Statua di San Benedetto nel chiostro d’ingresso dell’Abbazia di Montecassino — Foto di wjarek /depositphotos.com
Il motto latino ora et labora è divenuto celebre perché rappresenta la sintesi più coerente della cosiddetta Regola benedettina, per questo la frase è generalmente attribuita a San Benedetto da Norcia, sebbene la dicitura esatta non compaia mai nel testo della sua regola.
Nonostante questo dettaglio, è sostanzialmente corretto associare il motto latino ora et labora, che letteralmente tradotto significa “prega e lavora”, all’organizzazione della vita monastica che San Benedetto aveva tematizzato.
Il significato dell’espressione latina ora et labora si comprende, però, meglio, non solo guardando alla sua traduzione ma anche indagando la vita di San Benedetto e cercando di capire perché egli abbia dato così tanta importanza alla preghiera e al lavoro nella vita monastica.
Per riscoprire significato e storia di ora et labora abbiamo scelto la data del 13 novembre, giorno in cui ogni anno la comunità benedettina ricorda tutti i santi monaci e monache che hanno militato sotto la Santa Regola di Benedetto.
Il significato di ora et labora
L’espressione latina ora et labora, letteralmente tradotta, significa prega e lavora. Dobbiamo subito specificare, però, che il sostantivo latino labor può e deve essere tradotto, a seconda dei contesti, con “fatica”. Ciò ci permette di cogliere meglio il significato dell’espressione: il lavoro a cui allude la regola benedettina è il lavoro fisico, quello che fa faticare l’uomo. Anche nella lingua italiana, quando usiamo espressioni come uomo di fatica o lavoro di fatica ci riferiamo a persone o ad attività che gravitano intorno al mondo dell’agricoltura, del giardinaggio, della campagna. È noto che i benedettini attribuivano una grande importanza alle attività agricole, alla coltivazione di ortaggi e piante, e alcuni secoli dopo San Benedetto, attorno al 1000 d.C., i monaci che adottarono e seguirono questa regola, fossero essi benedettini o appartenenti ad altri ordini, giocarono un ruolo fondamentale nella conquista di nuovi territori da mettere a dimora per le attività agricole: insieme ai laici bonificarono paludi, disboscarono, dissodarono e ararono ettari e ettari di terreni che di lì a poco avrebbero assicurato una quantità maggiore di derrate alimentari e avrebbero favorito l’incremento demografico e l’inizio di un ciclo di prolungata crescita economica.
Come vedremo tra poco, però, il termine labor, nella Regola benedettina può avere anche altri significati.
È opportuno notare che da questa espressione latina ne deriva anche un’altra affine: laborare est orare (lavorare è pregare): con la quale si sottolinea l’importanza sacrale attribuita al lavoro, alle attività manuali e fisiche: anche il lavoro, se svolto con la opportuna dedizione e accompagnato da determinazione, diventa una forma di preghiera.
Dove nasce l’espressione ora et labora
San Benedetto nacque a Norcia, intorno al 480 d.C., e dopo gli studi a Roma, scandalizzato dallo stato di decadenza in cui versava la città, si ritirò in preghiera nelle valli dell’Aniene, al confine tra Lazio e Abruzzo. Una prima esperienza di organizzazione monastica la fece a Vicovaro dove un gruppo di monaci lo scelsero come abate ma, dopo poco tempo, cercarono di avvelenarlo perché impressionati dalla rigidità della sua disciplina.
San Benedetto allora si spostò a Subiaco dove tentò di organizzare una propria comunità, seguendo gli insegnamenti di San Pacomio, un religioso che due secoli prima aveva fissato alcuni precetti della vita dei monaci cenobiti (cenobiti sono, appunto, i monaci che vivono assieme, e non isolati come gli eremiti) e aveva assegnato grande importanza alla preghiera e al lavoro. Qui San Benedetto divise la comunità in dodici gruppi con dodici membri, ciascuno dei quali aveva un abate. Anche questo secondo tentativo si rivelò, però, un insuccesso perché il santo attirò su di sé le invidie di un prete.
Fu allora che San Benedetto si allontanò, con i suoi discepoli più fedeli, alla volta di Cassino, dove nel 529 d.C. fondò il celebre monastero, che definì “scuola del divino servizio”. Qui realizzò un sodalizio educativo che oggi potremmo definire multiculturale: tra i suoi adepti e discepoli c’erano giovani figli di aristocratici romani ma anche uomini poveri e umili, provenienti dal contado, c’erano romani ma anche goti.
