Maggiano. Gli anni del cambiamento. 1958-1968
- Autore: Giovanni Contini e Marco Natalizi (a cura di)
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Maggiano. Gli anni del cambiamento. 1958-1968 (Maria Pacini Fazzi editore, 2020), è un’opera, curata da Giovanni Contini e Marco Natalizi per la Fondazione Mario Tobino e corredata da DVD, che analizza un fondamentale decennio di storia di Maggiano, ex manicomio nei pressi di Lucca.
Lo “Spedale de’ Pazzi”, come era chiamato alla sua nascita nella seconda metà del Settecento, aveva inizialmente solo funzioni di custodia, ma già dal secondo decennio dell’Ottocento era sorta l’idea di prevedere anche una riabilitazione manuale. Nel secolo scorso, a seguito delle riforme legislative, dei rinnovamenti interni alla struttura e dell’introduzione degli psicofarmaci, Maggiano ha rappresentato una delle sedi più avanzate in Italia nel settore della sperimentazione riabilitativa psichiatrica e ha permesso ai suoi ospiti di riprendere in mano, almeno in parte, la loro vita.
Mario Tobino, psichiatra, poeta e scrittore, ha vissuto a Maggiano e prestato servizio nella struttura dal 1942 al 1980. La fondazione a lui intitolata svolge diverse attività finalizzate a divulgare e valorizzare il suo pensiero, come promuovere i romanzi coi quali Tobino ha descritto la vita all’interno dell’ospedale psichiatrico, programmare visite guidate, realizzare progetti con le istituzioni scolastiche, curare il recupero della memoria storica di chi – degente o lavoratore – è stato per anni all’interno di questa comunità, chiusa nel 1999.
Il libro e il DVD costituiscono un importante lavoro di ricerca tra luci e ombre, tra rivendicazione di eccellenza di Maggiano e testimonianze contrarianti. Maggiano. Gli anni del cambiamento. 1958-1968 è un’opera corale, in cui a raccontarci questo decennio sono i pazienti, gli infermieri e gli psichiatri che l’hanno vissuto in prima persona. Da queste conversazioni emerge l’importanza delle figure innovatrici di Domenico Gherarducci e Mario Tobino, che hanno avuto il merito di “umanizzare” l’ospedale e di rivedere completamente il rapporto con il paziente.
Prima del cambiamento, ricordano gli intervistati, le strutture manicomiali erano come delle carceri. All’interno erano divise da muri, reti e portoni. I ricoverati venivano spogliati dei loro abiti, dei loro oggetti personali e della loro identità; i loro unici riferimenti erano il letto e una finestra che offriva una sola visuale sull’esterno, sempre che non fossero catalogati come agitati e confinati al reparto 7, nudi e obbligati a dormire su un mucchio di alghe. Sintomi e devianze erano trattati con il ricorso a coma insulinico, elettroshock, malarioterapia, che di terapeutico avevano ben poco. La vita quotidiana era fatta di alienazioni, sofferenze, violenze e paure. Gli infermieri intervistati raccontano di colleghi più anziani che fungevano solo da guardiani, che usavano la camicia di forza, che legavano i malati al letto, e ai quali era richiesta la prestanza fisica più che una preparazione infermieristica. Gli ex degenti ricordano botte e minacce subite, anche in tenera età. Spesso, tra l’altro, i ricoverati non presentavano delle vere patologie psichiatriche, ma erano persone che a un certo punto della loro esistenza erano rimaste vittime dell’alcol, della depressione o della povertà e che, una volta entrate in struttura, difficilmente riuscivano poi a uscirne.
In questo drammatico scenario si inserisce il grande cambiamento operato tra il 1958 e il 1968 dal direttore Domenico Gherarducci che abbatte reti e muri, smantella le “celle d’alga”, avvia corsi di riqualificazione del personale, apre Maggiano verso l’esterno, cambia la relazione con il malato. Gherarducci dà vita a un “ospedale-paese”: nell’ottica della conquista dell’autogestione, e di conseguenza della libertà, offre ai ricoverati, attraverso le attività socio terapeutiche, uno spaccato di come si svolge la vita al di fuori dalla struttura. Ex pazienti, medici e infermieri, nelle loro interviste, rievocano la gioia dei laboratori artistici, delle gite, dell’attività del bar con spaccio, delle partite di calcio e pallavolo a cui partecipavano anche i medici senza il camice addosso. Fiore all’occhiello di quegli anni è stato il Festival della Canzone di Maggiano, evento della durata di tre giorni in stile sanremese ripetutosi per cinque anni di seguito, con canzoni inedite scritte ed eseguite da malati ricoverati. Il Festival, la cui partecipazione era aperta a chiunque, ha avuto un effetto dirompente sui rapporti tra il mondo esterno e la struttura di Maggiano, i cui ospiti sono passati dal rango di individui marchiati a vita da uno stigma a interpreti di passioni e sentimenti condivisi.
Suggestiva la copertina del libro, raffigurante un letto senza materasso in una stanza vecchia e spoglia, vicino a un muro annerito dal tempo ma di fronte alla luce che entra da due finestre aperte. Trovo che questa immagine evochi la solitudine e la sofferenza dei ricoverati prima del cambiamento, prima che le loro vite si illuminassero aprendosi al mondo esterno. La copertina riporta anche il sottotitolo del libro, una citazione tratta da Un manicomio di Elena Ernesti, che sintetizza il valore fondamentale delle attività socio terapeutiche avviate in quel decennio per lo sviluppo dell’autogestione: “Tutte le volte che c’è una libera scelta non c’è manicomio”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Maggiano. Gli anni del cambiamento. 1958-1968
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