L’aforisma less is more, letteralmente “il meno è più”, ha un significato chiaro nella nostra cultura e in molte discipline tecniche e progettuali: è sinonimo di minimalismo, di essenzialità, di una ricerca che mira all’ordine evitando, o anche eliminando, fronzoli inutili.
Si tratta di un’espressione ormai così radicata nella nostra cultura che quando pensiamo alla frase less is more non possiamo evitare di richiamare alla mente la rigorosa e scarna linearità delle creazioni del Bauhaus: a quel movimento artistico si deve, infatti, la celebrità di un aforisma che compare per la prima volta in un’opera dello scrittore e poeta inglese Robert Browning.
Questo principio di economia, però, ha riscosso vasto successo ben oltre l’architettura: less is more è ormai una regola aurea del design, del copywriting, della grafica, del disegno industriale, e ha finito per diventare sinonimo di un ben definito stile di vita personale e di un approccio all’organizzazione del tempo e della casa.
Qual è il significato di less is more?
A volerlo tradurre letteralmente less is more significa, molto semplicemente il meno è più. Al di là della traduzione è un aforisma che impone la semplicità e l’essenzialità come soluzioni preferibili alla complessità e alla ricercatezza.
Non si tratta di un semplice modo di dire perché less is more, a prescindere dalla disciplina in cui lo si declina, è piuttosto un principio operativo che privilegia il minimalismo: evidenziare l’essenziale, per porre in risalto ciò che si crea e, quindi, eliminare ciò che non serve.
Per Ludwig Mies van der Rohe, l’architetto tedesco che più di tutti rese celebre la frase, prima che un metodo di lavoro fu una vera e propria filosofia di progettazione che rese il suo lavoro immediatamente riconoscibile. Uno dei principi cardine del Bauhaus, la scuola-laboratorio che all’inizio del Novecento rivoluzionò l’architettura, era che un qualsiasi prodotto architettonico o di design dovesse essere, prima e oltre che bello, anche funzionale. Le linee pulite erano, ad esempio, funzionali ed essenziali, e proprio perché tali diventavano anche belle: fu così che Mies van der Rohe esaltò e isolò le colonne portanti di una casa o di un grattacielo, erano le linee che ne mostravano la struttura e, contemporaneamente, lasciavano chiaramente intravedere i materiali che costituivano l’opera. Tutto il resto era inutile, quindi superfluo, se ne poteva fare a meno.
Robert Browning e l’origine letteraria di less is more
L’aforisma less is more compare per la prima in una poesia di Robert Browning (1812-1889), un poeta vittoriano noto soprattutto per i suoi monologhi drammatici. In un passo del componimento dedicato al pittore italiano Andrea Del Sarto scrive:
Yet do much less, so much less, Someone says,
(I know his name, no matter)—so much less!
Well, less is more, Lucrezia: I am judged.
Che in italiano suonerebbe:
Eppure faccio molto meno, così tanto meno, dice qualcuno,
(So il suo nome, non importa) — molto meno!
Beh, meno è meglio, Lucrezia: io vengo giudicato.
Andrea Del Sarto (1486-1530), che è un alter ego di Browning, riflette qui sulla sua vita e sulla sua carriera, sui successi e i fallimenti, insieme a Lucrezia, moglie esigente e infedele. Nei versi che precedono e seguono quelli citati il pittore intavola un confronto con Michelangelo e Raffaello e osserva che per quanto la sua arte sia superiore dal punto di vista tecnico (non a caso era chiamato “the faultless painter”, il pittore infallibile), i suoi rivali nelle loro opere esprimono una carica emotiva e spirituale che a lui è preclusa. Andrea Del Sarto è tacciato di fare molto meno e per difendersi afferma che meno è più, meno è meglio, anche se è ben consapevole di essere un uomo sconfitto: egli dipinge per pagare i debiti della moglie, per comprarle ciò che lei desidera e tenerla legata a sé, anche se lei, in realtà, è già pronta a fuggire con un cugino che forse è anche un amante. Personaggi come Michelangelo, Raffaello, Leonardo, non avevano mogli, potevano permettersi di non rimanere invischiati in questioni mondane e di vivere la propria passione in modo genuino e totalizzante, l’arte di Andrea del Sarto, invece, è perfetta ma vuota, perché in fondo è solo un’attività che serve a far soldi.
Come less is more divenne celebre
Durante un colloquio all’Architectural League of New York, quando uno studente lo interrogò in merito, Ludwig Mies van der Rohe spiegò che aveva sentito per la prima volta il motto less is more dal suo maestro Peter Behrens e che poi lo utilizzò soprattutto con Philip Johnson.