La regola benedettina
Fu nell’Abbazia di Montecassino che, con ogni probabilità, San Benedetto, prima di morire tra il 543 e il 555 d.C., compose la sua celebre Regola, articolata in un prologo e in 73 capitoli che dettagliano la vita del monaco e del monastero.
Questa legislazione monastica, ispirata da principi di stabilità, di ordine, da un’organizzazione ben definita della giornata dei religiosi, dove la preghiera e il lavoro trovano un felice bilanciamento, inizialmente fu praticata insieme ad altre regole, già elaborate da altri.
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Alla fine del VI secolo d.C., però, il monastero di Cassino subì degli attacchi da parte dei barbari e i monaci fuggirono a Roma, portando con loro il testo della Regola che, nell’antica capitale dell’impero, finì nelle mani di Gregorio Magno, allora papa, che ricorda San Benedetto e la sua vicenda nei suoi Dialoghi .
Anche questo contribuì al successo della regola che si diffuse rapidamente in molti monasteri d’Europa, divenendo predominante. San Benedetto divenne oggetto di venerazione crescente, la sua grande popolarità lo rese, anche nei secoli successivi, un simbolo della vita monastica, al punto tale che nel 1964, Paolo VI lo dichiarò “Patrono d’Europa” in occasione della consacrazione della basilica di Montecassino, ricostruita dopo essere stata distrutta nel corso del secondo conflitto mondiale.
Ora: la preghiera nella vita benedettina
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La preghiera è la prima e più importante attività alla quale il monaco si deve dedicare. A tal proposito occorre ricordare che a volte ricorre anche l’espressione latina ora et labora et lege. Ciò perché, secondo la Regola, il tempo che rimane libero dalla preghiera deve essere equamente scandito tra lectio e lavoro. La lectio divina è la meditazione sulla Bibbia, che il monaco può svolgere sia da solo che insieme ai confratelli. Si tratta di una pratica di fondamentale importanza sia per i monaci che per i laici che, però, alla fine del medioevo divenne sempre più rara.
Da essa differisce la devozione moderna, pratica che si diffuse nei secoli successivi e che era essenzialmente scollegata dal testo sacro: i monaci praticavano una sorta di esercizio spirituale, una forma di preghiera nuova, tutta mentale, che si consumava in una dimensione individuale.
Fu solo nel Novecento, con il Concilio Vaticano II, che la parola di Dio torna ad avere un ruolo centrale nella pratica cristiana e la lectio divina torna così ad essere rivalutata anche in ambito monastico.
Labora: lavoro e cultura nella vita monastica
Grazie alla Regola benedettina i monaci occidentali sposano l’ideale classico della vita activa e si contrappongono, così, al monachesimo orientale, a carattere contemplativo.
Dopo San Benedetto i monaci, non solo italiani, portarono la parola di Dio tra i barbari, la loro azione evangelizzatrice si dispiegò per tutto l’Alto Medioevo e si concretizzò nella creazione di tanti monasteri disseminati nel vecchio continente.
San Colombano (Italia), San Gallo (Svizzera), Cluny (Francia), Fulda (Germania) sono solo alcune delle principali abbazie dove la regola benedettina fu praticata, mutuata e modulata, così da apportare una vasta crescita, non solo economica, al territorio circostante.
I monaci, infatti, furono abili agricoltori: recuperarono terre incolte, coltivarono la vite e l’ulivo, furono maestri nell’arte di realizzare formaggi e succhi di frutta, birre e ritrovati officinali, miele, tinture e tessuti. Ogni abbazia divenne anche un centro commerciale che intratteneva frequenti scambi con il territorio circostante.
Soprattutto, però, molti monasteri divennero centri di cultura: per molti secoli abili e pazienti amanuensi, con la loro arte, tennero viva non solo la cultura cristiana ma anche quella classica, preoccupandosi di realizzare materialmente libri, carte e stampe che dovevano servire per tramandare un sapere sterminato.
Grazie a Carlo Magno, poi, le abbazie ebbero anche il delicato compito di fondare scuole nei territori che controllavano: i monaci diedero vita a un modello pedagogico che prevedeva l’insegnamento delle arti liberali, divise in arti del trivio (grammatica, dialettica e retorica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ora et labora: significato, origine e chi l’ha detto
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