“Per Natale io non sarò a casa”. La testimonianza di un deportato nel campo Mittelbau-Dora
- Autore: Attilio Romagnoli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Dare uno strumento prezioso per far capire ai ragazzi cosa sia stato l’Olocausto, per aiutarli a crescere liberi e responsabili, cittadini di un mondo nel quale quegli orrori non si dovranno ripetere: ecco perché l’Auser di Bologna ha voluto pubblicare il diario di Attilio Romagnoli “Per Natale io non sarò a casa”. La testimonianza di un deportato nel campo Mittelbau-Dora. Giugno 1944-Luglio 1945, un volume stampato dalle bolognesi Edizioni Pendragon (gennaio 2024, 190 pagine) con numerose fotografie in bianconero e seppia, nel testo e in appendice, comprese molte riproduzioni dell’ordinata scrittura del deportato emiliano.
La redazione delle memorie di detenzione nel lager dell’allora cinquantenne antifascista è stata fortemente voluta dall’Associazione con finalità di progetto Auser, impegnata dal 1991 a promuovere l’invecchiamento attivo degli anziani. L’ente assistenziale bolognese è stato affiancato nell’iniziativa storico-culturale dall’Istituto Parri, dall’Aned e dal Comune di San Lazzaro di Savena.
Classe 1894, segretario comunale, ammogliato con figli: Attilio Romagnoli è uno dei tanti deportati dai nazisti, uno dei pochi che ha lasciato un diario dell’esperienza, simile a quella di tanti altri rastrellati per lavorare in Germania come manodopera forzata. Nella presentazione, il vicepresidente Auser Loris Marchesini offre una chiave di lettura importante. La prefazione è della professoressa Patrizia Dogliani, ordinaria di storia contemporanea nell’ateneo di Bologna.
Doppia l’eccezionalità di queste memorie, scritte durante la prigionia. L’autore aveva studiato ma non era uno scrittore e ha trovato la forza di registrare quanto
accadeva in lui e intorno a lui, senza perdere fiducia nell’umanità.
Il “male” del campo di concentramento risalta perché emerge da una quotidianità segnata da residui di normalità. Il male è prima di tutto la circostanza che nessuno possa curarsi di chi gli è accanto, se non a rischio della vita.
Come altri sopravvissuti al lager che hanno vissuto quel dramma, Attilio Romagnoli non aveva mai parlato della deportazione e ha preferito affidare alla carta quanto gli era difficile riferire a voce. Si era limitato a raccontare in casa soltanto episodi di quei tredici mesi, senza rivelare l’esistenza di un diario, trovato solo dopo la sua morte nel 1977.
La pubblicazione del documento lasciato da Romagnoli, Diario e pensieri della vita passata, tredici mesi ai lavori forzati, si deve al figlio Archimede, volontario Auser di San Lazzaro di Savena. Una volta scoperto, ha pensato che sarebbe stato utile farlo conoscere, per rivelare cosa siano stati costretti a vivere in tanti. Lo ha trascritto nel formato digitale per le successive elaborazioni e ha messo a disposizione altri documenti.
Il lager di Mittelbau-Dora, nella Germania centrale, era un sotto campo di lavoro di Buchenwald. Consisteva in depositi, baracche e strutture, alcune sotterranee, usate dai tedeschi per fabbricare il razzo V-2 dall’agosto 1943 all’aprile 1945. Aveva sostituito lo stabilimento di Peenemunde, individuato dall’aviazione alleata e fortemente bombardato, sul Baltico, nell’estremo Nord della Prussia.
In gran parte, a Mittelbau lavoravano forzatamente prigionieri politici e militari russi e francesi, sotto il controllo delle SS e di specialisti tedeschi, in turni massacranti di dodici ore giornaliere e con alimentazione insufficiente. Dopo l’8 settembre 1943, si aggiunsero gli italiani che non avevano aderito alla Repubblica fascista di Salò e non intendevano collaborare con i nazisti; considerandoli traditori dell’alleanza con la Germania, Hitler aveva negato il riconoscimento come prigionieri di guerra e non erano perciò tutelati dalle norme internazionali. Per loro era stata inventata la categoria Internati Militari Italiani, che consentiva di usarli come manovalanza a costo zero anche nella produzione bellica. In pratica, autentici schiavi.
Attilio Romagnoli descrive con precisione la condizione nel lager: la vita quotidiana, il lavoro, l’indebolimento per la fatica e la mancanza di cibo. Emergono anche sentimenti, emozioni, la nostalgia, la paura di non rivedere la moglie, i figli, la madre anziana. Non manca una riflessione sul fascismo e sui nazisti carcerieri, che consideravano i non tedeschi “al di sotto del valore della bestia”. Si aggiunge la denuncia contro chi era complice pur non avendo responsabilità: la popolazione evitava i deportati, negava un pezzo di pane, un riparo, preferiva non sapere e non vedere.
Nei momenti di maggiore sconforto, Attilio quasi si augura di non tornare. In alcune pagine si avverte la paura di non farcela, per la mancanza di cibo e la spossatezza del lavoro forzato, compresi 60 km da percorrere ogni giorno.
Era nato a Medicina (Bologna) nel 1894, figlio di un fabbro, con cui lavorava per aiutare la famiglia numerosa. Aveva completato gli studi dopo la prima guerra (combattuta da mitragliere aereo di bordo), dovendo rinunciare alla laurea in ingegneria per la morte del padre e trovando occupazione come segretario comunale a Bertinoro.
Per quanto avesse dovuto prendere la tessera del partito, condizione d’obbligo per conservare l’impiego pubblico, si asteneva dal partecipare alle attività ed era guardato con sospetto, per le accuse di un amministratore comunale squadrista di proteggere gli antifascisti. Dopo l’8 settembre 1943, non tollerando gli eccidi tedeschi in Romagna, chiese un anno di aspettativa e tornò a Medicina con la famiglia. Si trovava in una sede sindacale per cercare fonti di sussistenza, non godendo di alcuno stipendio, quando venne arrestato dalla polizia fascista, recluso con altri rastrellati e deportato in Germania, schedato quale civile resistente.
«Per Natale io non sarò a casa». La testimonianza di un deportato nel campo Mittelbau-Dora. Giugno 1944-Luglio 1945
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