Cade oggi primo maggio il centocinquantesimo della morte di Niccolò Tommaseo (1802-1874), linguista, scrittore e patriota, nato a Sebenico il 9 ottobre 1802.
Chi era Niccolò Tommaseo
Nato in una famiglia di commercianti italiani, compiuti i primi studi nel seminario di Spalato, nel 1817 si trasferì per gli studi di legge a Padova, dove conobbe Antonio Rosmini.
Nell’ambiente padovano, dopo il conseguimento della laurea (1822) e un breve soggiorno a Sebenico, iniziò la sua carriera di scrittore e pubblicista. Si trasferì poi a Milano (1824-27), dove lavorò per l’editore Stella e si legò di devota amicizia ad Alessandro Manzoni (1) (si vedano i “Colloqui col Manzoni”, postumo, 1928) e cominciò a collaborare all’Antologia di Giovan Pietro Vieusseux; quindi a Firenze (2), dove intensificò tale collaborazione, strinse amicizia con Gino Capponi ed ebbe una sofferta relazione amorosa con Geppina Catelli.
Dopo la chiusura della rivista, causata in parte da un articolo-recensione che provocò il risentimento dell’ambasciatore d’Austria, il Tommaseo scelse la via dell’esilio in Francia (1834), vivendo a Parigi, a Nantes ed infine in Corsica; di qui, beneficiando di un’amnistia, rientrò in Italia (1839), fece ritorno a Sebenico e si stabilì per un decennio a Venezia.
Fu un periodo d’intensa attività letteraria e anche politica.
Imprigionato nel gennaio 1848 per le sue posizioni antiaustriache, liberato nel marzo, insieme a Daniele Manin, dal popolo insorto, fu ministro nel governo provvisorio, ambasciatore a Parigi e tra i più accesi protagonisti della difesa della Repubblica Veneziana.
Caduta la repubblica, Niccolò Tommaseo si rifugiò a Corfù (1849), dove riprese la sua attività scrivendo tra l’altro un libro su quegli avvenimenti (“Venezia negli anni 1848 e 1849”, 2 voll., pubblicati postumi, 1931-50), e sposò la vedova Diamante Pavello, che lo assistette nella sua incipiente cecità.
Solo nel 1854 tornò in Italia, stabilendosi a Torino e poi a Firenze (1859), dove morì.
L’attività letteraria di Niccolò Tommaseo
Figura tra le più significative e controverse dell’intellettualità cattolica italiana dell’Ottocento, Niccolò Tommaseo diede prova delle sue non comuni facoltà, non sempre sorrette da adeguato rigore, in quasi tutti i campi dell’attività letteraria.
Alla lessicografia diede due opere importanti come il “Nuovo dizionario de’ sinonimi della lingua italiana” (1830), più volte rivisto e ristampato, e il grande “Dizionario della lingua italiana” (4 voll., divisi in 8 parti, 1865-79 e quindi prime dispense nel 1861, dopo un saggio nel 1858), per il quale fu aiutato da vari studiosi, tra cui Bernardo Bellini e soprattutto Giuseppe Meini, che lo condusse a termine.
Nell’ambito degli studi etnografici, il Tommaseo si distinse con la raccolta dei “Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci” (4 voll., 1841-42), con traduzioni che sono tra gli esiti migliori della sua poesia.
All’attività critica e alla riflessione estetica appartengono “Il Perticari confutato da Dante” (1825), con cui il giovane Tommaseo, nonostante la sua formazione squisitamente retorico-umanistica, si schierava con i romantici nella polemica sulla lingua letteraria.
Quindi:
- il notevole “Commento alla Divina commedia” (3 voll., 1837) (3),
- il “Dizionario estetico” (1840),
- le pagine riunite in “Bellezza e civiltà o delle arti del bello sensibile” (1857),
- l’edizione delle “Lettere” di Santa Caterina da Siena (1860) e degli “Scritti” di Giovita Scalvini (1860),
- i saggi raccolti in “Storia civile nella letteraria” (1872).
Polemista risentito, contro il potere temporale dei papi il Nostro scrisse “Rome et le monde” (1851), contro la pena di morte, nonché l’eloquente “Supplizio d’un italiano a Corfù” (1855), contro il darwinismo “L’uomo e la scimmia” (1869).
Al dibattito politico prese parte con numerosi scritti, tra cui i cinque libri “Dell’Italia”, ispirati ad un generico cristianesimo sociale (l’opera, terminata in Francia, per poter entrare negli stati italiani comparve col titolo di “Opuscoli inediti di fra Girolamo Savonarola” (1835).