Per comprendere meglio facciamo qualche passo indietro e torniamo alla Germania della Belle Epoque, dove Mies van der Rohe mosse i primi passi come architetto. Dopo alcuni fortunati lavori che attirarono su di lui l’attenzione dei coniugi Riehl, fu assunto nel prestigioso studio di Peter Behrens dove aveva come colleghi Le Corbusier e Walter Gropius (poi fondatore del Bauhaus) e dove conobbe Karl Friedrick Schinkel. Qui Mies van der Rohe acquisì i rudimenti di quello stile sobrio ed essenziale che rinunciava alle decorazioni e ai fronzoli dell’art noveau, si ispirava ai principi di efficienza dell’organizzazione industriale, tentava di rispondere in modo semplice ed efficace a bisogni umani anche complessi e ricercava quella semplicità che, secondo Behrens, scaturiva da rapporti ben definiti tra le parti. Less is more significa, dunque, che la forma viene sempre dopo, ed è la risultante e non il fine, della funzione assolta dall’oggetto progettato, del design:
“La forma non è il fine, bensì il risultato del nostro lavoro. Non esiste alcuna forma in sé. La vera pienezza di forma è condizionata e strettamente legata ai propri compiti: sì, è l’espressione più elementare della loro soluzione. La forma come fine è formalismo; e noi lo rifiutiamo”.
Sono insegnamenti che ispirano tutta la produzione di Mies van der Rohe che nel 1933, dopo la chiusura del Bauhaus, del quale era stato per breve tempo direttore a Berlino, si trasferisce negli Stati Uniti dove riscuote presto grandi apprezzamenti. È qui, ad esempio, che realizza casa Farnsworth, l’opera ancora oggi più rappresentativa del suo stile e il Seagram Building di New York, il cui stile richiama chiaramente quello dei grattacieli di Friedrichstrasse a Berlino. È sempre qui che Philip Johnson, nel 1947, pubblica il primo volume dedicato all’opera di Mies van der Rohe e ne cura la prima mostra al MoMa di New York.
Less is more nella grafica, nella scrittura e nel design
Less is more travalica facilmente i confini dell’architettura: questo approccio minimalista che privilegia la purezza delle forme e la funzionalità, a discapito dell’ornamento ridondante ed eccessivo, caratterizza ormai ogni forma di design.
Nella grafica e nel web design si parla, ad esempio, di swiss design per indicare uno stile progettuale e visuale semplice che usa le griglie per attribuire un ordine riconoscibile alla pagina (o pagina web che sia), che dosa sapientemente gli spazi bianchi per evidenziare e focalizzare lo sguardo sulle aree di testo o sulle immagini, e per rendere la user experience quanto più felice possibile, favorendo il riconoscimento delle diverse funzioni (presenti, ad esempio, su una qualsiasi home page).
Lo stesso vale nel design di oggetti o di interni: è risaputo che ridurre gli elementi a quelli strettamente essenziali non solo migliora l’utilizzo che si farà di un oggetto, ma assegna allo stesso utensile o allo stesso complemento d’arredo anche un impatto visivo maggiore, dal punto di vista estetico. Basta pensare a una caffettiera Bialetti, a uno dei vecchi rasoi della Braun che da piccoli guardavamo incantati quando usavamo il bagno della casa dei nonni o alle intramontabili e rigorose Golf degli anni Novanta.
Potremmo, infine, citare anche il copywriting: se ci chiedessimo come si fa a scrivere bene, la risposta migliore non si discosterebbe di molto dal nostro less is more. Prendiamo un romanzo di Hemingway, o un racconto di Carver, tanto per citare due nomi che possono ancora insegnare molto a chi decide di consumare la sua penna sui giornali o sul web: scrittura semplice e piana, frasi brevi, paratassi piuttosto che ipotassi, mostrare senza dire, understatement per smorzare la tensione. Soprattutto, però, tagliare, tagliare via il superfluo perché la ripetizione non giova né sottolinea ma annoia e, soprattutto, impedisce al lettore di trovare quel che cerca o quel che gli interessa.
A prescindere che si tratti di un testo, di un oggetto di design o di una abitazione, si tratta di perseguire la semplicità che, come spiega Mies van der Rohe, non è mai un che di facile:
“non confonda il semplice con il facile, vi è una grande differenza. Io amo la semplicità, a causa della sua chiarezza, non per la sua facilità o per altri motivi […] Per raggiungere una chiarezza dobbiamo semplificare praticamente ogni cosa. È un lavoro duro. Bisogna combattere, e combattere e combattere”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Less is more: significato, origine e chi l’ha detto
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