Sono trascorsi quarantasei anni dalla morte di Peppino Impastato, l’eterno ragazzo della lotta contro la mafia. Il suo corpo, dilaniato da un’esplosione di tritolo, fu ritrovato la mattina del 9 maggio 1978 sulla ferrovia che collega Palermo a Trapani. Ma l’Italia era distratta quel giorno, guardava altrove: l’attenzione nazionale gravitava attorno a un altro corpo, quello di Aldo Moro, ritrovato proprio quella mattina a Roma, all’angolo di via Caetani.
Una cosa tuttavia accomunava il delitto Moro al brutale assassinio di Peppino Impastato, la lunga notte senza tempo dello Stato italiano. Questo era anche il titolo di una poesia scritta da Impastato, Lunga è la notte, che condannava la rassegnazione collettiva che scivolava nella più bieca indifferenza. Le parole di Impastato sembrano già prefigurare il suo triste destino, gettando un’ombra sul volto spavaldo di un ragazzo che, nella stagione limpida dei suoi trent’anni, si era reso portavoce della lotta contro la mafia attraverso i mezzi di informazione: prima con un giornalino di poche pagine, L’idea socialista, poi con un radiogiornale di controinformazione chiamato Onda pazza trasmesso sulle frequenze di Radio Aut. Il nome “onda pazza” era un riferimento al tono satirico della trasmissione che faceva della politica commedia, chiamando senza indugi la città di Cinisi “Mafiopoli” e il boss mafioso Gaetano Badalmenti, “Tano seduto”.
L’onda pazza era lui, Peppino, che non accettò mai di vendere la propria integrità e non trattenne parole di condanna nei confronti dell’unione scandalosa tra potere politico e criminalità organizzata.
Pagò la propria battaglia contro l’ingiustizia con la vita, in quella tragica notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978; ma intanto una luce, in quella lunga notte senza tempo, si era accesa. Ai suoi funerali parteciparono circa mille persone e sui muri di Cinisi apparve una scritta che finalmente diceva la verità: “Peppino Impastato è stato assassinato dalla mafia”.
Una scritta, però, non vale una condanna. La notte dello Stato italiano era ancora lunga e Impastato avrebbe avuto giustizia soltanto nell’aprile 2002 grazie alla sentenza firmata dal magistrato Rocco Chinnici che condannava all’ergastolo il mafioso Gaetano “Tano” Badalmenti.
Peppino Impastato vive ancora nelle sue parole, nelle scritte di denuncia che come lui urlano che “la mafia è una montagna di merda”, e soprattutto in una poesia di cui riportiamo il testo.
“Lunga è la notte e senza tempo” di Peppino Impastato: testo
Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo,
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.
La storia di Peppino Impastato
Il ragazzo che non vedeva le stelle quel buio perenne l’avrebbe sconfitto. La vicenda di Peppino Impastato dimostra che è necessario agire perché le cose cambino. La sua rivoluzione pacifica, svolta attraverso il supporto democratico dei mezzi informazione, ancora oggi scuote le coscienze.
Si era ribellato alla sua stessa famiglia, Peppino, conscio sin dalla tenera età della violenza che caratterizzava il mondo della criminalità organizzata.
Suo padre, Luigi Impastato, era un agricoltore che si era sottomesso alla malavita locale in cambio di protezione e di un buon giro d’affari.
L’accordo mafioso garantiva a Luigi Impastato una certa tranquillità nel contrabbando illecito di giri alimentari; tuttavia non c’era mai quiete vera in un ambiente del genere. Peppino lo capì a quindici anni, alla morte dello zio Cesare, ex capo mafioso, che saltò in aria mentre era bordo della propria auto colpita da un’esplosione. Da quel momento Peppino decise che non avrebbe più finto di non vedere. Ruppe i rapporti con il padre e iniziò ad avviare un’intensa campagna di propaganda politica e culturale.
La architettò con i propri mezzi, attraverso un giornale e una radio, ma riuscì ad arrivare lontano e, soprattutto, a irritare coloro che stavano seduti sulle sedie del potere, i politici-mafiosi che all’improvviso si sentirono minacciati dalle sue parole. Ogni sera su Radio Aut, l’emittente indipendente da lui fondata e autofinanziata, Peppino Impastato racconta i traffici illeciti, la droga e gli appalti, lo scandalo protetto dal silenzio e dalla corruzione delle istituzioni locali.
Era “una lunga notte e senza tempo”, ma in fondo si intravedeva una luce: erano le parole di un ragazzo coraggioso e spavaldo che tenne la testa alta e non fece mai un passo indietro. Il padre di Peppino morì in uno strano incidente d’auto: al suo funerale, Impastato si rifiutò di stringere la mano al boss Badalmenti. Era già una chiara presa di posizione, da cui non era possibile tornare indietro.
Nel 1977 la voce scomoda di Radio Aut decise di candidarsi nelle liste di Democrazia Proletaria per le elezioni locali. La sfida diveniva concreta, non si limitava più alla satira: la candidatura faceva di lui un rivale. Fu la sua condanna a morte. Ai seggi elettorali, qualche giorno dopo il suo efferato assassinio, i cittadini di Cinisi votarono comunque il suo nome: Peppino Impastato.
Una luce, in quella “lunga notte senza tempo”, dopotutto si era accesa.
Nei suoi occhi si leggeva la voglia di cambiare, come recita una bella canzone dei Modena City Rambles, I cento passi, dedicata alla memoria di Peppino Impastato:
Nato nella terra dei vespri e degli aranci
Tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare
La voglia di giustizia che lo portò a lottare
La canzone si conclude con un riferimento a quella “buia notte dello stato italiano”, che Impastato già aveva raccontato in una sua poesia:
Era la notte buia dello Stato Italiano
Quella del 9 maggio ’78
La notte di Via Caetani, del corpo di Aldo Moro
L’alba dei funerali di uno stato
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Lunga è la notte e senza tempo”: la poesia di Peppino Impastato
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