Il premio Nobel per la letteratura ad Annie Ernaux è un Nobel al coraggio.
Per dirla con le parole della stessa scrittrice: “La scrittura è un coltello”, come ha dichiarato Ernaux nel corso dell’intervista con Frédéric-Yves Jeannet che presta il titolo al volume omonimo L’écriture comme un couteau pubblicato da Gallimard nel 2011. Annie Ernaux si serve della scrittura come di un bisturi affilato che mette a nudo, non teme di narrare l’indicibile e non conosce censure né pudore.
Le parole, per l’autrice francese, sono come pietre, parlano una lingua perduta, primaria, della violenza, che corrisponde alla forza naturale e primigenia del linguaggio.
Nel commentare la vittoria, nella sede parigina dell’editore Gallimard, la scrittrice non ha mancato di fare riferimento alla situazione politica attuale, tirando una stoccata decisa all’ascesa dell’estrema destra che, a suo giudizio, non si è mai schierata dalla parte delle donne.
Ernaux non si è tirata indietro, ha lanciato un messaggio forte, affilato come la sua prosa:
Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne.
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In seguito ha aggiunto che per lei la parola “responsabilità” significa continuare a lottare contro le ingiustizie, in particolar modo quelle inflitte contro le donne e i dominati. La scrittura di Annie Ernaux è indubbiamente una scrittura politica che intreccia, attraverso uno stile originale e unico denominato per l’appunto l’écriture plate (scrittura piatta, Ndr), narrativa e sociologia. È stata lei la prima a dare un nome a quel peculiare sentimento di indegnità sociale, definendosi una “transfuga di classe” raccontando così il suo passaggio sofferto dal mondo proletario-popolare dei genitori a quello borghese, l’emigrazione da una classe sociale all’altra vissuta come un “tradimento”. Nell’esergo de Il posto (La place, Ndr), il libro vincitore del prestigioso premio Renaudot nel 1984, Ernaux riprenderà un citazione di Jean Genet che afferma:
Scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito.
Ci vuole coraggio per mettere in parole, nero su bianco, questo tradimento: ma Ernaux è riuscita a farlo, dando voce nei suoi libri a coloro cui la grande letteratura non ha mai dato credito, ovvero alle “vite minuscole” appartenenti agli strati sociali non colti, non letterati, proprio come i suoi genitori cui ha dedicato rispettivamente Il posto (1984) e Una donna (1988) restituendo dignità alle loro esistenze. Nei suoi romanzi l’autrice mette in luce il rapporto complesso che la lega alla madre e al padre, mostrandoci i sentimenti spesso inadeguati che si annidano nella vita familiare. Ne La vergogna (1997) la narrazione si apre su una scena indicibile, un episodio di follia domestica, rievocando un lontano giorno di giugno del 1952 in cui il padre, in preda a un raptus, cercò di uccidere la madre con una roncola di legno. La scena non dura che pochi attimi - e non si ripeterà mai più - tuttavia il trauma si annida nell’inconscio della dodicenne Annie e vi permane indelebile, rappresenta la “ferita all’origine della sua scrittura”.
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Ci vuole coraggio anche per tematizzare la vergogna femminile e per aprire un romanzo, in questo caso il proprio libro d’esordio Gli armadi vuoti (1974), sulla scena inenarrabile di un aborto clandestino descrivendo il sangue attraverso l’immagine di quella “piccola sonda rossa” che da subito genera nel lettore una sensazione di sgomento. Ernaux non teme di dire ciò che non può essere detto, ciò che appare contrario alla morale comune, borghese, benpensante: parla dell’aborto, dell’oppressione del corpo della donna, giungerà a mettere in discussione persino il ruolo intoccabile di “donna-madre” nel libro La donna gelata.
Attraverso la sua scrittura affilata, dura, impietosa l’autrice ha riportato l’attenzione sul corpo femminile, descrivendone le fragilità e i malesseri, generando uno scandalo necessario che potesse permettere al mondo intero di capire quello che sente una donna, quello che soffre una donna. In Memoria di ragazza (2016), quello da lei considerato il “libro definitivo”, Ernaux racconta l’episodio inenarrabile dell’estate del 1958: l’iniziazione sessuale violenta per opera di un compagno educatore della colonia, la vergogna e l’umiliazione del corpo. L’autrice descrive lo strazio patito da quel fisico che rifiuta il cibo, perde peso e poi di colpo decide di ingozzarsi, un corpo femminile che si restringe e dilata e soffre sino a smettere di sanguinare: in queste pagine Ernaux narra l’umiliazione estrema di chi tocca il fondo, perde sé stesso, e infine comincia una lenta risalita per affermare la propria identità. L’autrice afferra il ricordo della vergogna e lo scarnifica - la vergogna sociale e la vergogna femminile - sino a operare un processo di decostruzione della ragazza che è stata.
