Nati per morire. La Grande Guerra dalle testimonianze personali ai luoghi della memoria
- Autore: Non disponibile
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2015
Dieci milioni di giovani soldati caduti: la Grande Guerra un’ecatombe sfuggita di mano a governanti e generali.
A cosa è servita, cento anni fa, la perdita di 9.405.315 giovani soldati nel primo conflitto mondiale? A vendicare la morte del granduca d’Austria e della moglie? A difendere i confini nazionali delle Nazioni coinvolte? Ad estenderli? Niente di tutto questo: quella guerra ha rappresentato una forma di suicidio collettivo dell’umanità, autoalimentando un immane rogo collettivo. È quello che sostiene Enrico Cammarata: i 10 milioni di militari sacrificati si può dire siano “Nati per morire”, titolo del volume antologico di saggi sulla Grande Guerra, dalle testimonianze personali ai luoghi della memoria (187 pagine 19 euro), pubblicato dall’editrice il Mulino. Cammarata, associato nel Royal Anthropological Institute di Londra, è impegnato a diffondere tra le nuove generazioni i valori dei diritti umani e della pace, usando l’arte, la musica, l’audio-video riproduzione. Dirige il festival internazionale “Un film per la pace” e proprio in questo ambito è nata l’antologia, divisa in sette capitoli monografici, redatti da storici, docenti e ricercatori di materie storiche e sociologiche.
Sotto esame, la “temperie culturale europea all’epoca della prima guerra mondiale”.
Il primo capitolo, che dà il titolo al libro, è dello stesso curatore e riassume appieno quanto appare ormai evidente non solo agli storici: le guerre sono inutili e violano una delle leggi fondamentali della natura, il cui scopo è la prosecuzione delle specie. I caduti avrebbero voluto vivere e generare figli, non certo perire in quella tragedia sfuggita di mano a governanti e generali.
Segue il contributo di Fulvio Salimbeni, associato di storia contemporanea all’Università di Udine, che dopo una panoramica sull’Europa negli anni precedenti offre un quadro delle cause profonde del conflitto, al quale non fu estraneo lo spirito militarista che caratterizzava l’istruzione scolastica.
In “Una guerra lungamente attesa”, Giuseppe Goisis, ordinario di filosofia politica alla Cà Foscari di Venezia, si avventura tra le teorie degli uomini di cultura, dall’esaltazione dell’uomo guerriero di Nietzsche all’inevitabilità della guerra come massacro necessario di Giovanni Papini, osservando che lo studio della prima guerra è ancora necessario, perché avendo cambiato il volto geopolitico dell’Europa sta ancora condizionando la società attuale.
Nel quarto capitolo, “L’aria è tutta un fremito”, il ricercatore dell’Istituto storico del Friuli Fabio Todero affronta le scritture private. 70 milioni di giovani soldati scrissero lettere e diari nel 1914-18, per alleviare il dolore della lontananza e le difficoltà in cui erano costretti a vivere. La corrispondenza dei soldati italiani tocca i 4 miliardi di lettere e cartoline, un patrimonio che solo alla fine degli anni Settanta ha iniziato ad essere studiato. Anche anni dopo la fine del conflitto, molti soldati non più giovani continuarono a scrivere memorie di vicende, eventi e spesso orrori di cui erano stati testimoni. Fornirono così informazioni utili, non più sottoposte al filtro sterilizzante della censura.
I due successivi sono dedicati ai diritti umani. “La decimazione nell’esercito italiano: diritto di eccezione o eccezione contro il diritto?” del prof. Umberto Vincenti (ordinario di diritti umani nell’Università di Padova) affronta la norma del codice penale militare italiano che ammetteva la fucilazione sommaria senza processo e dava al comandante supremo il potere di emanare bandi aventi forza di legge. I militari italiani giustiziati furono 750. Diritti violati anche per Giorgia Zanon, docente sempre nell’ateneo patavino, che denuncia l’uso delle armi chimiche e in particolare dei gas. Nonostante il divieto sancito dalle convenzioni dell’Aja del 1899 e 1907, durante la Prima guerra mondiale furono diffuse nell’aria tonnellate di cloro e di iprite, provocando la morte di 20mila soldati.
Chiude il volume “I luoghi della memoria: il caso del Friuli Venezia Giulia”. Cammarata passa in rassegna le opere costruite al termine dei conflitto per ricordare i soldati caduti. Innumerevoli i monumenti funerari in Italia e in Europa, ma qui ci si sofferma in particolare su quelli della zona che più di altre fu teatro di distruzioni e massacri. L’inserto fotografico riporta immagini inedite di iscrizioni lapidarie con i nomi dei soldati: una scelta funzionale allo spirito del volume, dedicato alla memoria di coloro che persero la vita nella Grande guerra. Furono mobilitati in più di 70 milioni, in Italia 5,9 milioni su un totale di 34,5 milioni di uomini e donne. Si calcola che vennero coinvolte quattro famiglie su cinque: più globale di qualsiasi conflitto globale.
Nati per morire. La Grande Guerra dalle testimonianze personali ai luoghi della memoria
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