Rose rosse e una poesia per Prigozhin. Si sono tenuti ieri in Russia i funerali di Yevgeny Prigozhin, il generale capo della Wagner, considerato una delle principali minacce al potere di Vladimir Putin. L’uomo è morto - insieme ai suoi più stretti collaboratori - in circostanze misteriose, precipitando a bordo del suo aereo privato mentre sorvolava la città di Mosca.
Il fatto curioso in questa improvvisa scomparsa è che, appena due mesi fa, Prigozhin si era posto a capo di una rivolta armata di venticinquemila soldati mercenari, “una marcia della giustizia”, che stava per sovvertire Putin e il suo esercito. Il capo del Cremlino l’aveva accusato in diretta televisiva di “alto tradimento” e aveva aggiunto “sarà punito”; una frase che oggi suona come un sinistro presagio.
Il canale Telegram russo ha diffuso alcune immagini dei funerali del generale capo della Wagner. La cerimonia si è tenuta in forma privata a San Pietroburgo. Vladimir Putin non era presente.
Nelle fotografie si vede la tomba di Prigozhin, nel cimitero di Porokhovskoye, sulla quale campeggia una grande croce di legno e una sua fotografia in divisa. La spoglia lapide è stata ricoperta di rose rosse e sulla sua superficie è stata posata una poesia incorniciata. Si tratta di Natura morta di Iosif Brodskij, lo scrittore premio Nobel che fu esiliato dalla Russia e censurato dal regime. Proprio nel finale di questa poesia troviamo una frase del nostro Cesare Pavese, la celebre “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, che viene citata anche in epigrafe.
Scopriamo testo e significato della poesia di Brodskij posata sulla tomba del generale capo della Wagner.
“Natura Morta”, la poesia di Iosif Brodskij
Da cose e persone, da loro,
noi siamo accerchiati. E le une
e le altre ci dilaniano gli occhi.
Meglio vivere nell’oscurità.Seduto su una panchina
nel parco, seguo con lo sguardo
una famiglia che passa,
nauseato dalla luce.È gennaio. È inverno.
Così dice il calendario.
Quando sarà il buio a nausearmi
allora comincerò a parlare.È ora. Sono pronto ad iniziare.
Da cosa è indifferente. Importa
aprire la bocca. Potrei anche tacere.
Ma è meglio per me parlare.Di cosa? Dei giorni, delle notti.
O piuttosto – di nulla.
O delle cose invece.Delle cose, e non
delle persone. Loro muoiono.
Tutte. Anch’io morirò.
Tutto quanto è una sterile fatica.
Come lo scrivere nel vento.Il mio sangue è gelido. Un gelo,
il suo, più feroce di un fiume
ghiacciato fin sul fondale.
Io non amo le persone.La loro fisionomia non fa per me.
Coi loro volti innestano nella vita
un aspetto come di qualcosa
da cui non ci si può liberare.C’è qualcosa nei loro volti
che nella mente suscita ribrezzo.
Qualcosa che esprime adulazione
non si sa nei confronti di chi.Le cose sono più piacevoli. In loro,
all’esterno, non c’è né bene
né male. E anche se ci penetri dentro,
fin nelle viscere.All’interno di un oggetto – polvere.
Cenere. Un tarlo xilofago.
Le pareti. Una larva secca.
Tutto questo è sgradevole per le mani.Polvere. E la luce, quando è accesa,
illumina polvere soltanto.
Anche se l’oggetto
è chiuso ermeticamente.Un vecchio buffet dal di fuori
è proprio come all’interno,
mi ricorda
Notre Dame de Paris.Nelle viscere del buffet
c’è solo oscurità. Il frettazzo,
il mondo, non scuoteranno la polvere.La cosa stessa, di norma,
non si sforza di vincere la polvere,
non tende il sopracciglio.
Perché la polvere è la carne
del tempo; la carne e il sangue.Negli ultimi tempi
io dormo in pieno giorno.
La mia morte, è evidente,
mi mette alla prova,
avvicinandomi, anche se respiro,
lo specchio alla bocca –
per vedere come riporto alla luce
questo mio non essere.Sono immobile. Entrambi
i fianchi sono freddi, come
di ghiaccio, e l’azzurro
delle vene mi rende di marmo.Facendoci la sorpresa di essere
la somma dei suoi angoli,
la cosa casca fuori
dal nostro mondo fatto di parole.Una cosa non sta in piedi. E
neppure si muove. Pensarlo sarebbe un delirio.