Recensione del libro
Memoria di ragazza
di Annie Ernaux
La maggior parte dei romanzi della scrittrice francese si configura come un’inchiesta sul proprio passato: Ernaux opera come un’archeologa, o meglio come “un’archivista della propria storia”, “un’etnologa di se stessa”, raccogliendo le tracce della memoria nel tentativo di catturare il transito irripetibile di un’esistenza individuale che si muove nel flusso implacabile della Storia. Sarà proprio questa operazione di ricerca a dare origine al suo capolavoro, il meraviglioso “roman total”, Gli anni.
Ne Gli anni Ernaux trova la chiave per raccontare il tempo in letteratura, descrivendo:
La vita di un unico individuo fusa nel movimento di una generazione.
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Nel suo libro più acclamato, già considerato un classico contemporaneo, Annie Ernaux riesce a rappresentare l’intervento della Storia nella vita individuale donando una forma innovativa all’autobiografismo. Per la prima volta l’autobiografia non riguarda una singola persona, il racconto intimo di un’identità, ma il moto di un’intera generazione che ha vissuto il passaggio dal dopoguerra ai giorni nostri, ha assistito alla trasformazione da una civiltà contadina a una industriale, all’arrivo dell’era di Internet e delle nuove tecnologie, fino al presente, all’ascesa vorticosa verso un mondo sempre più globalizzato eppure lacerato da conflitti insanabili.
Gli anni è un romanzo che potrebbe continuare ancora, una meravigliosa serie di istantanee del nostro tempo che si susseguono in un carosello inarrestabile. Nella narrazione Ernaux si serve della fotografia per instaurare un legame tra il sé del presente e il sé del passato, oggettivando di fatto il ricordo.
Recensione del libro
Gli anni
di Annie Ernaux
Questa è la straordinaria grandezza di Annie Ernaux, la narrazione complessa e stratificata che ci ha consegnato attraverso ogni singolo romanzo componendo una immensa auto-socio-biografia letteraria della propria esistenza. Ha raccontato la nostra epoca rendendo l’autobiografia un messaggio universale. Per quale strano miracolo, per quale assurda correlazione, tutti ci sentiamo chiamati in causa in prima persona quando leggiamo i suoi libri? Lei dice “Io” eppure parla di tutti noi, trasferisce a noi le sue emozioni in un flusso implacabile, e lo fa dicendo cose che feriscono. Perché senza vergogna non c’è letteratura.
Annie Ernaux è la prima scrittrice francese a vincere il premio Nobel per la letteratura. E di questa vittoria dobbiamo essere tutti estremamente grati, non perché si tratta di una “vittoria al femminile”, ma perché riafferma i diritti e le priorità che stiamo via via perdendo guidati da politiche insane e irresponsabili. La penna di Ernaux ci parla delle contraddizioni della Storia, rivendica la responsabilità individuale e collettiva, fa luce sul sentimento inenarrabile della “vergogna femminile” e invita le donne a non essere mai sottomesse, ad avere sempre la facoltà di dire “Io”. Nessuno ha saputo dire “Io” meglio di Annie Ernaux che quell’“Io” l’ha tradotto in un “Noi” di cui oggi ci sentiamo tutti partecipi, indipendentemente dalle nostre storie e situazioni, grazie al sortilegio compiuto dalla sua potentissima ècriture plate.
Viviamo in un momento storico in cui i diritti devono essere tutelati, oggi più che mai. Annie Ernaux ce lo ricorda attraverso ogni frase, attraverso ogni rigo della sua scrittura affilata come un coltello in cui non vi è nulla di lasciato al caso e le parole sono pietre volte non a ferire ma a costruire una nuova umanità, più attiva, cosciente e consapevole.
Questo Nobel, infine, racconta anche una bella storia italiana: il trionfo di una casa editrice indipendente, L’orma editore, nata a Roma esattamente dieci anni fa, nel 2012. Sono stati questi audaci editori, Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, profondi conoscitori della letteratura e cultura francese, a creare in Italia il “fenomeno Annie Ernaux” traducendo per la prima volta nella nostra lingua un romanzo fondamentale, Il posto, nel 2014. A Flabbi e Federici Solari va il merito di aver rivelato al pubblico italiano la produzione della scrittrice francese, trascurata forse per mancanza di intuizione dalle case editrici più importanti. Un Nobel, dunque, che è anche un buon compleanno celebratissimo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perché il Nobel ad Annie Ernaux è un segnale importante
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