Il 15 settembre 2006 ci lasciava Oriana Fallaci, anche se le sue parole non ci hanno mai lasciato davvero e continuano a fuoriuscire dalle pagine che ha scritto come grida, come imperativi categorici cui non ci si può sottrarre. Sulla sua spoglia lapide, nel Cimitero degli Allori di Firenze, è scritto a caratteri cubitali “Scrittore”, nient’altro; così Oriana voleva essere celebrata, così vive per sempre.
Oriana Fallaci, scrittore.
La morte di Oriana Fallaci
A lei non importava molto di morire, in una delle ultime interviste che aveva rilasciato affermava che non aveva paura della morte dal momento che si era già portata via sua madre, sua sorella Neera e persino l’amato Alekos Panagulis. Lei che si interrogava con pensieri laceranti, osservando “la morte non dovrebbe esistere” e poi, ancora, rispondeva a quella domanda straziante postale da Anna Magnani: “Ma perché dovremmo morire dal momento che siamo nati?” dichiarando“Tutto, anche il dolore più infame è meglio del nulla. Non nascere è il nulla”. Le ultime pagine del suo libro capolavoro, Lettera a un bambino mai nato (Rizzoli, 1979), si concludevano con un’affermazione eterna, intrisa di infinità, come il verso di un poeta:
Ora muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore.
Di quel finale andava molto fiera. Sosteneva che quel “non” annullava la morte, la negava. Da quel “non”, dichiarava Oriana,“ la parola morte viene uccisa”.
Del suo funerale diceva: “anche se mi buttate sotto un olivo per me va bene” ma aggiungeva pronta “ma se buttandomi mi suonate Greensleeves mi fate una cortesia”. Il riferimento all’ulivo non è casuale, badate bene; era il poeta turco Nazim Hikmet a sostenere in una sua celebre poesia che a settant’anni pianterai un ulivo perché:
avendo paura di morire
tu non credi nella Morte
perché
la vita trabocca.
Quanto a Greensleeves, si trattava di una celebre melodia popolare inglese, un canto malinconico che oggi fatichiamo ad associare a Oriana Fallaci; lei che si voleva prendere tutto, lei che divorava tutto, assorbiva tutto e si scaraventava sulle cose con l’impeto di un ciclone, lei - prima donna occidentale a intervistare un capo islamico - che si strappava il chador davanti all’Ayatollah Khomeini in un gesto di sfida; non era mai conciliante né docile, né incline a rassegnarsi, dopo che le cose, i fatti, le storie le aveva raccontate lei era già tutto detto, sino all’ultima virgola, agli altri non lasciava neppure le briciole.
Oggi vogliamo ricordare questa Oriana, l’Oriana lontana dall’alieno e dalle discusse posizioni anti-islamiche, l’Oriana Fallaci che risplendeva nel bagliore irripetibile dei suoi trent’anni. Numerose fotografie l’hanno immobilizzata in quell’età perfetta, eternamente giovane, con lo sguardo intenso incorniciato dall’eyeliner nero, così fermo e deciso che sembra perforare l’obiettivo.
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Sono stupendi i trent’anni, questo Fallaci lo scriveva in Se il sole muore (1965), il libro in cui narrava l’epopea dell’uomo nello Spazio. Come di consueto, in quelle pagine, Fallaci intrecciava storia e riflessione personale, parlando anche della malattia della madre, dei dubbi del padre e, soprattutto, di sé stessa che all’epoca stava vivendo la sua stagione di massimo rigoglio, macinando un successo dopo l’altro in ambito professionale. Intervistava gli astronauti ai tempi, Oriana, stava vivendo la più grande avventura del secolo, la conquista della Luna; la trincea della guerra in Vietnam era ancora lontana e tuttavia vicinissima e lei aveva solo trentasei anni e ancora tutta la vita davanti. La copertina della prima edizione di Se il sole muore, edita dalla casa editrice Rizzoli nel 1965, riporta una foto di lei in bianco e nero mentre parla al telefono: sembra che stia gridando, litigando con qualcuno, ha lo sguardo infervorato ma che tradisce anche un certo stupore, mentre le mani ghermiscono il telefono come gli artigli di un rapace una preda. Gli occhi sono brillanti, i capelli lucenti; è giovanissima Oriana, ha trent’anni.
Nelle pagine di quello stesso libro sembra di sentirla urlare e ridere e arrabbiarsi un po’ per gioco un po’ sul serio, come in quell’intervista in cui si imputava sui gomiti e sorridendo diceva, a proposito del suo lavoro: “Ecco, io non voglio mai annoiarmi!”.
Se solo quell’Oriana trentenne potesse rivivere ancora e, soprattutto, scrivere... All’epoca non aveva ancora scritto Niente e così sia, che spesso è poco considerato e tuttavia è uno dei suoi libri più belli, intensi e feroci.
Facciamo rivivere Oriana Fallaci in quei suoi stupendi e irripetibili trent’anni che, come lei stessa disse, si beveva d’un fiato come un liquore. Quanto sono belle, attuali e vitali le sue parole - sprigionano energia - sono un’eterna ode alla vita, che naturalmente si conclude con un imperativo categorico in stile Fallaci, al quale non ci si può sottrarre: “Svegliatevi, dunque!”
Sono stupendi i trent’anni secondo Oriana Fallaci
Sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni!
Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perché anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che -la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita.
È viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo.
Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna: e allora com’è che in voi non è così?
Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui.
Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete, sbagliate.
Sono stupendi i trent’anni: il significato del messaggio di Oriana Fallaci
Le parole di questo testo, scritto in perfetto stile Fallaci, hanno l’effetto di un terremoto. Arrivano a noi come una scossa, ci agitano nel profondo, come se qualcuno ci avesse tirato uno schiaffo risvegliandoci da una sottile apatia. Per Oriana Fallaci i trent’anni sono stupendi perché sono l’età della consapevolezza: gli anni più audaci e liberi in cui si può contare solo su sé stessi e si è già stati un poco provati dalla vita, se non altro abbastanza da non aver paura del dolore. Si tratta di un’età forte (come direbbe Beauvoir), l’età dell’energia e delle rinnovate certezze. Oriana Fallaci ci esortava a “ridere, piangere, sbagliare”, insomma a vivere senza proteggersi, senza nascondersi, senza aver paura di fallire. Si dovrebbe vivere così a qualsiasi età e non solo a trent’anni - e in questo Oriana è stata una maestra, perché lei l’ha fatto sempre, anche a cinquant’anni, anche a settanta.
Ha sempre riso e pianto e sbagliato senza timore di farlo, sostenendo le sue idee e le sue convinzioni sino all’ultimo respiro. Con la sua audacia e il suo coraggio ha offerto uno straordinario esempio di vita, anche quando eravamo in disaccordo con le sue idee, con le sue prediche, e tuttavia plaudivamo la fermezza con cui le sosteneva, lei che del giornalismo era stata un’autentica pioniera.
Per questo oggi vogliamo ricordarla come una meravigliosa trentenne, viva in ogni sua gioia, viva in ogni sua pena.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Oriana Fallaci: “Sono stupendi i trent’anni”. Il significato del suo messaggio
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