Ada Negri dedicò numerose poesie al mese di aprile, da lei è atteso e bramato già dall’inverno come testimoniano i versi della lirica Non è ancora primavera, ambientata in un febbraio gelido e nevoso. Le stagioni sono una costante nella poetica di Negri, lo testimoniano le liriche dedicate alla pioggia d’autunno e la solare Estate, che sembrano scandire il ritmo del tempo dimostrando che esiste una vita altra, superiore, oltre le piccole esistenze umane.
“Vorrei essere foglia”, cantava Negri in Pioggia d’autunno, “ed essere certa che non morrò, che non morrò”. Attende la primavera con identica fiducia, scorgendola già all’angolo di strada nel freddo mese di febbraio. Lei che con il tempo gioca a nascondino, sfidandolo a non fuggire, a non sottrarsi. Ecco, infine, sembra acchiapparlo, sembra vincere: il vero trionfo è dato dal suo Pensiero d’aprile che celebra l’avvento della primavera con quel primo verso d’apertura, di gioia, dal valore epifanico.
Eppure è bella, anima mia, la vita.
La primavera di Ada Negri, tuttavia, non è innocente: o almeno, lo è solo nella visione pura dei bambini cantata dalla poetessa in Acquerello, poesia nella quale la primavera ha le sembianze dei bimbi che corrono gioiosi nei prati.
In quei versi sono i bambini i veri “fiori”: la fioritura, nella poesia di Negri, è la metafora della giovinezza, l’età verde della vita, che infatti ritorna opportunamente in molte liriche di Negri, come un chiodo fisso, è il tema fondante che la poetessa dipana, quasi stesse svolgendo una matassa articolata di pensieri, nella sua produzione lirica. Aprile dunque ritorna spesso nella poesia di Negri e, a un’analisi più attenta, scorgiamo in questo mese un profondo valore metaforico: è la nuova stagione che si annuncia come un promessa, si fa messaggera di un altrove metafisico, forse non è un paesaggio, ma un luogo dell’anima.
Qual è il significato del mese di aprile nelle poesie di Ada Negri? Analizziamone tutte le sfumature attraverso l’analisi di tre poesie che hanno aprile nel titolo. Anche nella poetica di Negri, come vedremo, aprile mescola “memoria e desiderio”, proprio come annunciava Eliot nel suo capolavoro The Waste Land, le Terra desolata.
“Pensiero d’aprile” di Ada Negri
Eppure è bella, anima mia, la vita:
non fosse che pei giorni in cui le foglie
giocano a quale per la prima spunti
sui rami; e tu le vedi, così tenere
e trasparenti, che ti s’apron l’ali
nel rimirarle. Come puoi del mondo
tante cose sapere, e non sapere
come fa la fogliuzza a tornar verde
entro la scorza, ad affacciarsi, e tutta
nova ridere al sol che la richiama?La strada lunga che t’importa, e l’essere
strappata alla speranza che più cara
ti fu, tradita da chi più fedele
credesti, se goder sempre t’è dato
di questa gioia? E tu la sai ben certa
nel giusto tempo: ché non fu mai l’anno
senza vicenda di stagioni, e mai
fu senza fronda il giovinetto aprile.
Il “giovinetto aprile” si trasfigura nella poesia di Ada Negri: ogni primavera è un inno alla vita che si rigenera. In Pensiero d’aprile la poetessa sembra stupirsi di questo eterno rinnovamento: “come fa la fogliuzza a tornar verde?” si domanda indirettamente. Il tono passa, come accade sovente nella poesia di Negri, dal generale al personale: la descrizione del paesaggio diventa introspezione dell’anima. Ogni cosa ha il suo tempo, conclude la poetessa, proprio come le stagioni. Anche la speranza perduta, la fiducia tradita, saranno ricomposte, poiché anche la vita ha i suoi tempi di fioritura.
“Canto d’aprile” di Ada Negri
O amore, amore, amor!... Tutto ti sento
Divinamente palpitar nel sole,
Nei soffii larghi e liberi del vento,
Nel mite olezzo trepidante e puroDe le prime vïole!
Come linfa vital, caldo e ferace
Vivi e trascorri nei nascenti steli;
Con le allodole canti; angelo audace
Fra mille atomi d’ôr voli, e cospargiDi luce i mondi e i cieli.
O amore, amore, amor!... Tutto ti sento
Nell’esultanza de l’april risorto;
Dai profumi a le rose ed ali al vento,
Copri la terra di raggi e di baci...Ma nel mio cor sei morto.