Niccolò Tommaseo fu tra i primi ad intuire l’importanza della questione balcanica, battendosi per il riconoscimento dell’autonomia della “nazione” dalmata. Si adoperò anche per un riavvicinamento tra la Chiesa di Roma e gli ortodossi.
Il Nostro, repubblicano e federalista, fu avverso alla politica unitaria di Cavour (di cui combatté anche la politica ecclesiastica), coerentemente rifiutando, dopo l’Unità, la cattedra offertagli dal ministro Francesco De Sanctis e il seggio nel Senato del Regno.
Fulcro della personalità intellettuale, del mondo morale e fantastico di Tommaseo fu la profonda fede religiosa, da lui vissuta in una drammatica tensione tra colpa ed espiazione, peccato e pentimento.
Oltre che dalle pagine del suo “Diario intimo” (pubblicato postumo nel 1938), tale travaglio è testimoniato dalle sue opere creative, e in primo luogo dai versi che egli venne scrivendo e pubblicando fin dal 1836 (“Confessioni”) e che riunì nel volume complessivo di “Poesie” nel 1872: versi nuovi nella lirica italiana per l’accorata, cristiana introspezione e per il senso profondo della natura venutogli in parte da Rousseau, da Lamennais e dall’ammiratissima Sand.
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Vicina ai modelli della prosa francese di confessione (al “Volupté” di Sainte-Beuve) è, per temi e sensibilità, la sua più importante opera narrativa, “Fede e bellezza”, scritta in Francia e pubblicata a Venezia nel 1840 (una nuova edizione è del 1852), storia di peccato e redenzione in cui si riflettono esperienze dello stesso Tommaseo; se l’aspirazione ad una lingua modellata su quella popolare toscana si traduce spesso, come notò il Cattaneo, in una perdita di “freschezza e naturalezza di modi”, notevole è in questo romanzo lo sforzo di aprire la nostra narrativa a tematiche che le erano estranee e che più tardi sarebbero state riprese, in un mutato clima spirituale, soprattutto da Antonio Fogazzaro. Oltre ad alcune novelle e al pur notevole romanzo storico “Il Duca d’Atene” (1837), vanno ricordate le prose d’arte in serbocroato “Iskrice” (1844), già da lui pubblicate in traduzione italiana con il titolo “Scintille” (1841), ed una serie di bei racconti tradotti dalla vulgata biblica (“Esempi di generosità proposti al popolo italiano”, 1867).
Ricchissima è la corrispondenza del Nostro (con Rosmini, Vieusseux, Capponi, Lambruschini e Poerio), di cui sono stati pubblicati numerosi volumi.
L’edizione nazionale delle opere di Niccolò Tommaseo ha preso avvio con il volume di “Scritti editi e inediti sulla Dalmazia e i popoli slavi” (1943), cui hanno fatto seguito:
- “Sul numero” (1954),
- “Salmi e Inni sacri tradotti” (1965),
- “Del presente e dell’avvenire” (2 tomi, 1968-81),
- “Racconti biblici e Meditazioni sui Vangeli” (1970),
- “I santi Evangeli. Col commento che da scelti passi de’ padri ne fa Tommaso d’Aquino” (1973).
Note –
(1) fu il Tommaseo a far incontrare Alessandro Manzoni ed Antonio Rosmini. Di questa amicizia ne parla ampiamente la scrittrice Stefania Romito nel suo saggio “L’influenza del pensiero filosofico rosminiano in Manzoni” facente parte del volume, a più voci, “Alessandro Manzoni La Tradizione in viaggio a 150 anni dalla scomparsa” a cura della stessa Romito e coordinato scientificamente dal prof. Pierfranco Bruni, Solfanelli Editore 2023, pp. 193-202;
(2) a Firenze Niccolò Tommaseo apprezzò la cultura e la missione di educatori dei Padri Scolopi. Ed al riguardo scrisse: «Scuole Pie, dolce nome che abbraccia la fede e la carità, l’intelletto e il cuore, la parola e l’opera, la compassione e l’amore, gli uomini e Dio…»;
(3) il Nostro scrisse di Dante Alighieri: «Leggere Dante è un dovere; rileggerlo un bisogno; sentirlo è presagio di grandezza.».
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perché ricordare Niccolò Tommaseo, a 150 anni dalla morte
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