La cosa è il suo spazio. E al di fuori
dello spazio una cosa non esiste.Una cosa si può battere, bruciare,
sventrare, rompere.
Gettare. Di fronte a questo
non griderà “Va all’inferno!”Un albero. La sua ombra. E la terra
sotto l’albero per le radici.
Curvi nomogrammi.
L’argilla. Un’aiuola di pietre.Le radici. Il loro intreccio.
La pietra, che il suo
peso specifico rende libera
da questo sistema di vincoli e nodi.È immobile la pietra. Non si può
spostare, né portare via.
L’ombra. L’uomo nell’ombra
è come un pesce nella rete.La cosa. Il colore marrone
della cosa. Il suo contorno sciupato.
Il crepuscolo. Non c’è altro –
nient’altro. Nature morte.Verrà la morte e troverà un corpo
la cui superficie rifletterà
la venuta della morte
come l’arrivo di una donna.E il teschio lo scheletro la falce –
è assurdo, è una menzogna.“Verrà la morte
e avrà i tuoi occhi”.Dice la Madre a Cristo:
― Tu sei mio figlio
o il mio Dio? Sei stato inchiodato alla croce.
Come me ne andrò a casa?Come oltrepasserò la soglia,
senza aver capito, senza aver deciso:
tu sei mio figlio o Dio?
Ossia: tu sei morto o vivo?E lui in risposta:
― Morto o vivo, donna,
non c’è differenza.
Figlio o Dio, io sono tuo.(Traduzione di Silvia Comoglio)
“Natura morta” di Iosij Brodskij: analisi e significato
La poesia fu scritta da Brodskij nel 1971 e fu ispirata da una vicenda personale. Nel mese di giugno di quell’anno l’intellettuale russo era stato ricoverato in ospedale, in seguito a un malore improvviso associato a una grave perdita di sangue, e si era trovato ad affrontare per la prima volta la questione della morte personale. Da queste riflessioni nacque l’ispirazione di Natura morta, una poesia che analizza la fine dell’esistenza in chiave satirica, concependo dunque l’essere umano come un oggetto, una “cosa inanimata”.
L’intera trama del lungo poema ruota attorno al suo titolo “Natura morta”; ma mentre al principio si ha l’impressione che con quella metafora pittorica, mutuata dal termine francese Nature morte, il poeta descriva la natura circostante, nel finale si capisce che sta narrando sé stesso.
Il poema di Brodskij si compone in tutto di dieci sezioni, ciascuna composta di tre quartine. In ogni parte della poesia l’autore sembra ritrarre, in un crescendo di angoscia, un mondo disabitato, uno scenario post-apocalittico. Ma infine è sé stesso che descrive, riducendosi a puro oggetto, come se questo atteggiamento - il concepirsi non come anima, ma come cosa - lo aiuti ad affrontare l’idea della caducità dell’esistenza.
Nel finale infatti il poeta delinea il suo incontro con la morte, confutandone l’immagine stereotipata di vecchia con la falce. La morte narrata da Brodskij è invece una donna - e qui cita Pavese “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” (1951). La morte, ci dice Brodskij in Natura morta, non è poi così diversa dalla vita; entrambe sono fatte dello stesso nulla.
In conclusione il poeta immagina un dialogo tra Maria e Gesù Cristo, in cui la madre chiede al figlio se è vivo o morto: “Tu sei mio figlio o Dio? Tu sei morto o vivo?”. La risposta di Gesù è sorprendente, in quanto elude la domanda e risponde semplicemente “tuo”. Ciò che conta dunque non è la condizione vitale, ma l’appartenenza.
In questi ultimi versi Iosif Brodskij, esiliato dalla Russia, voleva forse esprimere il suo legame assoluto, viscerale con la madrepatria. Trasferisce in questa poesia il suo lancinante grido di dolore per il posto che chiamava casa e per la famiglia che aveva abbandonato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Natura Morta”, la poesia di Brodskij sulla tomba di Prigozhin
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