L’esultanza del mese di aprile, definito con una allegoria pasquale “risorto”, ritorna nel verso trionfante: “O amore, amore, amor!” che introduce il Canto di aprile in cui la primavera è celebrata come la stagione dell’amore; ma la conclusione sembra infine negare l’atmosfera quasi dionisiaca del componimento, Negri infatti tronca il festoso lirismo danzante con la chiusa lapidaria “Ma nel mio cor sei morto”, che ci lascia intendere che il mese di aprile, in realtà, era una metafora dell’amore. Dunque è la primavera che torna a colorare la terra e i campi con le sue tinte vivaci; ma nel cuore della poetessa l’amore non torna.
“Prato d’aprile” di Ada Negri
C’era un prato: con folte erbe, frammiste
a bianchi fiori, e gialli, e violetti;
e fra esse un brusio di mille piccole
vite felici; e se sull’erbe e i fiori
spirava il vento, con piegar di steli
tutto il prato nel sol trascolorava.E volavan farfalle, uguali a petali
sciolti dai gambi; e si perdean rapidi
i miei pensieri in quell’aerea danza
ove l’ala era il fiore e il fiore l’ala.Ma dov’era quel prato? Non so più.
E quel vento soave, che scendea
sull’erbe folte, a renderlecurve e beate, e me con loro, in quale
tempo io dunque l’intesi? Non so più.Fu un sogno, forse. E che mai altro, o vita,
chiedere a te dovrei? Vita perduta,
nella tua verità non sei che un sogno.
Ancora più metafisica è, infine, la poesia Prato d’aprile in cui la poetessa sembra accedere a una dimensione altra, spirituale, della quale la primavera si fa tramite come se, attraverso il mito di Proserpina che sale dagli Inferi, spalancasse un portale. Il prato descritto da Ada Negri ricorda il giardino di Leopardi, narrato nello Zibaldone: è una metafora dell’esistenza. Tuttavia il poeta di Recanati descriveva un “giardino del dolore”, dove il principio del male dimora in tutte le cose; mentre nella poesia di Negri il prato rappresenta una allegoria della propria giovinezza perduta.
Non è la prima volta che la poetessa istituisce un simile paragone; lo ritroviamo anche nella malinconica Fiorita di marzo in cui constata amaramente che “la fioritura è troppo breve”.
Analogamente il Prato d’aprile infine trascolora nella visione: “fu un sogno, forse” afferma Ada lasciando aperto il campo delle ipotesi. Non è la primavera che la poetessa sta descrivendo questi versi, ma una condizione dell’anima. Emerge un contrasto forte tra il trionfo primaverile che si avvera nel prato fiorito e la vita della poetessa ormai al suo crepuscolo. Se in Pioggia d’autunno, Ada Negri immagina di “essere foglia”, ecco che in Prato d’aprile sembra rimproverarsi la sua incapacità di fiorire. Forse vorrebbe “essere fiore”, custodire in sé la sempiterna facoltà di sbocciare e rinnovarsi. La stagione primaverile diventa uno specchio nel quale l’autrice contempla, con un moto di sorpresa o di fastidio, il proprio sfiorire. L’intera poesia, non a caso, presenta i verbi coniugati al passato, “c’era un prato”, il che ci dà l’indizio, sin dall’incipit, che non è un prato reale ciò che la poetessa contempla, ma un prato del ricordo. Ada non sta osservando una giornata primaverile, ma un ricordo. Il suo “prato d’aprile” è un’allegoria esistenziale.
Aprile è il mese più crudele, genera lillà da terra morta, scriveva T.S. Eliot nella sua Terra desolata, dandoci l’esatta misura della ferocia insita nella primavera, la stagione che genera e ci dice, implicitamente, che la morte non esiste. Dinnanzi al prodigio della fioritura Ada Negri si sofferma proprio su questo abissale contrasto tra la vita umana e l’eterno ripetersi delle stagioni. Zephiro torna e il bel tempo rimena, cantava Petrarca nel celebre sonetto in cui già formulava la stridente discordanza tra la ridente stagione primaverile e la tristezza che albergava nel suo cuore di uomo. Negri nel suo Prato d’aprile sta richiamando un topòs antico, restituendoci lo sguardo di chi nella stagione dei fiori coglie anche un’invincibile ingiustizia, la scissione irreparabile tra il tempo umano e il tempo naturale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le poesie di aprile di Ada Negri: un’analisi da “Pensiero d’aprile” a “Prato d’aprile”
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