Il Premio Nobel per la Pace 2023 va alla giornalista e attivista Narges Mohammadi, voce della rivoluzione delle donne iraniane, che per le sue posizioni contro il regime è stata arrestata ben dodici volte e ha scontato anni e anni di carcere, lottando sempre mossa dalla speranza di poter cambiare in meglio il proprio Paese.
Il Nobel è stato conferito a Mohammadi con la seguente motivazione:
Per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua battaglia per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti.
Alla difficile esperienza della prigionia Narges Mohammadi ha dedicato, di recente, anche un libro dal titolo White Torture, letteralmente la “tortura bianca”, ancora inedito in italiano. Nel volume sono raccolte le interviste a dodici donne iraniane tenute prigioniere, oltre che la sua testimonianza.
Quest’anno Mohammadi ha vinto anche il PEN/Barbey Freedom to Write Award 2023, conferito ogni anno a uno scrittore incarcerato per onorare la sua libertà d’espressione.
Narges Mohammadi oggi non è ancora libera, il suo nome è diventato sinonimo di lotta per i diritti umani in Iran.
Scopriamo di più sulla vita e le opere di questa intrepida attivista e scrittrice, Nobel per la Pace 2023.
Chi è Narges Mohammadi
Narges Mohammadi è nata a Zanjan il 21 aprile 1972 e da sempre si batte per la difesa dei diritti umani; è la vicedirettrice del Defenders of Human Rights Center (DHRC).
Giornalista professionista, scrittrice e attivista, le sue prime battaglie erano contro la pena di morte. Fu condannata per la prima volta a un anno di carcere nel 1998 per le sue posizioni contro il governo. Da quel momento Mohammadi è ripetutamente entrata e uscita di prigione, senza tregua, perdendo la propria libertà, la propria famiglia, dedicando la propria vita a una lotta per il proprio Paese.
L’ultima condanna risale al 15 gennaio 2022: otto anni e due mesi di reclusione, oltre che a due anni di esilio e 74 frustate. L’accusa è di “azioni contro la sicurezza nazionale e propaganda contro lo Stato”.
Secondo i report di Amnesty International a Narges Mohammadi sono state negate persino le più elementari cure mediche, è stata torturata e non le è stato concesso nessun medicinale malgrado soffra di una malattia polmonare. Oltre a tutto ciò non si contano le ferite psicologiche inflitte dall’isolamento prolungato e dai continui interrogatori.
Nonostante tutto Mohammadi non si è mai arresa, anche tra le mura claustrofobiche del carcere ha continuato a scrivere, sostenere le sue idee a favore delle proteste e a ribellarsi. Nei suoi scritti Narges Muhammadi non ha mai smesso di sottolineare anche gli abusi subiti dai compagni di detenzione costretti, come lei, dietro le sbarre.
Sta ancora lottando con tutte le sue forze per cambiare l’Iran, afferma il marito Taghi Rahmani - anche lui giornalista - che negli ultimi mesi ha anche denunciato le sue gravi condizioni di salute che l’hanno costretta a un ricovero d’urgenza lo scorso giugno.
Il libro di Narges Mohammadi
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L’ultimo libro di Narges Muhammadi, ancora inedito in Italia, si intitola White Torture. Interviews with Iranian Women Prisoners (edito Oneworld Pubns Ltd a novembre 2022, trad. di Amir Rezanezhad) ed è una testimonianza scioccante e sconvolgente su quanto accade oggi in Iran e sulla vita di un detenuto nelle carceri iraniani. In queste pagine l’attivista Premio Nobel denuncia soprattutto la condizione di isolamento prolungato, mettendo in luce le storie di altre tredici donne che, come lei, patiscono la stessa pena.
Mohammadi ci restituisce queste storie sottoforma di interviste, realizzate ad altre detenute recluse per le loro posizioni contro il governo, oppure tenute in ostaggio come merce di scambio. Attraverso la tortura psicologica e l’isolamento, denuncia l’autrice, il governo iraniano spera di minare la loro resistenza e convertire i loro pensieri. Viene denunciato tutto il marcio del sistema carcerario e legale iraniano e le percosse, le molestie subite dalle prigioniere, sottoposte a continue torture (come il bendaggio totale) e a cui viene negata ogni cura medica.
Le dodici donne intervistate da Mohammadi in questo libro sono giornaliste, attiviste politiche, oppure appartengono a minoranze religiose: tutte, nessuna esclusa, vengono ogni giorno torturate con il sistema infido della white torture, ovvero con l’isolamento prolungato, le minacce ai membri della propria famiglia, le lunghe ore di interrogatorio.
La tortura bianca, afferma Narges Mohammadi, è molto peggio della tortura fisica perché tende a minacciare l’identità stessa del prigioniero, la sua coscienza, a influenzare il pensiero che ha di sé stesso. Le donne iraniane sono infatti custodite in una cella completamente bianca per periodi di tempo molto lunghi, con lo scopo di portarle a una totale deprivazione sensoriale attraverso l’isolamento.
L’aspetto più inquietante del libro di denuncia di Mohammadi è che nessuna delle donne prigioniere ha commesso un crimine: tutte sono state arrestate con lo scopo di estorcere loro confessioni o costringerle a collaborare con il governo. Il grido delle donne iraniane “Donna, vita, libertà”, il loro motto rivoluzionario, nelle celle delle carcere iraniane si leva ancora più alto: non tace, non è soffocato dalle catene, non si spegne. In queste pagine Narges Mohammadi lo fa risuonare ancora più forte, lo trasforma in un canto.
Oggi Narges Mohammadi non è ancora libera. A casa la attendono, oltre al marito, anche i figli gemelli Ali e Kiana di sedici anni; l’ultima volta che hanno visto la madre ne avevano otto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Premio Nobel per la Pace a Narges Mohammadi, l’autrice di “White Torture”
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