“Donna, vita, libertà”
Il motto della rivoluzione iraniana ieri sera è echeggiato sul palco del Festival di Sanremo durante il monologo dell’attivista Pegah Moshir Pour, cui si è aggiunta la voce di Drusilla Foer. Le due donne hanno poi intonato Baraye di Shervin Hajipour, la canzone rivoluzionaria diventata inno della protesta, che quest’anno ha vinto il Grammy come “Miglior canzone per il cambiamento sociale”.
Baraye di Hajipour è stata scritta raccogliendo i messaggi pubblicati su Twitter dai ragazzi iraniani. È un vero e proprio collage di parole che si conclude con il motto della rivoluzione, come una preghiera:
Per le donne, la vita, la libertà
Per la libertà
Per la libertà
Per la libertà
L’attivista iraniana Pegah Moshir Pour ha portato sul palco le voci dei ragazzi iraniani, ringraziando la libertà d’espressione consentita dal Festival che ricorda al mondo che “la musica è un diritto umano”. Pegah ha detto di essere nata con “i racconti del Libro dei Re” ma cresciuta con “i versi della Divina Commedia” e ha ricordato che la parola “Paradiso” deriva dal persiano “pardis”, che significa “giardino protetto”. Quello in cui l’Iran vive oggi, ha sottolineato, Pegah è un “paradiso forzato”.
Al termine del suo toccante monologo ha declamato, insieme a Drusilla Foer le parole chiave della rivoluzione iraniana:
Donna, vita, libertà.
Ma qual è l’origine di questo motto rivoluzionario? E qual è il suo significato? In verità lo slogan della rivoluzione ha origini antiche, che affondano le proprie radici nell’etimologia della lingua iraniana.
Scopriamolo nell’approfondimento che segue.
Donna, vita, libertà: la canzone di Shervin Hajipour
Pegah Moshir Pour ha spiegato che Baraye, il titolo della canzone di Hajipour, in italiano significa “Per”. Il testo è stato composto per “Le donne, la vita e la libertà”, lo slogan rivoluzionario è riportato per intero nella strofa di chiusura del canto.
Scopriamo il testo integrale, tradotto in italiano, di Baraye: l’inno di protesta dell’Iran.
Per ballare nei vicoli
Per il terrore quando ci si bacia
Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle
Per cambiare le menti arrugginite
Per la vergogna della povertà
Per il rimpianto di vivere una vita ordinaria
Per i bambini che si tuffano nei cassonetti e i loro desideri
Per questa economia dittatoriale
Per l’aria inquinataPer Valiasr e i suoi alberi consumati
Per Pirooz e la possibilità della sua estinzione
Per gli innocenti cani illegali
Per le lacrime inarrestabili
Per la scena di ripetere questo momento
Per i volti sorridenti
Per gli studenti e il loro futuro
Per questo paradiso forzato
Per gli studenti d’élite imprigionati
Per i ragazzi afghani
Per tutti questi "per" che non sono ripetibili
Per tutti questi slogan senza senso
Per il crollo di edifici finti
Per la sensazione di pace
Per il sole dopo queste lunghe notti
Per le pillole contro l’ansia e l’insonnia
Per gli uomini, la patria, la prosperità
Per la ragazza che avrebbe voluto essere un ragazzoPer le donne, la vita, la libertà
Per la libertà
Per la libertà
Per la libertà
Il commovente brano di Hajipour può essere letto come una poesia, o come una preghiera. Vengono elencate nel testo tutte le azioni che in Iran sono proibite dal regime dell’Ayatollah: ballare per strada, baciarsi, gli slogan irripetibili di libertà. La canzone dà voce a un’intera generazione di ragazzi e ragazze cresciuti in un paese in cui vige un regime di terrore e repressione che ha negato loro la libertà d’esprimersi e, persino, di vivere liberamente.
Il canto culmina con “Per le donne, la vita, la libertà” in ricordo di Mahsa Amini, la ragazza curda iraniana uccisa a soli 22 anni dalla polizia morale di Teheran per il suo rifiuto di indossare il velo. Masha Amini è morta a causa delle percosse subite, dopo tre giorni di coma. Alla notizia della sua morte le piazze iraniane si sono infiammate di proteste, poi sfociate in veri e propri scontri. Le donne hanno iniziato a bruciare nelle pubbliche piazze i loro hijab, in segno di ribellione, si sono poi tagliate i capelli per simboleggiare un lutto collettivo, nazionale: la rivoluzione è partita da loro, dalle donne.
Masha Amini è divenuta il simbolo delle donne iraniane che ogni giorno lottano contro un regime repressivo che ha negato loro i diritti più elementari.
Una donna per tutte le donne che oggi marciano per le strade, a capo scoperto, rischiando la vita. Un atto di coraggio praticato in nome della libertà.
Donna, vita, libertà: il significato dello slogan
Jin, Jîyan, Azadî, questo è slogan della rivoluzione in lingua iraniana. Donna, vita, libertà, sono tre parole che affondano le loro radici nella storia di un popolo. La rivoluzione è partita dalle donne per poi estendersi in nome della vita e, infine, della libertà non di una sola donna ma della società intera. Perché la liberazione delle donne è la base della rivoluzione di liberazione di un intero popolo.
Tre parole correlate, strettamente intrecciate e inestricabili che, insieme, esprimono un preciso dovere morale.
Si tratta, a ben vedere, di molto più di uno slogan. Perché la dicitura in lingua originale del grido Donna vita libertà:
Jin, Jîyan, Azadî
Sottolinea che le parole donna e vita (Jin, Jîyan) hanno la stessa radice dal punto di vista etimologico e, di fatto, derivano l’una dall’altra. Lo slogan è nato per la prima volta nel 1993, creato dalle donne guerrigliere curde che combattevano sulle montagne per la libertà del loro popolo. Quando hanno scelto di formare un esercito a sé stante, separato da quello dei loro compagni maschi, hanno coniato il loro motto: Jin, Jîyan, Azadî, appunto.
La filosofia espressa dal motto Donna, vita, libertà è quindi l’eredità di migliaia di donne curde che da più di quarant’anni combattono sulle montagne. Queste parole non sono solo un grido in difesa del genere femminile, ma vogliono esprimere un nuovo paradigma di vita: democratico, libertario ed ecologico. Il termine “libertà” indica l’apoteosi del pensiero rivoluzionario, ovvero la speranza che i popoli possano finalmente decidere liberamente del proprio destino al di là della corruzione del potere, rispettando la natura e la libertà di genere.
Il motto Donna, vita, libertà, dunque non si riferisce solamente alla “questione del velo” come molti credono. Il significato è più ampio e riguarda tutte le fasce della popolazione: le diverse etnie (Curdi, beluci, azeri), le minoranze Lgbt, i lavoratori, i bambini e molte altre minoranze oppresse da un regime che non rispetta i diritti umani.
La rivoluzione parte dalle donne perché, secondo le antiche credenze, il corpo femminile è fonte di paura e pericolo in quanto rappresenta un’arma di seduzione. I racconti storici (e biblici) vedono nella donna la causa della “sofferenza umana”, a partire dal racconto di Eva e Adamo nel paradiso terrestre. Fu Eva a convincere Adamo a mangiare la mela, simbolo del peccato. L’origine della misoginia inizia da lì, e la strada è ancora lunga da percorrere: ma la marcia è già iniziata e si riflette in un grido che ora è diventato canto, poesia e preghiera “Donna, vita, libertà!”.
Donna, vita, libertà: la canzone di Shervin Hajipour
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Donna, vita, libertà”: significato e origine del motto iraniano
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