamentari.
Ma la sopravvivenza dei partiti, così come si erano costituiti alla caduta del fascismo, aveva bisogno di drammatizzazione, di tifoserie, di gruppi elettorali compatti, di veri e propri vincoli di coscienza. L’ostacolo principale alla loro affermazione erano i cittadini in libera uscita che si raccoglievano intorno al partito dell’Uomo Qualunque.
Giannini, che dava ragione alla sfiducia ed alla vita pacifica, al diritto di star per conto proprio, era il nemico da battere.
A posteriori, ci rendiamo conto che aver fatto fuori in quel modo Giannini non è stato un gran vantaggio per l’Italia, perché i partiti che di lui hanno avuto ragione son diventati le Spa della prima repubblica, le piovre del finanziamento pubblico, della lottizzazione della Rai, dei consigli di amministrazione in mano ai politici falliti, della moltiplicazione degli enti inutili, della malasanità e di tante altre cosette che hanno consegnato la politica a mestieranti, arruffoni, cognati, mogli, amanti…
Giannini doveva essere sconfitto perché dava valore al voto di chi credeva poco al valore del voto e molto nel buon senso comune. Ma la sua sconfitta, salutata come il trionfo della democrazia, è stata in verità una catastrofe. I partiti hanno avuto campo libero e man mano hanno occupato tutto quanto potesse fare cassa e potere e sono cresciuti come masse cancerose sul tessuto della società.
E tutti quelli che del loro voto non sapevano che farsene, nella convinzione non immotivata che i politici son tutti uguali, venuto meno Giannini, non ebbero la forza di sfuggire all’incanto dei pifferai del partito del mezzo paio di scarpe, che è la faccia nascosta delle medaglie delle ideologie e della tifoseria, l’anima vera, la roccaforte inespugnabile della partitocrazia.
Pifferai che hanno dominato incontrastati per tutto gli anni della nostra Repubblica, suonando di volta in volta il pezzo dell’ultimo mezzo paio di scarpe: posto di lavoro, pensione, licenza edilizia, o, ad altri livelli, commesse, appalti, banche, presidenze...
Giuseppe Serra, seppur limitatamente ad una realtà regionale, e senza cedere a facili revisionismi, ci svela appunto le passioni, le illusioni, l’ansia di libertà che sono state nelle ragioni e nelle intenzioni, ma non nei risultati, degli uomini che diedero vita alla meteora dell’Uomo Qualunque.
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