L’immaginario di Leonora Carrington è esplosivo e favolistico, ce lo dimostrano i suoi racconti e le sue tele dalle tinte accese, ipnotiche, sgargianti. Recentemente la sua attività di romanziera è stata valorizzata dalla casa editrice Adelphi, che ne ha ristampato le opere; il suo valore di pittrice invece è stato consacrato da tempo e ha trionfato in occasione della Biennale di Arte di Venezia del 2022 con la mostra Il latte dei sogni (The milk of dream, Ndr) ispirata al titolo di un suo libro.
La vita surrealista di Leonora Carrington
Nata a Lancaster, in Inghilterra, il 6 aprile del 1917, Carrington era figlia di un ricco industriale e di una nobildonna di origini islandesi. Fin da bambina iniziò a inventare storie dalle trame oniriche e surreali, popolate da creature fantastiche o sovrumane. Quelle storie peculiari, che si addicevano all’acuta fantasia di una bambina, inaspettatamente crebbero con lei: quel mondo sovrannaturale, popolato da esseri ibridi e metamorfici, sarà la costante di tutta la sua arte, l’inizio di un viaggio immaginario destinato ad accompagnarla per tutta la vita. Gli animali, nell’opera di Carrington, svolgono un ruolo fondamentale: nel suo personalissimo “bestiario” l’autrice incarna istinti, desideri e moti imperscrutabili dell’anima.
Spirito inquieto e ribelle, selvatica e incostante, indomabile come un puledro, Leonora Carrington si ribellò ben presto alla rigida educazione paterna e trovò la propria strada nelle Accademie d’arte.
Nel 1936 viene ammessa alla Ozenfant Academy of fine Arts di Kensington: ancora non lo sa, ma sta per fare l’incontro che cambierà la sua vita. Lei ha diciannove anni, è giovane e piena di idee vulcaniche che la sua testa non riesce neppure a contenere. Ha appena letto un libro sul Surrealismo scritto da Herbert Read, in cui per la prima volta ha visto riflesso il proprio esorbitante universo interiore. In copertina il libro riportava un dipinto del pittore tedesco Max Ernst, Two Children Menaced by Nightingale (traducibile come “Due bambini minacciati da un usignolo”, datato 1924, Ndr). Nel quadro il paesaggio è verde e il cielo è azzurro, un usignolo si libra sopra due bambine: una delle due ha in mano un coltello e sembra inseguirlo, dinnanzi a lei si spalanca un cancello di legno che pare la porta di accesso a un mondo onirico. Quel quadro e i suoi elementi - il cancello, la casa giocattolo, il pomello blu - paiono riflettere l’immaginazione irrazionale di Carrington, la sua infanzia perduta.
Leonora ne è affascinata, ma ancora non sa di essere destinata a incontrare l’autore di quell’opera.
Leonora Carrington e Max Ernst: l’incontro
“Mi sono innamorata dei dipinti di Max prima di innamorarmi di lui”, confessò in seguito Leonora. E mai frase fu più adatta per narrare il principio di una storia che aveva tutte le carte in regola per diventare una favola, ma è sfociata nel tormento e nella tragedia come tutte le storie di vita vera. Non diremo “C’era una volta” dunque, ma partiremo da qui, con un incipit squisitamente surrealista: c’era una giovane ragazza che si innamorò di un dipinto e, poi, un bel giorno, conobbe l’autore di quel dipinto.
Nel 1937 Leonora Carrington conobbe Max Ernst a una festa, in un luminoso giorno d’estate, poco tempo dopo aver visto i suoi lavori all’esposizione del Salone surrealista internazionale di Londra. Fu amore a prima vista per entrambi; peccato che lui fosse sposato. Per Ernst, che aveva ventisei anni più di Leonora, tuttavia la consorte non fu un impedimento. I due trascorsero l’intera estate assieme a Lamb Creek nella casa di un amico di Ernst, Roland Penrose. Poi, con l’arrivo dell’autunno, si trasferirono a Parigi, all’epoca città libera e cosmopolita, dove si circondarono dell’amicizia di un nutrito gruppo di artisti tra cui André Breton, Joan Mirò, Man Ray, Picasso e Salvador Dalì. Max Ernst e Leonora vissero il loro amore nella culla del Surrealismo: l’idillio dorato tuttavia è destinato, come tutte le belle cose, a svanire, sfiorendo come una rosa con l’arrivo della minaccia nazista.
Per trovare pace e allontanarsi dalla frenetica vita cittadina la coppia si trasferì a Saint Martin d’Ardèche, nella Francia meridionale. In campagna i due artisti vissero un’autentica simbiosi creativa: si ritrassero a vicenda in quadri divenuti celebri, come Ritratto di Max Ernst (1939) di lei e Leonora nella luce della mattina (1940) di lui.
