Per un ritratto dello scrittore da giovane
- Autore: Leonardo Sciascia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
Nel 1965 Sciascia si era occupato di Giuseppe Antonio Borgese in un articolo pubblicato sul quotidiano di Palermo “L’Ora”. Ne riparlerà in due sue opere: Cruciverba e Fatti diversi di storia letteraria e civile. Che abbia contribuito alla sua formazione è innegabile ed egli lo inquadra nel passaggio dal fascismo all’antifascismo. Volendolo sottrarre all’oblio trattandosi di un autore dimenticato, compie un’attività di recupero e ne mette in rilievo l’originalità.
È del 1985, pubblicato da Sellerio, il saggio Per un ritratto dello scrittore da giovane (riedito nel 2000 per Adelphi), cui seguirà nel 1989 l’articolo Introduzione a G.A. Borgese, Piccola Italia e dintorni (“Nuova editrice meridionale” di Palermo). Avvalendosi delle lettere inviate da Borgese allo zio Giovanni, dal 1894 al 1912, organizza ed espone le sue idee a mo’ di racconto divagante. Ecco profilarsi l’immagine d’una famiglia che ci tiene a custodire le tracce della propria memoria, affidate alla scrittura:
“Evidentemente tenevano, i Borgese, a conservare le lettere che tra di loro si scrivevano assiduamente, per una sorta di dolce mania più che per necessità: quasi a celebrarvi il culto della famiglia, di una famiglia "diversa" in quel remoto paese di montagna, e come a prepararvi l’avvento di colui che l’avrebbe resa più illustre”.
Il paese, dove è nato il 12 novembre 1882, è Polizzi Generosa (Palermo), sulle Madonie. Egli è l’autore del romanzo Rubè del 1921 (e non solo): vi si parla della tragica storia di un uomo del primo dopoguerra, ambizioso e disorientato nella grave crisi della società, lacerato dalla nevrosi e ossessionato dall’introspezione. Rubè, che esprime il senno e il senso della storia d’Italia e di cui è accurata l’analisi psicologica, avrebbe ispirato altri personaggi di Moravia e di Brancati.
Adolescente, Borgese soggiorna a Palermo in casa dello zio Luigi, e la sua corrispondenza epistolare va letta per lo scrittore di Racalmuto come un’"occasione" per andare alla ricerca del tempo perduto:
“Queste lettere del giovane Borgese sono per noi (il lettore lo avrà già capito) non solo un cogliere uno scrittore assai amato negli anni che di solito restano i meno conosciuti, i più oscuri (e sono invece quelli decisivi), ma anche una ricerca del tempo perduto".
Palermo è vista da Sciascia, che si affida al sensuale fluire dei suoi ricordi adolescenziali, in un’atmosfera di vitalità coloristica e pressoché favolistica:
"Bellissima città, in cui l’odor di frittura stringeva andando per via Libertà, cedeva a quello dei gelsomini; e dei gelsomini i ragazzi facevano conocchie, che vendevano serpeggiando svelti e furtivi, a che i camerieri non li cacciassero, tra i tavolini all’aperto dei caffè".
Onofri e Spalanca sono concordi nell’affermare che Sciascia insegue nella vita di Borgese non un’umbratile recherche del tutto privata, ma i segni idonei a tracciare un ritratto intellettuale ed etico: un’autobiografia che illumini e orienti. Suo precipuo interesse è di evidenziare il ruolo dello scrittore nella società alla luce di due principi: l’autonomia di giudizio e la “vis” polemica contro il potere, specificamente manifestate come giornalista (aveva appena venticinque anni quando era stato inviato speciale di giornali come “La Stampa” di Torino e il “Mattino” di Napoli); a ventisette anni era già professore di letteratura tedesca all’Università di Torino, e a ventotto anni in quella di Roma, per poi insegnare dal 1917 al 1930 a Milano. Per il rifiuto di aderire al credo mussoliniano, affronta a cinquant’anni l’esilio negli Stati Uniti, dove insegna nelle prestigiose Università di California e di Chicago, sentendosi sempre vicino alla sua terra di Sicilia, di cui amorosamente parla nel romanzo Tempesta nel nulla (Milano, 1931). Diventa cittadino americano e sposa la figlia del famoso scrittore tedesco antinazista Thomas Mann. Muore a Fiesole il 4 dicembre 1952.
Borgese, giovane universitario a Firenze, si mantiene distante dal vitalismo mondano allora dominante; Sciascia lo mette a confronto con Vitaliano Brancati e coglie tra i due scrittori siciliani rapporti di continuità:
"L’educazione ideale e letteraria di Brancati viene senz’alcun dubbio – anche prescindendo da quell’elemento documentario che Brancati inserisce ne I fascisti invecchiano – da Borghese. Entrambi sono, in successione, i più veri ed effettuali scrittori di fronte al fascismo: Brancati, da un certo punto in poi, di fronte al fascismo e poi di fronte al marxismo; e perciò stanno come in disparte, solitari e quasi dimenticati".
Da qui la liberazione dal modello dannunziano per non essere scrittori di parole ma di cose, secondo la felice definizione di Pirandello, parlando di Verga. Il soggiorno di Borgese a Berlino non passa inosservato allo scrittore di Racalmuto e nemmeno la polemica con il Croce evidenziata nel trattato politico Golia, estremamente importante, in cui pone in risalto il fondo di ambiguità nell’azione del filosofo napoletano: se gli riconosce il "merito" di essere stato il promotore del manifesto degli intellettuali antifascisti, ritiene però che l’operato successivo non abbia avversato il fascismo.
Ecco ora l’intellettuale Borgese affascinato da Stendhal. L’aveva compreso Louis Gillet, per il quale Rubé sarebbe l’incarnazione di Julien Sorel, il protagonista del romanzo stendhaliano Le rouge et le noir (Il rosso e il nero). Sciascia ne accoglie la tesi. Non a caso nella conclusione del romanzo prevalgono i colori prediletti dallo scrittore francese:
"Si pensi ai simboli con cui si chiude: che sono, sì, il rosso del socialismo e il nero del fascismo; ma è altrettanto vero che questi colori sono anche i colori di Stendhal – e per questa ragione non è inutile assumerli come chiave di lettura del romanzo".
In definitiva, chi è Borgese per Sciascia? Scrive Spalanca:
"Nel taglio con cui Sciascia costruisce il ritratto, Borgese diventa – come è stato acutamente detto – un simbolo, l’utopia di un ideale letterario o la metafora per un letterato ideale".
In definitiva, lo scritto di Sciascia è fondamentale per chi vuole conoscere la storia della cultura siciliana e italiana. È il resoconto di un’epoca, è un profilo complessivo dell’uomo e dello scrittore nel panorama culturale del Novecento.
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