Questo carmen di Orazio costituisce il proemio e la dedica all’amico e protettore Mecenate dei primi tre libri delle Odi, pubblicati nell’età augustea.
Tratta il topos lirico e filosofico del quale sia la vita migliore secondo una modalità espositiva chiamata “Priamel”.
È un elenco di scelte di vita e passioni che si chiude per contrasto con l’opzione della poesia, orgogliosamente rivendicata dal poeta latino che si presenta come l’erede Romano della più alta tradizione greca.
Sia all’inizio sia alla fine, con una struttura ad anello o Ringkomposition a potenziare dedicatario e dedica, l’interlocutore è Mecenate.
L’elenco è modellato sui cosiddetti Lebensbilder di matrice epicurea: guizzi rapidi e dinamici. Ognuno mostra al lettore scelte in parte disallineate alla sensibilità contemporanea, in parte no. Perché il “cosa farò da grande” non passa mai di moda.
Ecco i modelli umani e professionali proposti da Orazio.
Secondo voi possiamo bollarli tutti come anacronistici?
I modelli umani e professionali proposti da Orazio
- 1. Il filòdoxos: colui che ama la gloria nello sport e in politica. L’auriga è il nostro pilota di Formula 1 che, in uno sport ad altissimo rischio, gareggia per vincere. Il politico ambizioso mira alla vittoria elettorale consapevole degli umori mutevoli della massa, base del suo consenso.
- 2. Il filocrèmatos: colui che ama il denaro ossia - seguendo fedelmente le parole di Orazio - il mercante di grano da intendersi come imprenditore dal capitale a rischio e non solo. Nel mondo antico i mercanti mettevano a rischio anche la loro incolumità durante lunghi e pericolosi spostamenti via mare. Ricordate Landolfo Rufolo nel Decameron? Anche il latifondista rientra nel gruppo.
- 3. Il filèdonos: colui che ama il “piacere”. Cosa c’è di più bello, dice Orazio, che gustare del vino pregiato al fresco sotto un albero?
Cosa c’è di più bello che alzarsi all’alba, sfidando il freddo, per una battuta di caccia al cinghiale anziché restare in compagnia della giovane moglie? O andare in guerra?
Nelle questioni coniugali meglio non immischiarsi. Due parole sulla caccia e sulla guerra invece le vogliamo spendere.
La passione dei Romani per la caccia e per la guerra è distante, dalla nostra sensibilità. In Italia la regolamentazione della caccia al cinghiale (Sus scrofa) è contenuta nella legge 157/92 a tutela della fauna selvatica. Per esteso ogni Regione calendarizza a cadenza annuale specie cacciabili e periodi concessi per l’attività venatoria. Passiamo alla guerra. Solo un cenno.
Prima della formazione di un esercito professionale intorno al 100 a.C., a Roma un giovane maggiorenne (17 anni) poteva essere sempre chiamato alle armi e se si sottraeva era ridotto in schiavitù.
La lezione di Orazio che parla al presente
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È cosa nota, inoltre, che il corpo militare è un forte elemento identitario per Roma che è sempre in guerra. Una guerra variamente legittimata su base imperialistica come guerra giusta. Non scandalizziamoci dunque se Orazio la definisce una passione. Ma oggi che fine ha fatto la poesia? Quanti vi si dedicano e quanti l’apprezzano?
Con un occhio a Bauman - senza dimenticare il discorso di Montale È ancora possibile la poesia? in occasione del Nobel e con il puntello della statistica- , osserviamo quanto lo spazio per la fruizione della poesia si sia ridimensionato. Purtroppo.
Fare poesia è un’altra questione in un Paese come il nostro dove quelli che scrivono superano sensibilmente il numero dei lettori.
Nella società dell’attimo, in cui il tempo si è rattrappito nella frazione dell’istante, le nuove generazioni hanno ancora il desiderio, la testa e il cuore per apprezzare la poesia?
La poesia è una scrittura densa, ad alto peso specifico. Al lettore chiede pazienza e lentezza e amore, rara avis.
Coraggio perché il trend occupazionale del prossimo decennio offre un ampio ventaglio di possibilità lavorative. Tra le professioni emergenti: raccoglitore di energia, aggregatore di talenti, consulente della terza età, progettista di visite virtuali, esperto in nanotecnologie e agronomo in una “vertical farm”, una fattoria verticale. Una delle più grandi è già una realtà in Lombardia.
Mi diverto a pensare quanto sarebbe piaciuto a Manzoni e Calvino e Proust specializzarsi in colture idroponiche. Come sempre Orazio è una buona compagnia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’ode di Orazio “A Mecenate” e l’analisi della “vita migliore”
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