La passione si alimentava nel fervore dell’arte e divampava, finché i violenti venti di guerra che spiravano sull’Europa non travolsero anche la fiamma del loro amore facendola sfumare e poi svanire.
Leonora Carrington e Max Ernst: la separazione
Dopo la dichiarazione di guerra, Max Ernst fu internato in un campo di reclusione in quanto considerato cittadino straniero (era tedesco, benché convinto antinazista) e dunque acerrimo nemico della Francia. La detenzione ebbe breve durata, Ernst riuscì a tornare dalla sua Leonora, ma nel maggio 1940 fu nuovamente arrestato.
Lei iniziava a risentire della difficile situazione, della solitudine e della lontananza, non riusciva più a reggere lo stress psicologico: la sua immaginazione allucinata trascolorava lentamente nella follia.
Senza attendere il ritorno di Max, Leonora fuggì in Spagna nella speranza di ottenere un visto per entrambi. Quando lui tornò nella casa di Saint Martin d’Ardèche, provato dalla prigionia, non la trovò ad aspettarlo.
In Spagna, tuttavia, la fragile condizione psichica di Leonora si aggravò e lei venne ricoverata nella clinica psichiatrica di Santander, gestita da un medico filonazista, il dottor Morales. Fu sottoposta a trattamenti disumani che le causarono convulsioni e rischiarono di condurla alla morte. Riuscì a uscire dalla clinica grazie all’intercessione del padre, con il quale aveva interrotto i rapporti a partire dalla relazione con Ernst. Harold Wilde Carrington comunque continuava a considerare la figlia artista una “pazza” e intendeva farla internare in un altro manicomio. Consapevole del destino che la attendeva, Leonora, con l’aiuto dell’amico diplomatico Renato Leduc che si offrì di sposarla per farle lasciare l’Europa, riuscì a rifugiarsi nell’ambasciata del Messico.
Ma che ne era stato di Max Ernst?
Il pittore tedesco nel frattempo si era rifugiato a Marsiglia, dove conobbe una certa Peggy Guggenheim, la celebre collezionista d’arte e mecenate statunitense. Peggy, proprio come Leonora tanto tempo prima, si innamorò di lui. L’amore di Guggenheim fu salvifico per Ernst: lei promise di metterlo al sicuro proponendogli di rifugiarsi negli Stati Uniti.
Lui non aveva dimenticato Leonora: ma la femme-enfant del Surrealismo era lontana, svanita come la nuvola incantata delle sue storie, mentre ora venti selvaggi soffiavano carichi di morte. Si trovava costretto ad accettare la salvezza che ora Peggy gli offriva come pegno d’amore.
Le circostanze quindi avevano formato due nuove coppie inattese, impreviste: Leonora e Renato, Max e Peggy. La fiaba non si conclude come sperato, ma ci propone un colpo di scena improvviso.
Max e Leonora si incontrarono fugacemente a Lisbona, prima di partire alla volta dell’America, ma a quel punto le loro vite erano troppo cambiate e si scoprirono invincibilmente divisi. Si salutarono come buoni amici, cercando di nascondere quel che i loro sguardi dicevano; perché ormai era troppo tardi, troppo tardi per tutto.
La guerra aveva distrutto l’amore tra Leonora Carrington e Max Ernst colpendolo al cuore, disintegrandolo sino a lasciarlo sanguinante come una ferita.
Leonora Carrington e Max Ernst: un amore nell’arte
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Fu subito chiaro che Carrington aveva accettato il matrimonio con Leduc per convenienza. Una volta arrivata in Messico si separò dal marito e visse solamente d’arte, sperimentò nuove tecniche e prospettive conoscendo un nuovo rinascimento artistico. Conobbe un fotografo ungherese da cui ebbe due figli, Gabriel e Pablo, e la maternità le diede nuova ispirazione: per i suoi bambini iniziò a raccontare e illustrare storie fantastiche che poi sarebbero confluite nella raccolta Il latte dei sogni (Adelphi, 2018).
Paradossalmente senza Max, che era stato suo mentore e maestro, riuscì ad affermare sé stessa permettendo alla propria vena ispiratrice di esplodere.
Anche Max Ernst si separò da Peggy nel 1943 e continuò a intraprendere relazioni tormentate. Nei suoi dipinti, però, c’era sempre Leonora che appariva come una musa, una ninfa, una visione, come se la vedesse in sogno mentre lo osservava con la sua folta chioma fluente e gli occhi spalancati.
Amaramente, anni dopo, la stessa Peggy Guggenheim in un’intervista dovette riconoscere che:
La Carrington fu l’unica donna che Max abbia mai amato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Leonora Carrington e Max Ernst: la love story tra la scrittrice e il pittore all’insegna dell’arte
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