I morti non hanno voce, ma la poesia può restituirgliela. Giorgio Bassani nella poesia intitolata Non piangere, compagno si serve del sortilegio dei versi per compiere l’inaudito: dare ai morti la possibilità di esprimersi, di dire e consolare, di rivolgersi ai vivi con parole di commiato e di speranza. Se i morti della Resistenza oggi potessero parlare, cosa direbbero? Con quale spirito festeggerebbero questo 25 aprile? Sentirebbero ricompensato il loro sacrificio?
La poesia di Giorgio Bassani, l’autore del celeberrimo Giardino dei Finzi-Contini, rappresenta uno struggente tributo ai morti della Resistenza. L’ispirazione per scriverla venne all’autore guardando una fotografia.
Era l’estate del 1944, Bassani aveva ventotto anni e si trasferiva a Napoli da Roma.
“Non piangere”: Giorgio Bassani e i morti della Resistenza
Giunto nella città partenopea, il giovane Bassani si ritrovò immerso in una realtà nuova dove imperava “un disperato pasticcio di corruzione e degradazione collettiva“ come denunciò in un articolo intitolato I partiti progressisti nel napoletano. Osservava il mondo con la lucidità analitica di un giornalista, ma il cuore gli pulsava di ardore e di desiderio di rivalsa che trovava sfogo nella poesia. La situazione di degrado nel napoletano riaccendeva in Bassani la fiamma della militanza antifascista. Scrisse la poesia sull’onda di questo ardore Non piangere, compagno , perché colpito da un’immagine contenuta nel volume Napoli contro il terrore nazista di Corrado Barbagallo.
La fotografia in bianco e nero ritraeva un giovane morto durante le Quattro Giornate di Napoli, l’insurrezione popolare avvenuta tra il 27 e il 30 settembre 1943. Grazie a quell’impeto di ribellione i civili riuscirono a liberare Napoli dall’occupazione tedesca. Il giovane ritratto nella foto aveva dato la vita in nome della libertà. I morti non hanno voce, non hanno più occhi per vedere, la loro lingua è muta. Giorgio Bassani fissò negli occhi il giovane caduto nella Resistenza che lo guardava dalla fotografia e immaginò che gli parlasse. Gli restituì la voce tramite dei versi che oggi appaiono come la degna sepoltura di tutti quei ragazzi che se andarono troppo presto, ottenendo in cambio una medaglia d’oro al valore, appuntata sopra il loro cuore che ormai non batteva più.
Non piangere, compagno, Giorgio Bassani immaginò che il giovane ritratto nella foto gli si rivolgesse con queste parole divenute una poesia struggente. Scopriamone testo e analisi.
“Non piangere, compagno” di Giorgio Bassani: testo
Non piangere, compagno,
se m’hai trovato qui steso.
Vedi, non ho più peso
in me di sangue. Mi lagno
di quest’ombra che mi sale
dal ventre pallido al cuore,
inaridito fiore
d’indifferenza mortale.
Portami fuori, amico,
al sole che scalda la piazza,
al vento celeste che spazza
il mio golfo infinito.
Concedimi la pace
dell’aria; fa’ che io bruci
ostia candida, brace
persa nel sonno della luce.
Lascia che così dorma: fermento
piano, una mite cosa
sono, un calmo e lento cielo in
me si riposa.
“Non piangere, compagno” di Giorgio Bassani: analisi e commento
Il testo di Bassani è un inno alla fratellanza. Il tono è intimo, amichevole e solidale nonostante la durezza dell’argomento trattato. L’autore aveva soli ventotto anni quando scrisse questa lirica e colui che l’aveva ispirata - il ragazzo ritratto nella foto - doveva avere all’incirca la sua età, forse persino più giovane, in ogni caso era un suo pari. “Compagno” era dunque la parola più adatta per stabilire un rapporto tra loro, per istituire un dialogo che andasse oltre il tempo della vita e potesse unire anche due sconosciuti che non sanno neppure il nome l’uno dell’altro.
Ma, chiamando “compagno” il ragazzo morto nella Resistenza, Bassani è consapevole di stringere un legame universale con tutti gli altri morti in nome della Liberazione: erano tutti “compagni”, tutti fratelli di lotta, votati a un ideale comune.
Non conosceremo mai il vero volto del giovane che ispirò a Giorgio Bassani questa poesia: ma non ha importanza perché ora non è più un volto, ma una voce, anzi un coro di voci che si solleva all’unisono rivendicando la stessa verità.
La poesia Non piangere, compagno non parla la lingua dei mortali: a proferire quelle parole è un uomo che si è liberato dalle spoglie del proprio corpo e sembra osservare il proprio cadavere dall’alto con una consapevolezza distaccata. Gli è rimasta l’anima, ultimo “inaridito fiore d’indifferenza mortale”. Il morto si rivolge al vivo chiamandolo “compagno” e gli domanda aiuto: ma, attenzione, non vuole essere salvato, solo avere l’onore di una giusta sepoltura. Che le sue ceneri siano disperse nel vento perpetuo del Golfo di Napoli.
La voce dei morti della Resistenza così si disperde nel vento, ma non svanisce, anela solo alla pace che non ha avuto in vita. Diventa un soffio, un richiamo; ma non è lacrima, non è dolore, è parte della luce.
Questa è la consolazione che ci offre Giorgio Bassani, la sua maniera di dare sepoltura ai morti: lasciare che riposino nella luce, perché hanno combattuto in nome della giustizia e ora meritano l’eterno riposo di un sonno senza sogni.
Non piangere, compagno è una poesia spirituale, che non ci descrive morti ammazzati, cadaveri sgozzati, corpi insanguinati, soldati feriti. Bassani rimuove l’atrocità delle scene di guerra per mostrarci il candore di un spirito che è morto in nome di un ideale. Tutti coloro che sono caduti nella Resistenza oggi sono luce, ci dice il poeta, sono diventati parte di quel cielo che oggi possiamo guardare senza timore sentendoci liberi. Non dobbiamo piangerli, ma rendergli grazie.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Non piangere, compagno”: la poesia di Giorgio Bassani per i morti della Resistenza
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